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Il vero antidoto a ChatGPT sono gli uomini liberi (e non omologati)

In un articolo comparso sul Corriere della Sera del 12 febbraio dal titolo Intelligenza artificiale. Ho il sospetto di aver perso, il giornalista Federico Rampini racconta di quella che lui stesso definisce una sorta di gara con ChatGPT, l’intelligenza artificiale che è in grado di scrivere articoli e saggi su qualsiasi tema.

Rampini riferisce di avervi fatto ricorso per la stesura di un saggio su un argomento che ben conosce e di aver ottenuto un prodotto di buona qualità sia per la cura linguistica sia per il contenuto documentale.

L’articolo continua riferendo che ChatGPT è imbattibile in termini di velocità: riesce infatti a scrivere in cinque minuti quello che il giornalista avrebbe redatto in tempi decisamente più lunghi ed è in grado di produrre un testo non standardizzato, ma con uno stile specifico, per esempio, “nello stile di The Atlantic”.

Alcuni docenti negli Usa, come riferisce l’articolo, si pongono dunque il problema di come distinguere un testo redatto dai loro studenti da quello elaborato da ChatGPT. A quanto si sostiene nel testo sembra essere un’impresa irrealizzabile: “Nelle università Usa i prof impazziscono perché – a differenza di quando gli studenti facevano copia e incolla da Google o Wikipedia – un testo redatto dal software ChatGPT è praticamente impossibile da identificare”. L’articolo continua infatti riferendo l’esperienza di un docente universitario che negli Stati Uniti “chiede alle sue classi di far scrivere un saggio all’intelligenza artificiale per poi andare a caccia di punti deboli (luoghi comuni, conformismo, stereotipi, per esempio) e così esercitare il proprio spirito critico, esaltare la creatività individuale”.

L’articolo, che ha destato molto interesse, come lo stesso Rampini riferisce in un nuovo testo apparso sull’inserto Sette del Corriere del 10 marzo, si chiude con un interrogativo sull’immagine di un futuro in cui si avrà molto tempo libero, perché diversi compiti saranno assolti dall’intelligenza artificiale e sull’organizzazione sociale che andrà dunque a costituirsi.

Lasciando ad altri le analisi relative al futuro, si vuole in questa sede provare a riflettere invece su un presente, in parte anche nel nostro Paese, già interpellato dalla prospettiva dell’intelligenza artificiale e interrogarsi sul ruolo della scuola in questa sfida.

Qual è il compito insostituibile della scuola nel cammino di apprendimento? A che cosa deve educare? Che cosa resta di proprio della capacità umana che nessuna intelligenza artificiale potrà mai raggiungere? Sono domande esigenti, che richiedono risposte complesse, ma che non possono essere eluse, a meno che non si voglia recedere dal compito proprio della scuola: generare personalità capaci di essere protagoniste della loro vita e aiutare la crescita di cittadini consapevoli.

In un testo del 2022 edito da Marsilio dal titolo La cappa Marcello Veneziani sostiene quanto segue: “Va denunciata pubblicamente la scomparsa dell’Oppure. […] L’intelligenza si esercita sugli oppure: l’automa, l’imbecille, il gregge non conoscono l’oppure, procedono lungo il percorso prefissato, seguono l’input o l’impulso ricevuto. L’intelligenza, invece, è la capacità di studiare e provare varianti e alternative. L’intelligenza collega il possibile al reale, comprende che le possibilità eccedono sui fatti, e le seleziona, le mette in campo. Per congiungere due punti non c’è solo la linea retta: la vita, il tempo, l’umanità, la storia e la natura non camminano nello spazio puro e vuoto delle linee geometriche; riconoscono l’intensità, la durata, la qualità, l’efficacia, la curiosità, l’emozione, la relazione, la logica, il ricordo, l’aspettativa, la fantasia e altro ancora. Oltre alla direzione lineare ci sono le dimensioni sferica e circolare, la curvatura e la poligonia del mondo, con le sue tante facce. La vita è complessa e richiede l’esercizio dell’intelligenza”.

