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Migranti, nuove accuse Onu a Tripoli: «Profughi presi e riportati nei lager»

Mentre il segretario generale dell’Onu si apprestava a consegnare il suo rapporto annuale sulla Libia, nella capitale i clan armati affiliati al presidente Dbeibah aprivano il fuoco sui tifosi di una squadra ospite. Perché fosse chiaro neanche nel calcio c’è spazio per chi fa il tifo contro i padroni di Tripoli. Anche di questo parla il dossier di Antonio Guterres, che già nei mesi scorsi era riuscito a ottenere con un voto all’unanimità del Consiglio di sicurezza l’inasprimento delle sanzioni per i boss dei traffici libici.

E sono ancora loro i protagonisti del nuovo atto d’accusa. Che compie un doppio salto in avanti, nella direzione indicata dalle indagini della Corte penale internazionale e degli ispettori Onu a Tripoli.

Per la prima volta Guterres accusa le istituzioni libiche di essere complici della deportazione di migranti e profughi nei campi di prigionia clandestini: «I diritti umani e la situazione umanitaria dei migranti e dei rifugiati rimangono una grave preoccupazione».

Succede quando la cosiddetta guardia costiera libica compie interventi in mare. «Molte delle persone intercettate – accusa Guterres – sono state successivamente trasferite in centri di detenzione ufficiali, ai quali le Nazioni Unite hanno accesso limitato, e altre in centri di detenzione non ufficiali, ai quali le Nazioni Unite e gli attori umanitari non hanno accesso». Sono le autorità a consegnare i sopravvissuti alle traversate direttamente nelle mani dei trafficanti. Molti dei quali rispondono direttamente agli ufficiali della guardia costiera e ai capo delle milizie affiliate a vari ministeri del governo centrale. A ottobre il “Panel of experts”, la commissione di investigatori internazionali incaricati dal Consiglio di sicurezza, aveva ricostruito l’intera filiera, ottenendo dal Consiglio di sicurezza l’ordine di congelamento dei beni e il blocco del passaporto di una dozzina di esponenti libici, tutti però rimasti regolarmente al proprio posto di comando.

 

I meccanismi criminali permettono di massimizzare i profitti ottenendo fondi ed equipaggiamento da Paesi come l’Italia e dall’Ue, oltre che il denaro dai prigionieri per venire nuovamente liberati e rimessi sui barconi. Dopo che le denunce avevano fatto il giro del mondo e in seguito alle pressanti richieste dell’Onu per ispezionare il campo di prigionia ufficiale di Zawyah, una delle principali piattaforme logistiche del traffico internazionale di persone, armi, petrolio e droga, i clan hanno pensato di nascondere i crimini, come aveva scoperto e denunciato il gruppo di ispettori internazionali a ottobre, replicando «lo stesso schema di atti violenti commessi in una struttura di detenzione segreta per migranti, vale a dire il centro di detenzione di Al-Zahra, noto come “Prigione 55”, a Warshafanah », nell’entroterra di Zawyah, non lontano dalla principale raffineria libica, e sotto il controllo diretto di alcuni ufficiali della Marina militare libica. Ma è nelle pieghe del linguaggio che si trovano i segni di tutta l’irritazione della segreteria generale Onu.

Fino a pochi mesi fa gli interventi delle milizie marittime libiche (almeno tre raggruppamenti di guardiacoste affiliati a diversi ministeri, in contrapposizione tra loro), nei documenti Onu erano riportati con l’indicazione «rescued/intercepted », a indicare che le operazioni erano contemporaneamente di soccorso e intercettazione. Una definizione fin troppo benevola, per chi è accusato d’essere parte dell’industria del traffico di esseri umani. Ma con il nuovo dossier Guterres ha stabilito il nuovo standard nel linguaggio ufficiale: «intercepted/ returned». In altre parole, «intercettati e riportati a terra», non più «soccorsi», proprio perché le operazioni in mare finalizzate alla deportazione in centri di detenzione ufficiali e altri completamente illegali, non possono essere annoverati tra i «salvataggi», per come li definisce il diritto internazionale umanitario.

«Dall’inizio dell’anno al 25 novembre 15.057 persone, tra cui donne e bambini, sono state intercettate e riportate in Libia. Nello stesso periodo – si legge ancora – sono stati segnalati altri 939 morti e 1.248 dispersi in mare». Chi sopravvive spesso viene sottratto a qualsiasi possibilità di contatto con le agenzie umanitarie. Le statistiche ufficiali non tengono conto dei «centri di detenzione per migranti sotto l’autorità del Ministero dell’Interno o nei centri di detenzione non ufficiali per immigrati sotto il controllo di gruppi armati», segnala ancora Guterres.

Impossibile sapere quanti siano in prigionia. E questo nonostante «la Libia continua a essere sia un Paese di destinazione che di transito per i migranti e i richiedenti asilo diretti in Europa. Secondo l’Oim, il numero di migranti in Libia era di 704.369 a novembre», riporta il segretario generale. Copione inverso, ma con uguali ricadute, sulle rotte di terra. «Proseguono le espulsioni collettive di migranti e rifugiati in Libia e dalla Libia verso i paesi vicini (Tunisia, Egitto, Sudan, mdr), mentre le condizioni nei centri di detenzione diventano sempre più terribili», insiste il dossier nel quale viene ricordato che «le espulsioni forzate sono severamente vietate dal diritto internazionale umanitario e devono cessare». Da giugno 5.610 migranti e rifugiati sono stati intercettati dalle guardie di frontiera libiche, dai funzionari doganali e dalla Direzione per la lotta alla migrazione illegale al confine con la Tunisia.

«In totale – spiega il rapporto Onu – sono stati segnalati 29 decessi e oltre 80 persone risultano disperse. Al 30 novembre, 352 migranti e rifugiati di 16 diverse nazionalità provenienti dalla Tunisia erano rinchiusi nel centro di detenzione di Al Assa (323 uomini, 21 donne e 8 bambini) sul lato libico del confine, e le persone sono state trasferite in centri di detenzione» nei quali ancora una volta «la missione Unsmil né i partner umanitari hanno accesso».

Cosa accade nelle prigioni è fin troppo noto: «Durante una visita al centro di detenzione femminile di Judaydah, a Tripoli, il 13 agosto, Unsmil – riferisce Guterres – ha incontrato detenute che hanno riferito di essere state sottoposte a torture e maltrattamenti, violenza sessuale, isolamento e separazione dai figli».

Fonte: Nello Scavo | FrancescoMacri.com

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