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Disarmata e disarmante

Pace è la parola con cui Leone XIV ha inaugurato il suo pontificato, non è un’utopia o un progetto politico, ma l’essenza della fede. È la pace che Cristo prima promette ai suoi discepoli «Vi lascio la pace: è la mia pace che vi dono. Non ve la dono come fa il mondo. Non si turbi il vostro cuore e non si spaventi» (Gv 14, 27); e che dopo regala loro, una volta risorto, con un soffio, «mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”» (Gv 20,19-22).

Questa pace, disarmata e disarmante, umile e perseverante, come l’ha definita il papa, non è un’ideologia o un idealismo, ma la descrizione della vita di Cristo data a chi la vuole, qui e ora: così come Dio crea l’umano soffiando su di lui “plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gn 2,7), allo stesso modo Cristo lo ri-crea con un soffio, lo Spirito che dona e diffonde questa pace, che è il marchio di garanzia del vangelo. Ma che cosa è questa pace? Perché è diversa da quella del mondo?

 

Cristo specifica che la sua è una pace diversa da quella che può dare il mondo. Quest’ultima, come mostra l’antica radice pag-, indicava il legare due parti mediante un “pac-tum”, patto (della stessa radice rimane forse traccia anche nel nostro “pagare”, nel senso di essere alla pari), ed è frutto di compromessi. Per gli antichi Romani infatti lo stato di guerra era lo stato naturale dei rapporti con i popoli stranieri, a meno che non si sancissero patti per regolarli (ogni politica imperiale detta rapporti di forza, ieri come oggi).

La cosiddetta “pax romana” era l’interruzione dello stato di guerra permanente, un equilibrio imposto dal più forte, finché lo è stato… Quando Cristo dice “pace a voi”, in latino “pax vobis”, non impone un rapporto di forza del divino sull’umano, un accordo tra parti in guerra, ma crea la nuova condizione in cui umano e divino sono una cosa sola. Infatti nell’originale greco la frase suona “Εἰρήνη ὑμῖν” (eirene hymin), dove la parola “pace” non indica “patto” (si usava un’altra parola) ma uno stato dell’essere, non usa un termine giuridico o diplomatico, ma la condizione di chi è in relazione armonica con se stesso, con le cose, con gli altri, perché ha in sé la vita di Dio, che è Amore.

Eirene era la parola greca più vicina all’ebraico “Shalom”, saluto usato dai popoli semitici che però, nel discorso del risorto, non è un mero augurio ma un dato di fatto: felicità, gioia, pienezza, integrità, salvezza, qui e ora, e sempre. Cristo offre ai suoi, soffiando lo Spirito, una condizione nuova, in cui ognuno può, se lo vuole, fiorire, perché l’ostacolo alla felicità – il male con tutte le sue manifestazioni (morte, dolore, paura, violenza…) – non avrà mai la meglio (“Il male non prevarrà” ha detto Leone XIV, e non per consolare i fedeli con promesse di marketing, ma per ricordare loro come stanno le cose sul piano della fede). La pace che Cristo “soffia” nei suoi è quindi cosa ben diversa da quella incerta del mondo, non è il benessere mentale o materiale, o un equilibrio provvisorio imposto dal più forte, ma un modo di vivere nuovo: per amore e per amare.

Che nel mondo questa pace ci sia o meno dipende proprio dai cristiani, perché questo è il dono e il compito che hanno ricevuto, come accade a due che si amano: mettono su casa, ampliano la vita che hanno in loro. Questa pace, narrata in forma di soffio e quindi non di imposizione, deve però essere prima e ogni giorno accolta, solo così produce anche soggettivamente quello che è oggettivamente (un regalo non è tale se non lo scarto, la grazia non la ricevo se non la voglio). Questa pace è quindi uno stato a monte di qualsiasi progetto o impegno, che ne sono poi la logica conseguenza. La pace è disarmata e disarmante, umile e perseverante perché così è Cristo, se c’è Cristo in noi, c’è questo modo di essere: «Chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi» (Gv 14,12), parole che prese sul serio riempirebbero le chiese.

Il papa sta quindi ricordando ai cristiani non un progetto, non un programma, non un’utopia, non un’etichetta, non un’ideologia, per cui impegnarsi, ma chi loro stessi sono per grazia ricevuta e chi possono essere sempre più, per libera scelta. Questo modo di essere non li differenzia in nulla dagli altri, hanno gli stessi difetti e pregi, fortune e sfortune, limiti e talenti, cadute e successi, ma il tutto con una gioia e un’assenza di paura che non è, appunto, di questo mondo, cioè spiegabile con le sole forze umane.

È come quando mia madre (auguri alla mia e a tutte le madri per la festa di ieri) fa una torta che anche io saprei fare, perché gli ingredienti sono quelli, ma la sua è sempre di un altro livello: «Che cosa ci hai messo? Qual è il segreto?». Come far sì quindi che si dia questa pace disarmata e disarmante, umile e perseverante? Lo spiega Cristo in un altro testo la cui potenza è stata ridimensionata: «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol portare in tribunale per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due… Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siete figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5, 38 ss). Queste parole, pronunciate nel contesto del “Discorso della montagna”, sono spesso ritenute un idealismo a cui tendere, ma comunque irraggiungibile.

Cristo però non sta invitando a farsi prendere a schiaffi, ma sta descrivendo che cosa accade a chi crede in lui e riceve quindi la sua vita/pace: disinnesca la violenza sul nascere, è disarmato e quindi disarma. L’oggetto di un litigio è quasi sempre insignificante, ma diventa guerra proprio perché non si è stati capaci di disobbedire alla “violenza iniziale”, che poi provoca l’escalation a livello micro e macro. Noi non litighiamo a causa di qualcosa, ma usiamo qualcosa come pretesto per litigare. Abbandonare l’oggetto della contesa (nella metafora la guancia, la tunica, il miglio…) sovverte la logica mondana dell’occhio per occhio dente per dente.

Cristo legge la violenza come un contagio, e così anche l’amore, che infatti soffia. Per questo papa Francesco diceva di non andare mai a dormire senza chiedersi “scusa” e senza una carezza, perché solo questo interrompe l’escalation che l’indomani non avrà energie per crescere. Ci capita quando qualcuno ci insulta nel traffico, se rispondiamo inneschiamo la guerra, una guerra sul nulla (i tre secondi che l’altro pensa di aver perso a causa nostra, tre secondi per fare cosa?), se invece sorridiamo, tutto si sgonfia: «Disarmante!».

In ogni ambito è così, anche per le attuali guerre, al fondo delle quali ci sono “terre” che potevano e dovevano essere divise ma che proprio la violenza ora ha reso indivisibili, con reazioni fuori da ogni legittima difesa, pagate per lo più da innocenti. Le parole di Cristo non sono quindi un invito alla passività, a farsi maltrattare, ma a un’azione molto più coraggiosa, intelligente e duratura: smascherare la violenza, rendendola insignificante quando si è ancora in tempo, mostrare subito il nulla per cui si arriverebbe a sentirsi “giustificati” nel distruggere la vita dell’altro. Qualcosa che oggi i potenti della terra non sanno e non vogliono fare, al contrario di molta gente della strada. Questo è ciò che il nuovo Papa ha chiesto ai cristiani, di cui è guida e servo («con voi cristiano, per voi vescovo» ha detto con parole di Agostino): riportare la vita di Cristo, cioè la pace, nel mondo. Questa è una pace da Leone.

Fonte: Alessandro D’Avenia | Corriere.it

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