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CONTRO LA CRISI/ La lezione ancora attuale del miracolo economico italiano

I primi cento giorni della presidenza di Donald Trump sono stati giudicati come un grande successo dallo stesso Presidente, ma la realtà dei fatti mostra una realtà tutt’altro che favorevole.

La crociata con i dazi avviata all’inizio di aprile contro tutto e contro tutti ha avuto effetti negativi a catena: 1) sono crollate le Borse, che si sono riprese dopo la ritirata strategica e il rinvio dell’attuazione delle restrizioni commerciali; 2) la crescita economica è diventata negativa dopo gli anni positivi (Covid escluso) della presidenza Biden; 3) il dollaro ha perso terreno e la Banca centrale ha incontrato crescenti difficoltà nel collocare i titoli del debito pubblico americano, titoli che erano considerati (prima) i più sicuri.

In sintesi non si può dire che gli interventi di Trump abbiano favorito, almeno nell’immediato, la crescita economica. E in prospettiva il freno alla globalizzazione non potrà che presentare il conto anche perché continua a essere seminata la pianta dell’incertezza destinata a soffocare quella fiducia che è un elemento essenziale della crescita economica.

Se Trump avesse guardato alla storia avrebbe potuto scoprire che negli anni ’30 del secolo scorso proprio il protezionismo è stato una delle cause che hanno portato l’economia reale a una gravissima recessione e alla crisi finanziaria del ’29.

In quegli anni alla presidenza c’era un repubblicano Herbert Hoover e solo la drastica inversione di tendenza nella politica economica decisa dal democratico Franklin Delano Roosevelt nel ’33 diede il via al New Deal, qualcosa di molto simile al miracolo economico dell’Italia del secondo dopoguerra.

Proprio il “nostro” miracolo economico resta uno dei modelli più efficaci, e quindi più attuali, per individuare le strategie migliori per la crescita economica di un Paese. È questo il filo d’Arianna che guida Nicola Rossi in un libro altrettanto avvincente quanto provocatorio: “Un miracolo non fa il santo” (Ed. Ibl libri, pag. 334, €24).

Avvincente perché il libro costituisce un’accurata analisi storica mettendo a confronto parole e fatti, politiche e protagonisti, rivalutando il valore dell’iniziativa privata e della libera impresa. Provocatorio perché si mette in dubbio l’efficacia delle tradizionali strategie di crescita, in particolare quelle basate sugli interventi degli Stati con l’espansione keynesiana della spesa pubblica.

“Il punto di vista adottato in queste pagine – annota Rossi – suggerisce che più che gli aspetti materiali (le risorse, la struttura degli incentivi, la natura delle istituzioni, la configurazione delle regole del gioco) siano stati gli aspetti immateriali (le abitudini, i valori, i costumi) a contare nel definire il processo di crescita unitario”.

Un processo di crescita che è rimasto un esempio ristretto in pochi anni caratterizzati da circostanze favorevoli: dalla ricostruzione agli aiuti americani, dall’apertura all’Europa alla forte capacità imprenditoriale e di innovazione. La libertà d’impresa è stato il filo conduttore di una rinascita che ha fatto dell’Italia un grande Paese industriale.

Poi, dagli anni ’60, lo scenario è gradualmente cambiato con la crescita del ruolo dello Stato, con le grandi imprese alla ricerca di protezioni politiche, con le crescenti difficoltà per la ricerca e l’innovazione. Il miracolo economico non ha avuto seguito ed è rimasto come una lezione ancora attuale, ma difficile da replicare.

Fonte: Gianfranco Fabi| IlSussidiario.net

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