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Cara Martina, nessuno dica mai che sei stata uccisa “per amore”

Afragola, lunedì 26 maggio. Martina, una ragazzina di 14 anni è scomparsa. I genitori, preoccupati, lanciano l’allarme. Partono le ricerche. Forze dell’ordine, amici, conoscenti, volontari si danno da fare per riportarla a casa. Tra coloro che, in ansia, rastrellano le strade e le campagne c’è anche Alessio, il suo fidanzatino di 19 anni. Martedì, la macabra scoperta. Il corpo senza vita di Martina viene ritrovato nella vecchia casa abbandonata e fatiscente dell’ex custode dello stadio. La ragazza è stata brutalmente assassinata a colpi di pietra. Gli inquirenti, nel giro di poche ore, ottengono dall’assassino piena confessione: «L’ho uccisa perché mi aveva lasciato» dice tra le lacrime, Alessio. Afragola è sotto shock. “Un amore malato”, dicono gli esperti. “Un amore tossico” ripetono i commentatori sui social. Affermazioni inesatte. Se è tossico, se è malato, infatti, un amore, soprattutto a questa età, tutto può essere tranne che amore. L’amore è dialogo, complicità, passione, amicizia, desiderio di far felice l’altro, comprensione, perdono.

Amare è un’arte. Ad amare s’ impara. Lentamente. Per farlo occorre avere dei maestri esperti che ti insegnano ad evitare le trappole che inevitabilmente trovi sul tuo cammino, e a imboccare le strade da perseguire. L’amore si fa in due. Chi ama sente il bisogno di donare non di rapinare la persona amata. Si inizia con le cose, gli oggetti, i regalini. Si continua donando il proprio tempo, rinunciando ad avere per forza ragione, evitando di fare male all’altro con le parole, con i gesti, con le offese. Chi ama, mai – e dico mai nel modo più assoluto – si permette di offendere l’amato con le parole, tantomeno di alzare le mani per intimorirla. Il violento, per un motivo o per un altro, può arrivare anche a ottenere la sottomissione dell’altro, ma mai l’amore vero, quello che fa sobbalzare il cuore, ti toglie il respiro, ti fa venire la tachicardia, ti ruba il sonno al solo pensiero che possa accadere qualcosa di brutto alla donna che ami.

Chi ama si fida. E se l’altro non ti permette di farlo, vuol dire che c’è qualcosa che bisogna rivedere. Amare, verbo tra i più belli da coniugare ma difficile da mettere in pratica. L’amore non si compra. Non si ottiene con le minacce. L’amore si nutre di libertà. Liberamente due persone si mettono insieme. Liberamente decidono di rimanere insieme. Il denaro, la bellezza fisica, il potere, la giovane età possono concorrere a fare scoppiare la scintilla dell’amore ma da soli non bastano, se – liberamente! – l’altro non ti dice: «Ti amo». L’amore, come la vita, è fragile. Un fuoco che devi continuamente alimentare, con il dialogo, il rispetto, le attenzioni, la generosità, la fedeltà, la verità. Uno dei peggiori nemici di ogni amore è la menzogna. Nel momento che si insinua in un rapporto, piano piano ne rosicchia la sostanza. Potremmo continuare. Chi ama è disposto a dare la vita pur di far felice la persona amata. Che differenza abissale tra chi dona la sua vita e chi invece la distrugge, la vita. “Ti amo troppo, se non puoi essere mia non sarai di nessuno”. No. “Ti uccido perché non ti ho mai amato. Non ho mai imparato ad amare. Ti ammazzo perché sono incapace di gestire il malessere che mi viene dal tuo rifiuto. Ti massacro perché il mio orgoglio non mi permette di accettare una sconfitta dovuta al mio non sapere amare”. Non sto negando che il rifiuto della donna di cui sei innamorato non ti faccia soffrire. Non sto dicendo questo. Dico invece che occorre imparare a convivere anche con le sconfitte che la vita ci presenta o ci potrebbe presentare. Nessuna donna è “mia” se lei – liberamente – non mi dice “sono tua”.

Cara Martina, cara ragazzina che ti stavi affacciando nel mondo dorato e pericoloso del rapporto a due, il tuo nome va ad aggiungersi alla lunga lista delle donne uccise da chi diceva di amarle, da chi era convinto che senza di loro non avrebbero più potuto vivere. Tutte fandonie, perché adesso Alessio, Filippo, e tanti altri che si sono macchiati dei delitti orrendi delle “loro” donne, stanno continuando a vivere senza di loro, e per giunta in carcere. Di tutte, però, tu sei la più giovane. Non ti offendere, Martina, se sento il bisogno di chiamarti bambina. Per questo motivo sono alla ricerca del nome da dare al tuo assassinio. Femminicidio mi pare troppo per te che eri solo una ragazzina.

Fonte: Maurizio Patricello | Avvenire.it

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