Ancora qualche riflessione, in attesa del 7 maggio, inizio del Conclave. Aggiornamento, continuità, riforme, che cosa significano?
La litania sul prossimo Pontefice è continuata per tutta la settimana con gossip di varia natura, alcuni più simpatici, altri sgradevoli. Ma al cardinale tennista, francamente, preferiamo Sinner o Musetti e a quello bevitore la “famosa” leggenda del santo bevitore, che cardinale non era.
Progressista o conservatore, degli ultimi o dei penultimi, riformatore o “indietrista”, sono tutte categorie che lasciano un po’ il tempo che trovano, come si dice.
Proviamo però a inserire il Conclave dentro la recente storia della Chiesa, quella dei Pontefici che hanno espresso nel loro Magistero la necessità di una nuova evangelizzazione per gli antichi paesi della cristianità e, inoltre, hanno auspicato l’evangelizzazione ad gentes, la prima questa volta, di Asia e Africa. Se leggete l’Enchiridion della nuova evangelizzazione, troverete i testi del Magistero su questo tema da Pio XII fino a Benedetto XVI. Al tema, Papa Francesco ha dedicato un capitolo del suo programma di pontificato, l’Evangelii Gaudium.
Sullo sfondo di questo Magistero c’è il Concilio Vaticano II, il ventunesimo concilio ecumenico della storia della Chiesa, che volle una Chiesa missionaria in un mondo che l’aveva rifiutata. Come ha scritto san Giovanni Paolo II (13 gennaio 1986), l’intenzione del Concilio era ben chiara già nel primo discorso di san Giovanni XXIII, l’11 ottobre 1962. Due Pontefici, entrambi canonizzati, per ribadire che il tema delle riforme (necessarie) non riguardava la dottrina, santa e immutabile, ma il modo di proporla ai contemporanei, profondamente cambiati nel corso del Novecento. Ma forse chi ha espresso al meglio questo concetto è stato Giovanni Paolo I, il 13 settembre 1978, in uno dei suoi pochi discorsi: «Quando il povero Papa, quando i vescovi, i sacerdoti propongono la dottrina, non fanno altro che aiutare Cristo. Non è una dottrina nostra, è quella di Cristo; dobbiamo solo custodirla, e presentarla. Io ero presente quando Papa Giovanni ha aperto il Concilio l’11 ottobre 1962. Ad un certo punto ha detto: Speriamo che con il Concilio la Chiesa faccia un balzo avanti. Tutti lo abbiamo sperato; però balzo avanti, su quale strada? Lo ha detto subito: sulle verità certe ed immutabili. Non ha neppur sognato Papa Giovanni che fossero le verità a camminare, ad andare avanti, e poi, un po’ alla volta, a cambiare. Le verità sono quelle; noi dobbiamo camminare sulla strada di queste verità, capendo sempre di più, aggiornandoci, proponendole in una forma adatta ai nuovi tempi. Anche Papa Paolo aveva lo stesso pensiero».
Quindi, il Credo del popolo di Dio di san Paolo VI (1968), il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) e la Dichiarazione sull’unicità e universalità salvifica della Chiesa di Cristo (2000) confermano come la dottrina sia sempre il riferimento di chi vuole professare la fede cattolica, nonostante i tanti tentativi che ci sono stati, e continuano, di modificarla per rendere la Chiesa disponibile al mondo.
Si illuderebbe però chi pensasse che basti professare questa fede santa per “convincere il mondo del suo peccato”. La parte che spetta alla Chiesa militante è proprio quella di cercare il modo di proporla adatto al tempo storico: è l’«aggiornamento» di cui parla il Magistero. Così la Chiesa, sotto la guida del Magistero dei Papi e dei vescovi, ha sempre fatto, modificando l’approccio a seconda dei tempi. La Chiesa dei primi tre secoli, durante le persecuzioni, aveva caratteristiche diverse da quella che generò la prima cristianità, così come la Chiesa tridentina che si difese dalla Riforma e dalle rivoluzioni non aveva lo stesso approccio di quella medioevale né di quella di oggi, che appunto ha preso atto della fine della civiltà cristiana e anche del sistema ecclesiale basato sul Concilio di Trento. Ognuna di queste fasi ha avuto le sue luci e ombre, e ognuna era adatta al proprio tempo, ma non rispondeva alle necessità dell’epoca successiva. Ma era sempre la stessa Chiesa a essere protagonista delle proprie riforme, nella continuità e senza rotture, come ha detto nel dicembre 2005 Benedetto XVI per interpretare correttamente il Concilio Vaticano II.
Così è stato e così sarà anche dopo il prossimo Conclave. La Chiesa, semper reformanda, troverà nel nuovo Pontefice una guida che farà le riforme che riterrà necessarie e custodirà il deposito della fede, come hanno fatto i suoi predecessori. Non sarà facile superare gli ostacoli provenienti dall’esterno della Chiesa e anche dall’interno, e non sono assicurati i risultati che forse tutti auspichiamo. La Sposa di Cristo sarà ancora perseguitata dai suoi nemici e ancora tradita, come sempre è accaduto. Ma non perderà mai la speranza, forte della vittoria di Cristo sulla morte e sul peccato.
Piuttosto, preghiamo perché il prossimo Papa risponda alle Grazie che il Signore vorrà elargirgli, cioè che diventi santo, come molti dei suoi predecessori, non tutti.
A noi preme questo, che ci sia presto semplicemente un Papa che colmi il vuoto della sedes vacans, come si legge nella pagina ufficiale della Santa Sede.
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