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LETTURE/ Quando la sussidiarietà vale più della consulenza manageriale

Nell’ultimo libro di Luigino Bruni viene ricordato come erroneamente la sussidiarietà sia in genere assente nei corsi di formazione per manager delle business school

Le biblioteche delle università sono piene di volumi sulla gestione aziendale, sul ruolo e la responsabilità dei manager, sui principi e i valori dell’organizzazione delle imprese. Di solito sono negli scaffali un po’ nascosti, vengono sfogliati quando si tratta di rendere più corposa la bibliografia di una tesi di laurea o quando c’è trovare qualche citazione per abbellire un discorso o una prova di esame.

La scienza manageriale è in effetti una disciplina volubile. Capace di nascondere dietro alti principi di interesse generale anche le più criticabili strategie per difendere interessi personali. A proclamare “il re è nudo”, come nella favola di Andersen, cioè a non nascondere la vera ragione dei comportamenti manageriali, ci ha pensato negli anni ’70 del secolo scorso Milton Friedman: “Esiste una sola e unica responsabilità sociale (per l’impresa): usare le sue risorse e dedicarsi a attività volte ad aumentare i propri profitti a patto di rimanere all’interno delle regole del gioco, ovvero di competere apertamente e liberamente senza ricorrere all’inganno o alla frode”.

Una semplice equazione nel solco del liberismo più convinto. Solo aumentando i propri profitti l’impresa può rispondere a due esigenze in teoria contrapposte: da una parte rispondere alle attese degli azionisti che hanno investito nell’azienda, dall’altra, attraverso la creazione di nuova ricchezza, creare le basi per affrontare i problemi sociali soprattutto a livello locale.

Le teorie di Friedman, pur senza perdere di efficacia intellettuale, sono state tuttavia superate dall’irrompere tumultuoso di nuovi paradigmi, molto spesso solo in apparenza rivoluzionari e destinati a giustificare e a mettere una bella etichetta sui vecchi metodi. Si sono così enfatizzati i principi ESG, si è messo sul trono il merito, si è inventato il management scientifico, si sono enfatizzati i valori della leadership, si è delegato ai consulenti esterni la soluzione di problemi che potrebbero e dovrebbero essere affrontati all’interno.

Lo mette in luce criticamente, e con la consueta efficacia, Luigino Bruni nel suo ultimo libro “Critica della ragione manageriale (e della consulenza)” (Ed. Messaggero Padova, pagg. 110, € 14).
Bruni, economista, storico del pensiero economico, presidente della Scuola di economia civile, traccia in questo libro un itinerario che intreccia costruttivamente l’analisi dell’attuale dimensione economico-aziendale con una riscoperta delle radici bibliche dell’agire umano, anche di quello economico. “La sussidiarietà – scrive Bruni – è una parola in genere assente nei corsi di formazione per manager delle business school e non presa abbastanza sul serio dalla teoria e dalla prassi delle varie forme di consulenza”.

Proprio perché la logica tradizionale della consulenza è quella di portare teorie e pratiche che vengono da lontano, mentre la soluzione dei problemi può essere, con un po’ di coraggio e di fantasia, quella che nasce dai rapporti di prossimità. “Voi stessi date loro da mangiare” risponde Gesù agli apostoli angosciati che pensavano di risolvere i problemi trovando i soldi per comprare il pane al mercato. “Una sintesi perfetta della sussidiarietà”: commenta Bruni.

La logica del libro in fondo è che l’economia ha un bisogno vitale di valori umani e spirituali che vanno ben al di là di quanto possono generare le logiche tradizionali. Per questo c’è da sperare che non venga confinato negli scaffali polverosi delle università.

Fonte: Gianfranco Fabi | IlSussidiario.net

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