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Eppure si sta molto meglio di quando si stava peggio

Bisogna contrastare, con la forza dei dati, il catastrofismo imperante: il mondo non è spacciato. Anzi. Una conferenza internazionale a Londra per guardare al futuro con speranza

A dare retta ai notiziari, è facile finire per credere che il mondo stia andando in pezzi. Cambiamento climatico, divisioni politiche, colpi di Stato, la pandemia globale, la guerra spietata della Russia contro l’Ucraina, gli ingiustificabili omicidi di Hamas e la marcia del Medio Oriente verso una violenza diffusa.

Prima di andare nel panico, può valere la pena fare un passo indietro per guadagnare un po’ di prospettiva. Le paure agitate dai media deprimono – soprattutto i giovani – e danno origine a pessime decisioni politiche, poiché paralizzano la nostra capacità di fare meglio.

La guerra è sempre e per sempre orribile. È comprensibile e perfino necessario che i media tengano i conflitti di oggi sotto i riflettori. Ma questo non può farci credere che viviamo dentro una violenza senza precedenti. La guerra della Russia in effetti ha comportato che il numero delle morti in battaglia nel 2022 abbia fatto segnare un picco in questo secolo, ma dal punto di vista storico le vittime sono ancora molto poche. L’anno scorso, sono morte a causa delle guerre 3,5 persone su 100.000, perfino meno che negli anni Ottanta e di gran lunga al di sotto della media del XX secolo, pari a 30 su 100.000. Il mondo, infatti, è diventato molto più pacifico.

Certamente si tratta di una misera consolazione per quanti vivono in mezzo ai conflitti del mondo. Ma i dati presentano il problema con la costante raffica di catastrofi e sventure decontestualizzate. Analisi dei contenuti mediatici prodotti in 130 paesi dal 1970 al 2010 mostrano che nel tempo il tono emotivo è diventato marcatamente e costantemente più negativo. La negatività fa vendere, ma è cattiva informazione.

 

È lo stesso schema che caratterizza le cronache del cambiamento climatico. Una narrazione apocalittica pervasiva ed erronea mette insieme tutti gli eventi negativi, ignorando quasi totalmente il quadro più ampio. Negli ultimi mesi, per esempio, si è messa molta enfasi sugli incendi senza ricordare che a livello globale la superficie bruciata annualmente diminuisce da decenni, e l’anno scorso ha raggiunto il minimo storico. Analogamente, sono le vittime della siccità e delle inondazioni a guadagnarsi i titoli dei giornali, ma non si sente dire che i morti per simili disastri legati al clima sono diminuiti di 50 volte nell’ultimo secolo.

I dati dimostrano quanto noi tutti in fondo sappiamo: il mondo è notevolmente migliorato. L’aspettativa di vita è più che raddoppiata dal 1900. Due secoli fa, quasi tutti erano analfabeti; oggi, quasi tutti siamo in grado di leggere. Nel 1820, quasi il 90 per cento della popolazione si trovava in condizioni di povertà estrema; adesso quella percentuale è inferiore al 10. L’inquinamento domestico dell’aria si è ridotto sensibilmente e altrettanto ha fatto nei paesi ricchi il suo equivalente esterno. Se potessimo scegliere quando nascere, fatti alla mano, pochi sceglierebbero un’epoca qualunque prima dell’attuale.

Un simile indiscutibile progresso è stato possibile grazie a comportamenti etici e responsabili, fiducia, mercati ben funzionanti, stato di diritto, innovazione scientifica e stabilità politica. Dobbiamo ammettere, apprezzare e decantare il valore e la rarità di ognuna di queste virtù.

La raffica costante di notizie negative può portarci a immaginare che il nostro progresso stia per finire. Tuttavia, le evidenze che abbiamo a disposizione non supportano questa conclusione. Gli ultimi scenari del Panel sul clima dell’Onu indicano che in media le persone saranno 4,5 volte più ricche di oggi entro la fine del secolo. Il cambiamento climatico si limiterà a rallentare il progresso, in misura tale che in media le persone saranno “soltanto” 4,34 volte più ricche: non è assolutamente la fine del mondo. Eppure la paura spinge tanti a pretendere una inefficiente distrazione di centinaia di migliaia di miliardi di dollari per piegare brutalmente l’economia globale verso l’azzeramento delle emissioni di CO2.

Occorre coltivare un ambiente che sfidi gli agitatori di paure e promuova un pensiero ottimista, benché critico, e un dibattito costruttivo in merito al futuro. Ci auguriamo che la nostra Alliance for Responsible Citizenship (Arc), che si prepara a ospitare la sua prima conferenza internazionale a Londra (dal 30 ottobre all’1 novembre), sia di aiuto su questo, chiamando a raccolta persone di buona volontà e di buon senso da tutto il mondo, per formulare e comunicare una visione positiva del futuro.

Allo stesso modo, per guidare il progresso a vantaggio dei più poveri del pianeta, dovremmo concentrarci su politiche efficienti e ben documentate che possano produrre enormi benefici. In collaborazione con oltre un centinaio tra gli economisti più eminenti del mondo, uno di noi ha contribuito a identificare le soluzioni migliori a molti dei problemi mondiali più insidiosi: terapie di base per la tubercolosi che salverebbero milioni di persone ogni anno, riforme dei regimi fondiari che consentano ai poveri di raccogliere i frutti della terra, tecnologie per l’educazione che permettano di ottenere risultati di apprendimento triplicati, e altro ancora.

Tali politiche non sono adatte ai titoloni accattivanti, ma possono produrre un bene immenso: a fronte di un costo annuale di 35 miliardi di dollari, salverebbero la bellezza di 4,2 milioni di vite e renderebbero la metà più povera del mondo più ricca di 1,1 mila miliardi di dollari all’anno.

Se smettessimo di farci guidare dalla paura e invece guardassimo ai dati e al quadro più ampio, ci accorgeremmo che il mondo è migliore di quel che era, e probabilmente migliorerà ancora. Abbiamo la responsabilità di adottare le misure migliori per andare avanti.

Fonte: Jordan B. Peterson e Bjørn Lomborg |  Tempi.it

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