L’ideatrice di “In cammino” racconta l’itinerario spirituale e laico che porta a rivedere il modo di vivere in comunità, da Canterbury a Cisternina
Livia Pomodoro racconta il bilancio di un itinerario spirituale e laico Per rivedere il modo vivere in comunità Un pellegrinaggio che va da Canterbury a Cisternino, nel sud dell’Italia. Alla ricerca di ciò che rende attuali presenze secolari come monasteri e certose Livia Pomodoro, già presidente del Tribunale per i minorenni di Milano, del Tribunale di Milano e dell’Accademia di Brera, è presidente e direttrice artistica dello Spazio Teatro No’hma. Dal 2018 è titolare della cattedra Unesco Food Systems for Sustainable Development and Social Inclusion presso l’Università Statale di Milano. Nel 2019 è stata designata dalla Diocesi di Milano referente per la tutela delle fragilità.
Da anni coltiva e nutre l’eredità artistica della sorella Teresa, fondatrice del Teatro No’hma, alla cui memoria ha istituito un premio internazionale, ma non solo. Qui ci racconta infatti il frutto di un progetto che l’ha vista pellegrinare attraverso le abbazie d’Europa in un’esperienza di incontro, riflessione e rigenerazione che intreccia spiritualità, ecologia, tradizione e futuro. Le sue sono parole che aiutano a riscoprire il valore di luoghi talvolta apparentemente lontani, ma ancora capaci di offrire risposte urgenti alla frammentazione e al disorientamento del nostro tempo.
Da tutto questo è nato il libro In cammino (Marsilio, 236, euro18,00), progetto che dal 2023 ha toccato le principali abbazie europee attraverso sette nazioni (Inghilterra, Francia, Germania, Olanda, Belgio, Svizzera, Italia), in una sorta di pellegrinaggio tradotto in chiave moderna che ha avuto come meta luoghi simbolo della storia e della spiritualità europea.
Le abbazie e i monasteri che costellano l’Italia e l’Europa, infatti, non rappresentano soltanto le vestigia di un glorioso passato, ma sono spazi vivi, carichi di memoria e di futuro, in cui la storia ha lasciato tracce feconde, ancora in grado di suggerire modelli, ispirare gesti, sollecitare nuove visioni. È da questa intuizione che prende forma il viaggio qui narrato, un pellegrinaggio laico tra edifici e paesaggi, simboli e consuetudini, alla ricerca di ciò che rende attuali queste presenze secolari. Si va dal coro di Canterbury alla biblioteca di San Gallo, in Svizzera, da Orval e Scourmont, in Belgio, alle due Chiaravalle italiane, dall’hortulus di Fulda, in Germania, alle api di Morimondo, da Notre-Dame di Cîteaux, culla d’origine dei cistercensi, a Santa Maria di Follina, tra le colline trevigiane, dall’«abbazia verde» di Plankstetten, in Baviera, alla certosa di San Lorenzo di Padula e a Cisternino, nel Sud d’Italia.
Come è nato tutto questo?
«Tre anni fa – spiega Pomodoro – abbiamo iniziato a Canterbury il nostro progetto sulle abbazie d’Europa. Il progetto nasce da una mia lettura di Goethe sul fatto che l’identità dell’Europa fosse nata pellegrinando. Per questo ho pensato che sarebbe stato utile partire proprio dalle abbazie, che sono sempre state fari nelle civiltà d’Europa e hanno sempre cercato di fare passi avanti nel proporre forme di vita comunitaria, trasformando territori ridotti in cocci per via delle guerre, in comunità sostenibili e abitabili. In questo percorso abbiamo coltivato il rapporto prima di tutto con il territorio, poi ci sono stati momenti di spiritualità e abbiamo scelto una parola per ogni abbazia: su quella parola è stato costruito un percorso, laico, etico e culturale».
Ventitrè abbazie percorse in lungo e in largo, ma non solo un viaggio per viaggiare.
«È stato – prosegue Pomodoro – un viaggio di conoscenza e approfondimento, soprattutto di incontro con popoli, persone, comunità diverse tra di loro, ma anche un viaggio di desiderio di vita in armonia, senza asperità date dal conflitto, che non fa bene all’umanità, né al pianeta in cui viviamo, che poi è l’unico che abbiamo a disposizione».
C’è una tappa o una parola del viaggio che l’ha colpita più profondamente?
«Ogni abbazia è uno scrigno prezioso dove ci sono esperienze straordinarie: la prima parola era “pellegrinaggio”, la seconda “spiritualità”, poi “silenzio”, “bellezza”, “terra”, e ancora “acqua”, “cibo” come nutrimento del corpo ma anche dell’anima; abbiamo continuato con “radici”, “intrecci”, “lentezza” e “velocità”. Quello che ci hanno insegnato questi viaggi è che la velocità del nostro mondo è banale e superficiale, la lentezza del viaggio invece permette di pensare, conoscere ed esprimere la possibilità di essere uomini senza differenza. Poi abbiamo scelto le parole “purezza” e “regola”, abbiamo ragionato su “l’arte del custodire”, perché dovremmo tornare a imparare da ciò che abbiamo visto e sentito. E ancora “biodiversità”, “tradizione”, “pace”, “passione”, “grano”».
Lei scrive che questi luoghi non sono solo testimonianze del passato, ma sono luoghi “carichi di futuro”. Cosa ci danno?
«Si incontrano difficoltà in ogni territorio, ma in ciascuno si fa fronte con umanità e allegria. L’insegnamento è quello di ritrovare le ragioni della pace, e non quelle della guerra, della concordia e non dell’odio, così come la capacità di comprendere».
Quali aspetti della vita delle abbazie possono essere d’ispirazione per la società contemporanea?
«La società ha necessità di riapprendere la consapevolezza del vivere insieme e delle conoscenze antiche. E poi ricondurre le persone al senso della responsabilità individuale e collettiva, questo fa di noi quello che potremmo essere in futuro come umani, capaci di vivere in comunità».
Fonte: Eugenio Giannetta | Avvenire.it