[Don Marco Begato ha iniziato con un precedente articolo una ricerca a più tappe sulla questione gender e tormentone LGBT e Woke. Pubblichiamo ora un secondo articolo ove egli conclude il discorso del precedente e adopera Romano Guardini per chiarire il rapporto tra assolutizzazione delle differenze ed egualitarismo, concetti centrali nell’ideologia gender. I titoli dei paragrafi sono redazionali].
Abbiamo introdotto la questione degli stereotipi. La abbiamo ampiamente trattata alla luce delle riflessioni di H. G. Gadamer attorno al valore epistemologico dei pregiudizi. Abbiamo così raccolto un dato prezioso: la conoscenza umana non può mai sbarazzarsi definitivamente di pregiudizi e stereotipi, dovrà dunque trovare un modo intelligente di usarli.
L’idea di condannare qualsiasi ricorso agli stereotipi risulta quindi infondata, errata e nociva.
Abbiamo anche accennato a un secondo elemento, il fatto che i pregiudizi e gli stereotipi trovino un fondamento oggettivo nella realtà. Questo secondo appunto non è stato approfondito nel precedente articolo. Per farlo si potrebbero citare vari testi, ma non sarà il mio obiettivo odierno. Tanti sono i lavori già pubblicati, tra gli altri ricordo il saggio divulgativo ma puntuale di Giuliano Guzzo …
Una ripresa su veri e falsi stereotipi
Oggi preferisco toccare l’argomento con parole mie e limitarmi a definire genericamente gli stereotipi come delle realtà verosimili che hanno un fondamento statisticamente comprovato nella natura e/o nella natura. Anzitutto, e facendo un passo indietro, richiamiamo la tesi di Gadamer, secondo cui esistono due tipi di pregiudizi, quelli veri e quelli falsi. Quelli falsi vanno smascherati e superati. Quelli veri si tengono e guidano la crescita del sapere. Lo stesso, dicevamo, vale per gli stereotipi. Quindi proviamo a dire cosa possiamo intendere con stereotipi veri. Considero stereotipi veri quelli che hanno un fondamento oggettivo, una base che si riferisce a dati solidi, come per esempio gli elementi biologici. Per esempio, se ci riferiamo alle narrazioni LGBTP, e trattiamo la questione dei sessi e dei generi, i dati biologici saranno quelli dei cromosomi, degli ormoni, delle reti neurali, delle strutture fisiche. Ma per l’appunto, e seguendo la mia definizione, uno stereotipo dice di un certo andamento statistico e dunque ha a che vedere con una variabilità. Sempre sostando sull’esempio dato, la variabilità si incontrerà a più livelli: già a livello biologico si può dare uno sviluppo maggiore o minore dei caratteri maschili o femminili del soggetto; in più a livello psicologico e sociologico possono intervenire differenti stimoli, tali da rimodulare ulteriormente il ruolo della variabile biologica; infine, a livello spirituale si incontrano ulteriori variabili, legate al senso dell’esistere e alle scelte di libertà. Per cui generalmente dal maschio ci attendiamo alcuni caratteri, che però potremmo non trovare a motivo delle variabili – biologiche, psicologiche o spirituali – in atto nei singoli soggetti. Il pregiudizio che esprimiamo sui maschi, riferendoci ai caratteri stabili presupposti e prevedibili, è uno stereotipo. Se esso è consapevole del proprio limite e quindi è pronto ad essere revisionato alla luce delle singole situazioni, diviene un pregiudizio vero, uno stereotipo sano. Se esso si illude di rappresentare una conoscenza universale, risulta uno stereotipo nocivo. Ugualmente nociva e assurda sarà però la pretesa di giudicare le persone quasi fossero il prodotto di pure variabili soggettive, prescindendo da quegli elementi che le definiscono oggettivamente.
