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Dopo le parole del papa Ucraina, negoziato possibile se Putin ferma l’avanzata

Le affermazioni del Papa sul conflitto in Ucraina, che hanno creato una forte tensione politica, pongono comunque l’attenzione sulle possibilità concrete di un negoziato per porre fine a questa guerra: la condizione per chiedere a Kiev di trattare è che la Russia si fermi, ma la base più realistica per un accordo è la proposta di Elon Musk dell’ottobre 2022.

 

Le reazioni all’intervista di papa Francesco sono state molteplici e, fondamentalmente di due indirizzi completamente divergenti, di consenso o dissenso radicali. D’altra parte la prospettiva almeno di un armistizio o anche solo di un momentaneo cessate il fuoco è così auspicabile che non può essere scartata a priori. Il “conflitto a bassa intensità” in Ucraina come era stato definito da Sergio Romano non più tardi di novembre 2023, costa quasi mille morti e feriti al giorno ed è doveroso tentare in ogni modo di mettere fine a questo scempio.

L’intervista di papa Francesco alla tv della Svizzera italiana non sembra aver contribuito a una chiarificazione degli obiettivi di pace, venendo stroncata senza appello o esaltata a seconda della polarizzazione dei commentatori. L’intervento della diplomazia vaticana per chiarire e spiegare le parole del papa ha dovuto fare i conti con il tono generale di tutta l’intervista, imperniata sulla condanna senza appello di ogni intervento armato, compresi gli interventi umanitari sui quali il papa ha così commentato: «Sì, alle volte sono umanitari, ma sono per coprire anche un senso di colpa».

Nessuno nega che il ricorso alle armi possa portare a derive pericolose. Sarebbe però il caso di ricordare a un’opinione pubblica affetta ormai da “alzheimer” collettivo che due pacifisti come il laico Alex Langer e San Giovanni Paolo II avevano chiesto l’intervento armato dell’ONU per far cessare il mattatoio della Bosnia. Così San Giovanni Paolo II si era espresso il 17 gennaio 1993 nel discorso al corpo diplomatico «Una volta che tutte le possibilità offerte dai negoziati diplomatici siano state messe in atto e che, nonostante questo, delle intere popolazioni sono sul punto di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore, gli Stati non hanno più il “diritto all’indifferenza”. Sembra che il loro dovere sia proprio quello di disarmare l’aggressore».

E stupisce il riferimento totalmente negativo di papa Francesco ai cimiteri della Normandia e di Anzio, dimenticando che, senza il sacrificio di milioni di uomini e di donne (soprattutto russi) l’Europa sarebbe nazista.

È necessario, tuttavia, concentrare la nostra attenzione non sulle dichiarazioni del Papa ma sulle premesse concrete a un processo di pace. E, per far questo bisogna riassumere quanto avvenuto in ambito diplomatico in questi due anni di guerra.

Una storia delle trattative di pace con la Russia, dal dicembre 2021 ad oggi, è utile per capire quali siano le prospettive più realistiche e se ne offre qui una sintesi, rimandando, per gli approfondimenti a “La guerra tra Russia e Ucraina: le origini, le battaglie, la posta in gioco” di prossima uscita con le edizioni Ares. L’analisi di queste trattative può servire, come minimo, a sgombrare il campo dalle interpretazioni propagandistiche fatte dai russi, secondo i quali l’Occidente e l’Ucraina hanno respinto ogni tentativo di accomodamento.

Il 17 dicembre 2021 la Russia aveva notificato alla NATO e agli Stati Uniti due distinte bozze di trattato che venivano rese pubbliche immediatamente. Quella rivolta ai paesi della NATO prevedeva che «la federazione russa e tutte le parti che erano membri della NATO al 27 maggio 1997 non schiereranno eserciti o armamenti su territori di altri stati in Europa in aggiunta alle forze che già si trovavano su quel territorio il 27 maggio 1997». L’accettazione di questa clausola comportava l’abbandono, da parte della NATO di Polonia, Paesi Baltici, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania e Bulgaria. In altre parole, la neutralizzazione di tutti i paesi che erano stati del Patto di Varsavia. Era una resa senza condizioni mentre non c’erano limitazioni al ridispiegamento di forze russe.

