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La politica dell’accoglienza nasce dal riconiscimento da parte dell’Europa delle proprie radici cristiane

Per affrontare il fenomeno “irreversibile” dell’immigrazione è necessario dare ospitalità ai profughi coniugando diritti e doveri di chi accoglie e di chi è accolto. Una vera integrazione non passa da un’accoglienza indiscriminata ma da un’azione di integrazione che abbia alla base il riconoscimento delle radici cristiane europee. Questo, in sintesi, il pensiero dell’ex presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, arrivato nel pomeriggio a Milano per un convegno dedicato al fenomeno dell’immigrazione.

L’evento sull’immigrazione dal titolo “Partire senza costrizioni. Liberi di rimanere”, organizzato da Fondazione Futuro e LabOra, si è svolto venerdì 22 settembre 2023.

Il programma è stato ricchissimo di argomenti e di personalità esperte sul tema, che viene definito un “fenomeno epocale” da governare. Nel pomeriggio nel Panel 3, col titolo “Il fattore religioso per una possibile convivenza” è intervenuto l’arcivescovo Angelo Bagnasco.

Parlando di «un diritto di restare» e un «diritto di partire dalla propria terra alla luce della piena legalità, sapendo che qualunque diritto è legato a un bene vero per sé e per gli altri».

Il problema, ha detto Bagnasco, è che «si parla di diritto senza riconoscente il fondamento. Senza appartenenza non c’è casa. Questa base fondativa è la persona stessa, ciò che la qualifica in quanto umana, e che precede le note specifiche dei singoli individui. Nella prospettiva della dignità umana, è lesivo parlare dei processi migratori in termini strumentali, cioè come se colui che emigra fosse “forza-lavoro” anziché una persona unica e irripetibile. In nessun ambito, a nessun livello e per nessun motivo (economico, sociale, interesse politico, religioso, prestigio personale o associativo) è lecito servirsi degli altri servendoli. Ciò sarebbe indegno perché è una forma di sfruttamento camuffato, un male vestito di bene. Nella visione cristiana, la laicità dello Stato trova la sua affermazione nella distinzione evangelica tra Dio e Cesare. Questa distinzione non afferma uno Stato moralmente neutro verso qualunque opzione comportamentale: accogliere tutti non vuol dire accogliere tutto. Se così fosse, in realtà non si accoglierebbe nessuno, poiché accettare tutto e il suo contrario non crea un volto da offrire, un grembo in grado di abbracciare chiunque, ma piuttosto una realtà fluida che non crea appartenenza: e senza senso di appartenenza non c’è casa».

Perché vi sia una vera integrazione è necessario allora che ci sia un legame «tra chi è accolto e chi accoglie: infatti, senza il bene di tutti non vi è bene di nessuno. Se bisogna puntare alla “integrazione” e non fermarsi a forme croniche di “assistenzialismo”, allora bisogna insistere su alcune condizioni».

Tali condizioni affinché si verifichino, spiega il cardinale, necessitano della responsabilità di «integrarsi là dove si è. Da qui l’impegno serio e verificato di studiare la lingua e la storia del Paese» perché le leggi e le regole valgono per tutti, e vanno rispettate da tutti con le conseguenze previste, per chi è accolto e per chi accoglie».

Il fenomeno dell’immigrazione resta uno degli ambiti più critici della nostra vita nazionale. Se fino a ieri eravamo giunti ad una presenza tutto considerato significativa di immigrati sul nostro territorio, senza spaccature sociali o situazioni drammaticamente fuori controllo, e perché alla prova dei fatti il temperamento del nostro popolo si lascia filtrare da una secolare cultura dell’accoglienza e di rispetto per l’essere umano – per quanto diverso – in difficoltà.

Su questo fronte, tuttavia, nell’ultimo periodo stanno emergendo qua e là dei segnali di contrapposizione anche violenta che sarà bene da parte della collettività ai vari livelli non sottovalutare. Vogliamo credere che non si tratti già di una regressione culturale in atto, ma motivi di preoccupazione ce ne sono, e talora anche allarmi, che occorre saper elaborare a livello europeo in vista di risposte sempre civili, per le quali il pubblico dibattito deve lasciar spazio alla ricerca di rimedi sempre compatibili con la nostra civiltà.

Per il Cardinal Bagnasco «perché ci sia una coscienza europea è necessaria per la coscienza dei popoli: per questo bisogna che senta non u una mano pesante, ma un cuore che pulsa e lo sguardo lungimirante come avevano i Padri. Essi riconoscevano le radici del Continente, senza paura di apparire ciò che si è per storia e si dovrebbe essere per convinzione».

L’identità, la missione e la cultura dell’Europa originaria si basano ovviamente sulla Rivelazione cristiana. Ma, prima di essere cristiane, esse sono universali e necessarie, ossia si basano su valori razionali, naturali e oggettivi.

Come osservava lo spagnolo Luis Diez del Corral, sembra che l’Europa abbia ricevuto, ab origine, il compito di creare non tanto una cultura a fianco delle altre, quanto una cultura sommamente rappresentativa dell’umana sapienza e delle umane scienze nella loro universalità.[1] Queste esperienze e questi valori hanno in Europa le loro radici, sono storicamente europei; ma non sono valori particolari bensì universali.

Il ruolo storico dell’Europa consiste dunque nel trasmettere valori universali, nell’essere missionaria di civiltà: non di una qualche civiltà storica, ma di una civiltà universale, anzi della Civiltà per eccellenza. Parliamo della civiltà che si basa su quella retta concezione della realtà che chiamiamo Filosofia, su quella retta concezione della materia che chiamiamo Scienza, su quella retta concezione dell’agire umano che chiamiamo Etica, su quella retta concezione della giustizia che chiamiamo Diritto, su una retta concezione della società che chiamiamo Politica.

Ma tutto questo si basa, in ultima analisi, su quella retta concezione dell’Assoluto, ossia di Dio, che chiamiamo Religione Osservava lo storico inglese Christopher Dawson: «Ciò che distingue la cultura occidentale dalle altre civiltà mondiali, è il suo carattere missionario, il suo trasmettersi da un popolo ad un altro in un continuo concatenamento di movimenti spirituali».[2]

Scriveva lo storico tedesco Gottfried Kurth: «Si traccino su un mappamondo le frontiere della civiltà: si vedrà che coincidono con le frontiere cristiane. Si scrutino gli strati sovrapposti della società, per vedere fino a quale profondità è penetrato lo spirito dell’incivilimento: si vedrà ch’esso coincide col limite raggiunto dallo spirito cristiano. Insomma, civiltà e Cristianesimo sono due termini equivalenti»[3]

Fonte: Daniele Onori | CentroStudiLivatino.it


[1] Luis Diez del Corral, Il ratto d’Europa, Giuffré, Milano 1966, p. 306

[2] Christopher Dawson, Il Cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, Rizzoli, Milano 1997, p. 24.

[3] Gottfried Kurth, Les origines de la civilisation moderne, Louvain 1886, vol. I, p. XXXIV.

 

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