Quanto alle variabili, aggiungo due brevi incisi. Il primo è che lo spettro di variabilità non è infinito e non è arbitrario, bensì è legato alle possibilità di variazione proprie dell’ambito considerato. In campo sessuale, possono darsi significative variazioni, per esempio legate al livello di ormoni o alla plasticità celebrale, ma esse rimangono all’interno di limiti scientificamente rilevabili, altrimenti si finisce nella patologia fisica (ermafroditismo) o mentale (follia). Esiste anche una patologia spirituale? Sì, e questo ci introduce al secondo inciso. Vi è una variabilità legata alla componente spirituale: essa è potenzialmente più ampia di quella psico-fisica – lo spirito effettivamente può sporgersi ben al di là di ciò che gli permette il sostrato corporeo e psichico -, ma non dimentichiamo che a questo livello spirituale si intreccerà sempre e intrinsecamente la dimensione morale: certe pretese posizioni dello spirito sono cioè possibili ma cattive. Non mi dilungo oltre perché qui si tratta di materia nota e già affrontata da moralisti e teologi nelle debite sedi.
Alla luce di queste considerazioni nuovamente affermo: gli stereotipi presentano una verosimiglianza con un fondamento statisticamente comprovato. Il problema, dunque, non sono gli stereotipi (ineliminabili), ma il loro utilizzo (da monitorare). A questo punto avevamo concluso l’articolo precedente. Offrendo un richiamo genericista al compito di studiare. Si potrebbe approfondire ulteriormente tale via? Certamente, ma non sarà la mia preoccupazione.
Una pagina di Romano Guardini
Anziché scavare nel tema degli stereotipi preso in se stesso, preferisco spostare il focus della riflessione ed esplorare in che modo si potrebbe purificare il nostro sguardo sugli stereotipi. Per fare questo, mi lascerò guidare da una pagina illuminata di Romano Guardini.
Riporto integralmente la pagina, che poi commenteremo:
“Non è vero che tutti gli uomini siano uguali; sono diversi secondo le loro nature, diversi secondo il modo e la natura delle loro doti. L’uguaglianza non consiste in ciò, che tutti siano e valgano lo stesso, ma in ciò che uno sia se stesso e possa raggiungere il posto che gli compete tra gli altri. Questa è vera democrazia. È un modo di sentire plebeo quello che afferma che tutti siano uguali. L’invidia non vuole che alcuno valga di più e vuole abbattere chi si alza sopra gli altri. Dove essa domina, non nasce il ricco, intenso, unitario comportamento del popolo nello Stato. Atteggiamento politico significa che si vede e si riconosce la differenza delle doti. Se si lascia arrivare il singolo al posto che gli compete, le forze e le doti maggiori raggiungeranno i compiti e le maggiori responsabilità, anche se così resteremo noi stessi nell’ombra. E, per converso, Stato significa che colui che si trova in una situazione di comando compie la sua opera nel tutto come lo richiedono le circostanze e in favore della comunità; significa che ci comanda lascia che gli altri partecipino, capiscano e collaborino, e fa sentire attraverso tutto il suo modo di agire come egli lavori per loro. Così, l’unità diventa l’unità di chi guida e di chi è guidato; di chi va avanti e di chi segue; del creatore e dello scopritore e del collaboratore” (R. Guardini, Lettere sull’autoformazione, Morcelliana, Brescia 1994, 181).
Commentiamo dunque questa intensa citazione. Anzitutto la contestualizziamo: il testo è tratto dalla “Lettere sull’autoformazione”, raccolta di brevi scritti che l’autore indirizza alla gioventù tedesca degli anni Trenta. In particolare, la nostra citazione compare nella “Lettera Nona. Lo Stato siamo noi”.
L’egualitarismo come ideologia
Perché ci interessa tale citazione? Perché il motto sull’uguaglianza richiama una classica visione illuminista. Gli illuministi, al grido di Egalité!, ci hanno inculcato che è ragionevole riconoscere l’uguaglianza di tutti e che sarebbe pregiudiziale misconoscerla. Commentando tale paragrafo, avverso all’egualitarismo, troviamo preziose indicazioni per vincere quei classici assunti e possiamo trarne utili suggerimenti per superare anche i più moderni assunti, essi pure di matrice illuministica (cfr. i commenti di Gadamer nel precedente articolo).