Verrebbe da dire, in una sintesi estrema, che è necessario riappropriarsi di un’antropologia che abbia questa concezione della ragione, dell’intelligenza. Un’intelligenza che sappia intus legere nella varietà del reale, mossa dalla sete della curiosità, perché si trovano soluzioni diverse e si esce dallo stereotipo dell’unica risposta solo se ci si lascia interrogare dalla multiformità della realtà, dalla sua poligonia. Non esistono risposte univoche, ci si può liberare dal conformismo e dall’omologazione solo riconoscendo alla ragione la categoria della possibilità che eccede sui fatti, che non si ferma alla spiegazione del singolo elemento, desiderosa di ricongiungerli in un insieme e all’interno di una dimensione di senso.

Occorre dunque coltivare i diversi stili di apprendimento, le diverse intelligenze. Il saggio commissionato da Rampini in un secondo momento differisce dal primo, ma non riesce a dare una “curvatura” che risponda a una reale personalizzazione, all’espressione originale e non replicabile di mente e cuore di un essere umano che, pur nella sua fragilità e perfettibilità, ha una visione del reale che è unica, generata da un vissuto e dalla molteplicità di esperienze, che non sono riproducibili.

Le grandi espressioni dell’arte, della musica, le geniali intuizioni matematiche e scientifiche sono espressione della singolarità di un essere umano che si interroga sul senso della sua presenza nel mondo e sull’esistenza di ciò che lo circonda. Per questo è impossibile non chiedere alla ragione la necessità di riconoscere un significato. Questa in realtà e la grande differenza tra ChatGPT e l’intelligenza umana. Senza la dimensione del senso non c’è reale conoscenza, ma solo un’articolazione più o meno ordinata di informazioni. Solo il maestro, che ha fatto e che continua a fare esperienza di una conoscenza generata dalla ricerca del senso, può condurre i suoi studenti verso l’avventura del sapere.

Fermarsi al fenomeno, a ciò che immediatamente appare, alla singola informazione vuol dire non dare ragione della complessità, della molteplicità della vita in cui l’uomo si trova quotidianamente immerso, come ci ricorda Florenskij nel suo epistolario Ai miei figli, ritornando alla sua passione per il mare di quand’era bambino: “A me, alle mie domande, i grandi fornivano una qualche spiegazione che poco aveva a che fare con quel che chiedevo, ma che non ho mai ritenuto necessario confutare: i grandi mi volevano molto bene, ma capivano molto poco, o così mi sembrava, del senso vero delle mie domande. Ogni domanda presupponeva una determinata risposta o, per lo meno, una certa direzione nella risposta. Le spiegazioni degli adulti, però, non ne tenevano conto o, più semplicemente, essi non comprendevano il fulcro della mia richiesta: ciò facendo invalidavano la mia domanda fondamentale sulla vita del Mare” (pag. 91).

La domanda di senso trova terreno fertile in un’umanità ferita, capace di riconoscere la propria finitezza e di accoglierla come espressione non di una limitazione, ma di una tensione al superamento continuo dell’istante e della fattualità verso un’esperienza più matura e mai chiusa alla categoria della possibilità.

Non può dunque essere estranea alla scuola la ricerca del significato, unica risorsa in grado di generare quella criticità e creatività richiamate dall’esperimento del docente universitario, di cui riferisce Rampini nel suo articolo. Si tratta insomma di prendere atto che il compito fondamentale della scuola è quello di educare alla consapevolezza, alla criticità, a una ragionevolezza che non dia nulla per scontato e che sia appassionata nella ricerca del senso e delle ragioni profonde di quanto il pensiero è in grado di elaborare.

Ancora nell’articolo su Sette Rampini scrive: “L’I.A. può essere allenata a distinguere il vero dal falso? Sì, col tempo può imparare a selezionare, distinguere, perfino censurare: ma qui intervengono dei vigilantes umani, e sono loro che le trasmettono pregiudizi, distorsioni, ideologie”. ChatGPT quando deve o dovrà selezionare, quando non si limita o non si limiterà a una funzione compilatoria, attingendo alle numerosissime informazioni presenti in Internet, offrirà il punto di vista dei vigilantes umani che l’ideologia di turno più potente renderà dominanti.

Solo uomini liberi saranno in grado di difendersi da questa omologazione, di conservare criticità e creatività, di esercitare l’intelligenza dell’oppure, ma la cura e la pratica continua della libertà hanno bisogno della guida di docenti, di adulti appassionati e competenti. L’esercizio e l’educazione della libertà restano le risorse più proprie e affascinanti dell’essere umano di oggi e di sempre.

Fonte: Nora TERZOLI | IlSussidiario.net

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