Proprio perché a quel livello ci si misura al metro delle righe del campo, è bello e interessante, perché è un po’ fuori dagli schemi, il messaggio che Simone Vagnozzi ha scritto a Sinner su Instagram
È inutile nasconderlo, se sei il numero uno al mondo l’importante è vincere, nessuno si aspetta niente di meno. Sinner – che, dopo la finale epica con Alcaraz a Parigi, persa al super tie break dopo 5 ore 29 minuti di gioco, si è candidato a una notte insonne di sfinimento e di ripensamenti – lo sa e ha candidamente ammesso che avrebbe voluto vincere. Perché così funziona a quei livelli. Ma è rimasto composto anche nella delusione. Proprio perché a quel livello ci si misura al metro delle righe del campo, è bello e interessante, perché è un po’ fuori dagli schemi, il post pubblico, che gli ha scritto su Instagram il suo allenatore, Simone Vagnozzi, un messaggio da vero maestro. Perché è vero che chi studia, chi gioca, chi impara, chi lavora, lo fa meglio se, impegnandosi, gode della stima di chi insegna, coordina, guida.
«Fa male», ha scritto Vagnozzi al suo campione fermatosi a qualche millimetro dalla perfezione della riga spolverata. «Ma sono queste le partite che ti forgiano, che definiscono chi sei. Chi ti vive tutti i giorni sa cosa c’è dietro ogni colpo, ogni scatto, ogni salto, ogni pugno: una dedizione totale. Ieri hai mostrato al mondo non solo il tuo tennis, ma anche un cuore e una resilienza da numero uno. Il Paese è fiero di te, e io lo sono ancora di più. Essere al tuo fianco non è solo un onore, ma una responsabilità che porto con fierezza. Questa storica partita ti renderà ancora più forte. Grazie Jannik Congratulazioni a Carlitos Alcaraz e il suo team».
Il giorno dopo una sconfitta, ancorché oltremodo onorevole, è normale nello sport analizzare le cose andate storte, lo faranno a tempo debito Vagnozzi e Jannik, ma oggi è il giorno della fierezza, ed è significativo che sia pubblica. Per secoli si è pensato che la crescita, l’insegnamento, l’apprendimento fossero sinonimo di legni storti da raddrizzare, il più delle volte a bacchettate. Il piccolo fachiro rosso si impone da solo di lavorare finché non impara, a questo modo il suo tennis ha raggiunto finitezza vicina alla perfezione e chi gli sta accanto sa che è professionista in tutto e che non ha bisogno né di bastone né di carota, a meno che non si tratti del gioco dell’ortaggio che i sostenitori hanno trasformato in amuleto portafortuna in omaggio al fatto che gli piacciono e che gli è capitato di addentarne anche in campo e al colore dei suoi capelli rossi. Uno così ha bisogno della stima del suo coach e la merita tutta.
Ha ragione Vagnozzi: in partite così sotto i riflettori del mondo, nel qui e ora irripetibile, si viene fuori come sì è davvero. A fondo. Probabile che dopo l’8 giugno 2025 Jannik Sinner, smaltita la naturale amarezza, avrà imparato nella polvere rossa del campo di Parigi cose che non sapeva ancora di sé, probabile che si sveglierà avendo scoperto in sé stesso risorse che non sapeva di avere. A tempo debito, faranno fieno di consapevolezza in cascina. Bello anche vedere due ragazzi che fanno 44 anni in due concedersi reciprocamente, punti controversi, anche molto importanti, con una posta in gioco altissima e con una sportività rara. Da applausi a scena aperta tutti e due. Peccato non poter assegnare un pari merito. Stavolta ci sarebbe stato bene. Anche di questo è giusto che un allenatore vada fiero.
Fonte: Elisa Chiari | FamgiliaCristiana.it