Guardini esordisce seccamente enunciando la tesi: “non è vero che tutti gli uomini sono uguali”. E subito aggiunge un rilievo fenomenologico, cioè una evidenza accessibile a tutti: “son diverse le nature, sono diversi i modi di darsi di esse”. Se dunque diamo voce all’evidenza, anche noi dobbiamo riconoscere che si danno delle nature, che esse hanno caratteri netti, che poi si danno modi differenti in cui tali nature e tali caratteri possono essere vissuti. L’aggressus di Guardini tocca il mito dell’uguaglianza, ma la cultura LGBTP rappresenta la posizione uguale e contraria dell’egualitarismo, l’altra faccia della medesima medaglia ideologica: affermare che tutti siamo uguali o che tutti siamo diversi, in assoluto e senza distinguo rispettosi della realtà, significa compiere il medesimo errore. E quanto più tale errore viene cavalcato, tanto più si fa evidente che la Gender Theory va sempre più configurandosi come una Gender Ideology, intendendo con ideologia una struttura di pensiero disobbediente ai criteri di realtà e recalcitrante al rapporto con la realtà stessa.
Prosegue l’autore: “L’uguaglianza non consiste in ciò, che tutti siano e valgano lo stesso, ma in ciò, che uno sia se stesso e possa raggiungere il posto che gli compete tra gli altri”. La fenomenologia di Guardini ha sempre un marcato riferimento antropocentrico con significativi approfondimenti sul valore della coscienza e dell’identità soggettiva. Anche in questo caso troviamo simili agganci. Qual è dunque secondo Guardini il criterio capace di sciogliere il nodo dell’egualitarismo (e per noi del genderismo?): tornare alla verità sull’uomo. E questo quali elementi comprende? Ne include almeno tre, anzitutto si chiede una riflessione sull’autenticità del soggetto (“che uno sia se stesso”), quindi ricorda che l’identità personale si definisce nella relazione con gli altri individui (“il posto che gli compete tra gli altri”), e infine si riconosce che tale identità va conquistata, si pone come meta di un cammino rigoroso e non come emersione spontanea, chiede dunque disciplina e fatica (“possa raggiungere” è un’esortazione e non un dato di fatto). Tutte le “Lettere” di Guardini sono poste sotto tale prospettiva, ai giovani si propongono alti ideali che però sono presentati come meta di un cammino rigoroso, in alternativa a spontaneismi e facilitazioni che hanno come pegno una vita di basso profilo o anche il fallimento del proprio essere.
Aspetti politici dell’egualitarismo
“Questa è vera democrazia”, chiosa il Guardini. Fuori da tale prospettiva, fuori di una assunzione responsabile e impegnata per trovare la propria autenticità nella società, adempiendo il compito che la natura ci ha dato, fuori di tutto ciò non avremo democrazia, ma anarchia e dispotismo. Ricordiamo che Guardini ragiona alla luce della disfatta della Prima Grande Guerra e nel clima di instabilità politica nella Germania degli anni Trenta, e questo fa di lui un teste autorevole sull’argomento, da non sottostimare.
Il passaggio successivo introduce elementi scomodi per la cultura attuale: “È un modo di sentire plebeo quello che afferma che tutti siano uguali”. Guardini mette in guardia proprio dal rischio che il nostro modo di sentire sia vile e sprovveduto. Nuovamente, tra le righe si cela una forte consapevolezza: si danno diversi livelli di sapere, di sentire e di volere. Alcuni di essi sono nobili e ricchi, altri mediocri, altri plebei. Non c’entra nulla con ciò la classe o la provenienza, c’entra invece la serietà con cui ciascuno assume il compito di ricerca della verità. L’affermazione dell’egualitarismo corrisponde a una lettura semplificata e grossolana delle dinamiche antropologiche e quindi merita il titolo di concezione plebea. Sembra una diagnosi pulita della nostra epoca, che ha evidentemente banalizzato il sapere e l’informazione; l’era dei social ha reso tutti in apparenza opinionisti ed esperti, ma generalmente ci troviamo solo più banali e instupiditi.
Guardini poi precisa. Le ideologie non risultano plebee unicamente per la loro fragilità teoretica, bensì perché si appoggiano su un senso morale compromesso, spesso loro motore è l’invidia personale: “L’invidia non vuole che alcuno valga di più e vuole abbattere chi si alza sopra gli altri”. Dietro le teorie egualitariste si cela dunque un’opzione esistenziale; oltre alle difficoltà teoretiche e prima di esse incontriamo delle bassezze comportamentali e personali. L’animo invidioso, proprio perché è tale, si trova accecato nel riconoscere la verità delle differenze che arricchiscono; l’animo invidioso nega le differenze e impone l’egualitarismo perché non accetta che qualcuno possa differire da lui in meglio. La viltà alimenta l’ideologia. E quindi dovremmo chiederci anche circa le Gender Theory: l’assolutizzazione delle differenze e l’egualitarismo applicato ai generi nascondono una fragilità esistenziale di chi non accetta che altri siano migliori di sé? Durissima questa domanda, inaccettabile per i contemporanei, ma genuina. Vi risponderemo in un articolo a venire. E un altro interrogativo si pone circa il grave problema di affidare scelte politiche a uomini moralmente corrotti ed esistenzialmente compromessi. Se la verità e il potere dipendono da persone spiritualmente schiave, lo Stato non potrà che trarne danno. Se le leggi vengono fatte dal governo dei peggiori, saranno leggi pessime. Ne parleremo nel prossimo articolo.
