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Non “che voto hai preso” ma “cos’hai imparato”, ecco il test della valutazione vera

La valutazione può e deve diventare sempre di più risorsa educativa comune a scuola e famiglia. Valutare non è assegnare un voto ma fare un cammino

La valutazione oggi è il punto più “infiammato” del rapporto scuola-famiglia, molto spesso conflittuale e deleterio. Lo è nei diversi aspetti della valutazione (controllo, misurazione, giudizio, comunicazione), nei suoi molteplici strumenti e momenti (compiti in classe, pagelle, esami finali, registro elettronico), per svariate ragioni: valori culturali, mentalità sociale, concezione della scuola, pregiudizi e corporativismi.

Può e deve diventare sempre di più risorsa educativa comune a scuola e famiglia, spazio di collaborazione per la conoscenza e la formazione dell’alunno, veicolo di approfondimento e di condivisione delle ragioni e dei modi del far scuola e dell’imparare con metodo. Non si tratta semplicemente di una collaborazione sporadica tra adulti impegnati in un servizio educativo, ma di una vera e propria cooperazione, che può e deve prendere forma (e non solo nei “colloqui” genitori-docenti), coinvolgendo tutti gli attori del processo valutativo, secondo ritmi e modalità che la scuola (comunità che apprende) verifica continuamente. Occorre, quindi, che la cooperazione sia proposta alle famiglie, ricercata, valorizzata nell’impostazione stessa della scuola ed in azioni sistematiche riguardanti gli obiettivi formativi, la progettazione dell’Offerta formativa, i regolamenti, il RAV (Rapporto di autovalutazione).

Purtroppo, la collaborazione scuola-famiglia, anche quando non è censurata, viene spesso sciupata. A volte è la famiglia stessa, che non avendo consapevolezza della sua natura e del suo compito, rinuncia alla collaborazione, oppure vive il rapporto con l’istituzione scolastica in termini di contrapposizione, di attacco e difesa. Altre volte sono gli stessi operatori scolastici che negano la collaborazione, dimostrando un senso di fastidio e di “criminalizzazione” nei confronti della famiglia. Qui occorre essere chiari e decisi: i genitori non sono la controparte. La scuola non è l’antagonista della famiglia, né viceversa. Il buon senso, la normativa, la storia ci attestano che scuola e famiglia non possono farsi la guerra. Devono preparare giorno dopo giorno la pace, riconoscersi alleati nel servire il bene della persona e della società, in una relazione dinamica, creativa e responsabile tra i protagonisti del quadrilatero dello studio (docente, alunno, genitore, materia), tra la scuola e il territorio, nel reciproco riconoscimento e rispetto dei ruoli.

In questo modo, la famiglia, grazie alla valutazione cooperativa, diventa soggetto dell’atto valutativo insieme ai docenti e alunni, come abbiamo visto nell’articolo precedente. I voti, i giudizi, frutto di un processo e di una narrazione, sono espressione e documento della cooperazione tra docenti, studenti, genitori.

All’interno di questo contesto cooperativo è necessario che i genitori sappiano che cosa significa concretamente valutare. Che cosa fa un docente quando valuta? Come si arriva al voto? Sono domande che richiedono una risposta adeguata, condivisa e verificata con la famiglia. Per esempio, il genitore deve sapere che la valutazione non consiste nell’assegnare un voto, ma nel fare un cammino, per cui al centro del dialogo, la domanda cruciale non è “Quanto hai preso?”, ma “Cosa hai imparato oggi?”.

Mi è capitato spesso di ricordare ai genitori che loro figlio non può essere misurato né definito da un numero da 1 a 10. Spesso ho provato a spiegare che in fondo il voto non è altro che un fotogramma di una sequenza, il cui contenuto è il racconto di come sta procedendo il cammino dell’apprendimento. Non sempre ci sono riuscito, ma non mi sono arreso. Sono anche convinto, però, che molto dipende dalla pratica valutativa che mettiamo in atto, da una tenace ed ottusa idea della valutazione come misura e classificazione. Credo che la cosa migliore da fare sia innanzitutto accompagnare il voto sempre con un giudizio costruttivo, espresso oralmente o per iscritto. Infatti, che cosa è il voto se non un indicatore sintetico e convenzionale dei passi documentabili in una determinata prestazione che gli alunni stanno compiendo verso l’acquisizione, l’assimilazione, la rielaborazione e l’utilizzo delle conoscenze, delle abilità e delle competenze?

Che cosa, dunque, dovrebbe fare un genitore prima, durante, dopo il percorso valutativo scolastico? La risposta immediata dovrebbe essere: “Restare genitore!”, cioè amare il figlio(a), guardare alla sua totalità, alla sua originalità, ai suoi talenti, alla storia, al destino, alla libertà, senza mai sostituirsi a lui. Conta perciò non “quanto hai preso?”, ma che cosa “hai imparato” nella verifica, nella correzione e nella comunicazione del giudizio-voto. Le informazioni che contiene il voto riguardano un certo oggetto di valutazione, in un certo compito, in un certo giorno, in una certa ora, relativamente ad una certa competenza, conoscenza ed abilità, un certo prodotto (scritto, orale, grafico), stimato secondo una certa convenzione in una scala numerica. Il genitore è chiamato a condividere i dati e compartecipare nel rispetto dei ruoli al processo valutativo in tutte le sue fasi: preparazione del compito, osservazione su come il figlio responsabilmente si mette in gioco, formulazione e comunicazione del giudizio, decisione su cosa e come conviene cambiare.

Ricordiamoci che il primo voto è la soddisfazione (o meno) che lo studente prova nel constatare che sta imparando (o meno), nell’accorgersi di sapere imparare e di conoscere o meno. A questo punto il voto diventa un oggetto di dialogo, lo spunto per riflettere insieme sul cammino compiuto e da compiere. L’intensità e il contenuto del dialogo dipendono da chi si ha davanti, dal tipo di prova (esercitazione, verifica, interrogazione), dallo strumento (pagella o meno, di fine d’anno o meno), dall’occasione (firma del compito, revisione del quaderno, colloquio con docente). In questo modo è più facile andare oltre il premio, il rimprovero, il castigo. Si capisce che bisogna esplicitare gli elementi di giudizio contenuti nel voto numerico o aggettivale che invitano a prendere delle decisioni.

Quali? Quelle più urgenti e determinanti sono in funzione dell’autovalutazione dello studente, senza la quale non c’è consapevolezza della qualità di apprendimento, controllo del processo, coscienza dei progressi e dei risultati nello studio, soddisfazione, educazione al giudizio, invito all’uso di ragione. Dovremmo tutti (genitori e docenti) favorire l’autovalutazione autentica, realistica, costruttiva dell’allievo che inizia e procede nel paragone con la valutazione operata dai docenti e si sviluppa nel rapporto con l’insegnante come consapevolezza e assunzione “critica” dei parametri valutativi, in relazione ad un comportamento intenzionale e funzionale all’apprendimento maturo. Quella autovalutazione che è in relazione a sé stessi, in vista di una “competenza” (non di una competizione), per una gestione positiva dell’errore, della difficoltà e dell’insuccesso, da protagonisti.

Fonte: Rosario Mazzeo | IlSussidiario.net

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