La bozza di trattato proposta agli Stati Uniti, invece, prevedeva l’obbligo, da parte di Washington di non stabilire basi militari sul territorio di stati che in precedenza facevano parte dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e non erano membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico: clausola che andava combinata con quella sopra citata.

Stati Uniti e Russia si impegnavano a non dispiegare proprie forze armate in aree in cui tale dispiegamento sarebbe percepito dall’altra parte come una minaccia alla propria sicurezza nazionale, ad eccezione di tale dispiegamento nei territori nazionali delle Parti. Ovviamente la Russia avrebbe avuto la libertà di concentrare le proprie forze ai confini coi paesi dell’ex patto di Varsavia. Più avanti vi era l’impegno a non far volare bombardieri o schierare missili fuori da propri confini nazionali ed ognun ben sa che differenza ci sia tra l’Alaska e Kaliningrad.

Le bozze furono respinte. Erano il classico patto leonino, il tentativo di raggiungere una vittoria completa senza sparare un colpo.

Nei primi mesi di guerra, dopo lunghe trattative tra russi e ucraini venne stilato un accordo a Istanbul alla fine di marzo 2022. Il testo di tale accordo è stato esibito dallo stesso Putin nel giugno del 2023 «Si chiama – disse Putin -: Trattato sulla neutralità permanente e sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Riguarda proprio le garanzie. 18 articoli – osservò il leader russo -. Inoltre, ha anche un allegato. (Le clausole) riguardano anche le Forze armate, altre cose. Tutto è dettagliato, fino alle unità di equipaggiamento da combattimento e al personale delle Forze armate. Questo è il documento», ha commentato Putin, aggiungendo che è stato firmato dalla delegazione ucraina.

«Ma – continuava Putin – dopo che abbiamo ritirato le nostre truppe dalla regione di Kiev come promesso, le autorità di Kiev e i loro padroni l’hanno gettata nella pattumiera della storia». Una descrizione dettagliata delle trattative intercorse tra l’inizio della guerra e la fine di aprile 2022 è reperibile sul sito SWP.

Le trattative tra Russia e Ucraina, iniziate subito dopo l’inizio della guerra erano culminate in una dichiarazione congiunta in dieci punti denominata “Istanbul Communiqué”, stilata con la mediazione turca. L’Ucraina si impegnava a restare neutrale e non entrare nella NATO. La Russia cedeva sulle pretese di smilitarizzazione di “denazificazione”, bastando per questo punto l’adozione di una legge specifica e, inoltre, dava il proprio benestare all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea. L’Ucraina chiedeva, inoltre garanzie sulla propria indipendenza, che fossero molto più solide e attivabili di quelle già fornite con il famoso quanto inapplicato memorandum di Budapest del 1994 in base al quale la Russia si era impegnata a non attaccare l’Ucraina.

Restavano aperti due punti: lo status della Crimea e quello sulle province del Donbass. Su questi due punti Ucraina e Russia non erano disposte a compromessi.

«Appena un giorno dopo l’incontro di Istanbul, il Cremlino respingeva categoricamente colloqui sulla Crimea. In un colloquio telefonico con il primo ministro italiano Mario Draghi, Putin disse che i tempi non erano ancora maturi per un cessate il fuoco o per un incontro con Zelensky». La concessione di Putin era il ritiro dalle zone settentrionali intorno a Kiev ma questo ritiro, come si poteva constatare da un punto di vista militare, era la conseguenza della pesante sconfitta subita dai russi a Hostomel e al fallimento dell’offensiva su Kiev. Putin, in altre parole, contrabbandava l’esito di una sconfitta subìta con un gesto di buona volontà. All’inizio di aprile la scoperta degli eccidi di Bucha e di Irpin mettevano fine ad ogni trattativa.