Guardini prosegue nella denuncia delle derive conseguenti agli atteggiamenti plebei, dove essi dominano “non nasce il ricco, intenso, unitario comportamento del popolo nello Stato”. Ma allora quale atteggiamento è richiesto per promuovere un senso statale ricco e fecondo? La risposta chiesta per essere autentici uomini e cittadini è molto esigente e si fonda sull’appello a una magnanimità senza mediocrità. Per essere buoni cittadini bisogna essere personalità di una rettitudine superiore, sacrificata addirittura. Scrive l’autore: “lascia arrivare il singolo al posto che gli compete, le forze e le doti maggiori raggiungeranno i compiti e le maggiori responsabilità, anche se così resteremo noi stessi nell’ombra”. La verità e la civiltà chiedono al singolo uno spirito di autenticità, umiltà e oblazione. Riconoscere dove sta il meglio e promuoverlo, anche a costo di dovermi mettere io stesso in disparte – e questo per il beneficio di tutta la comunità e non di un gruppo ristretto.
Lo stesso atteggiamento si richiede al ‘migliore’ assurto ai posti di comando, il quale è chiamato ad agire in modo che “gli altri partecipino, capiscano e collaborino, e fa sentire attraverso tutto il suo modo di agire come egli lavori per loro. Così l’unità diventa l’unità di chi guida e di chi è guidato; di chi va avanti e di chi segue; del creatore e dello scopritore e del collaboratore”.
Il testo di Guardini non approfondisce la definizione degli stereotipi e non esemplifica la loro catalogazione o evoluzione. Fa qualcosa di diverso, e di grandemente importante per noi: getta luce sulle qualità umane richieste al singolo e alla comunità al fine di costruire insieme una politica giusta, imperniata sulla verità. Nel precedente articolo ho lasciato un richiamo generico al compito di studiare, per meglio comprendere il portato dei diversi stereotipi in base alle situazioni e alle aumentate conoscenze scientifiche. Ora, grazie al filosofo italo-tedesco, siamo andati oltre. Abbiamo visto che è necessario lavorare anche e soprattutto su se stessi, sul proprio sguardo, sul proprio senso morale, sul proprio modo di vedere, sulla propria disponibilità nei confronti della verità e della giustizia, sulla forza di superare l’egoismo e di sottomettersi alla realtà anche quando essa non è generosa con noi, o almeno lo è di più con gli altri. Tutte queste attitudini hanno a che fare radicalmente con la capacità di confrontarsi con gli stereotipi, di sciogliere quelli falsi, di proporzionare quelli veri e di fuggire le ideologie.
Le prossime tappe della nostra ricerca
A questo punto potremmo aprire un grosso capitolo relativo alla formazione personale e magari addentrarci nello studio complessivo delle “Lettere” di Guardini. Ma questo ci porterebbe fuori tema. Però nel prossimo articolo sosteremo ancora un momento a commentare la struttura della Lettera Nona, dedicandoci alla questione della Comunanza nel suo complesso. Essa ci offrirà ricchissimi spunti per riflettere sul senso della politica e su come rispondere virtuosamente alle sue crisi moderne. La debacle sugli e degli LGBTP sta mostrando infatti, tra gli altri aspetti, anche un lato di profondo decadimento nel senso statale e democratico. La visione politica rappresenta dunque un ulteriore punto di vista sul problema, la chiarificazione del quale potrà darci istruzioni notevoli attorno al problema stesso. Così prosegue il nostro cammino, che appunto vuole essere non un’analisi dell’oggetto LGBTP, quanto una critica del contesto e dei presupposti che a tale oggetto stanno dando linfa e protagonismo.
Fonte: Marco Begato | VanThuanObservatory.com