Dopo di allora vi sono state altre proposte di pace, la più semplice e realistica è quella lanciata da Elon Musk nell’ottobre del 2022:
Rifare le elezioni delle regioni annesse sotto la supervisione delle Nazioni Unite. «La Russia dovrà andarsene se questa è la volontà del popolo»;
Riconoscere formalmente la Crimea come parte della Russia, come lo è stata dal 1783 (fino all’errore di Krusciov)
Garanzie dell’approvvigionamento idrico in Crimea;
L’Ucraina rimane neutrale”.

Infine, la Cina, nel febbraio 2023 aveva proposto un piano in dodici punti che risultava essere più una dichiarazione di intenti.

Quanto alla missione del cardinale Zuppi basti dire che, in Ucraina, Zelensky aveva incontrato l’inviato papale il 6 giugno 2023, concedendo a questi e al cardinale Parolin una onorificenza per gli sforzi diplomatici compiuti. In Russia, Zuppi, sempre in giugno fu ricevuto soltanto da Yuri Ushakov, assistente del presidente della Federazione Russa per gli Affari di politica estera e da Maria L’vova-Belova, commissario presso il presidente della Federazione Russa per i diritti del bambino oltre che dal patriarca Kirill: questo tanto per mostrare in quale considerazione viene tenuta la chiesa cattolica dal Cremlino.

In conclusione, data la situazione sul campo, sarebbe del tutto razionale anche per la Russia, dopo le perdite subite, arrivare a una tregua, almeno per riorganizzarsi, ma non è questa l’intenzione dichiarata da Putin, da Medvedev, da Lavrov e da chiunque abbia qualche potere in Russia. Si allega il link del filmato in cui Dmitri Medvedev descrive gli obiettivi del Cremlino: una Ucraina smembrata, senza più accesso al mare, con la Russia che si estende fino alla Transnistria perché secondo Medvedev “L’Ucraina è Russia”.

Chiedere all’Ucraina di alzare bandiera bianca, in questo momento, non ha senso fino a quando i russi continuano ad avanzare. Solo qualora si fermassero, aggiustando il fronte e mettendo in sicurezza la città di Donetsk (il che sarebbe del tutto ragionevole) si potrebbe iniziare a trattare. Ma non è questa l’intenzione manifestata dai comportamenti. D’altra parte, godendo di superiorità numerica quasi di 3 a 1 su tutti i fronti, disponendo di un potere di fuoco decuplo rispetto a quello ucraino, avendo come obbiettivo di vincere le elezioni del 17 marzo con una maggioranza dell’85% perché mai Putin dovrebbe dare l’ordine di fermarsi, considerando la paralisi istituzionale degli Stati Uniti e dell’Europa?

In effetti sarebbe stato più semplice chiedere ai russi di fermarsi e, subito dopo, agli ucraini di trattare, data la manifesta impossibilità di questi ultimi di riconquistare i territori perduti. Ma questa mancanza di realismo ormai è generalizzata con un Macron che ipotizza l’intervento di forze NATO in Ucraina quando l’Europa non è nemmeno in grado di fornire una frazione degli armamenti necessari, dove i leader europei fanno proclami, ma non si muovono per operare una costosa riconversione industriale che la Russia ha già compiuto, a dispetto di quanto può pesare sulla propria popolazione.

La prospettiva è chiara: in mancanza di aiuti militari gli ucraini si troveranno a combattere con le vanghe perché Bruxelles non vuole rischiare, alle prossime elezioni europee, una vittoria delle destre simpatetiche con Putin. Ma, come diceva Churchill a Chamberlain: «Potevate scegliere fra il disonore e la guerra; avete scelto il disonore e avrete la guerra».

Fonte: Alberto Leoni | LaNuovaBQ.it

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