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“95% preadolescenti usa social senza supervisione dei genitori, a crescerli sono gli influencer”. I danni e cosa può fare la scuola

Come vivono i nostri ragazzi, quali effetti hanno i social sul loro sviluppo? Ne abbiamo parlato con il Professor Simone Digennaro, presidente dei corsi di laurea in scienze motorie presso l’università di Cassino e del Lazio Meridionale.

Professor Digennaro, sempre più diffuso è l’uso dei social tra gli under 14, voi avete effettuato una ricerca proprio su questo aspetto. Ci racconta che cosa è emerso dal vostro studio?

Abbiamo voluto realizzare uno studio, che ha coinvolto più di 2300 preadolescenti, con l’obiettivo di cercare di capire le modalità di utilizzo dei social network e provare ad analizzare gli effetti che questo utilizzo hanno sulla loro crescita e sul loro benessere. Da quello che è emerso possiamo dire che innanzitutto abbiamo avuto una conferma di quello che probabilmente riusciamo a percepire dal sentire comune, ovvero che c’è un grande utilizzo dei social network da parte dei ragazzi, li utilizzano in maniera molto diffusa con percentuali elevatissime.

Se consideriamo le applicazioni di messaggistica istantanea come Whatsapp e Telegram si raggiungono percentuali del 90/95 %, già questo è un tema, anche perché in Italia ci sono tutta una serie di restrizioni che vedono l’utilizzo dei social network possibile solo a partire dai 14 anni o in alcuni casi dai 16 anni, invece nel caso dei preadolescenti questo utilizzo è piuttosto diffuso. Per giunta è emerso un utilizzo che spesso non viene supervisionato dagli adulti di riferimento, i preadolescenti utilizzano delle piattaforme poco frequentate dagli adulti e più in generale sono in grado di mettere in atto delle strategie diversive.

Quindi questo avviene senza la consapevolezza degli adulti di riferimento, e qui si apre un’ulteriore tema. Rispetto alle modalità di utilizzo abbiamo individuato due grandi nuclei, da un lato c’è un utilizzo passivo dei social, sostanzialmente rivolto alla visualizzazione di foto, video, storie che sono per lo più postate dai propri amici o anche dagli influencer, che hanno la capacità di orientare gli interessi dei preadolescenti. Dall’altro lato c’è anche un utilizzo attivo con la condivisione di foto, video, storie, e questo apre un ulteriore tema legato alla privacy, perché, da quello che abbiamo avuto modo di appurare, nella maggioranza dei casi questi ragazzi utilizzano dei profili pubblici e quindi le loro foto e i loro video sono a disposizione di tutti, con una scarsa consapevolezza da parte loro delle conseguenze che ci sono nella condivisione di foto e video personali. Attraverso questo studio abbiamo appunto cercato di capire queste modalità, ma allo stesso tempo abbiamo cercato di capire in che modo la vita digitale, quindi il tempo che loro passano sulla realtà virtuale, ha in qualche modo influenzato i loro comportamenti attraverso, ovviamente, quelli che sono dei modelli socio-culturali che sono promossi mediante questi media.

La duplicazione dell’ambiente di crescita, oltre a quello fisico ci troviamo di fronte a quello virtuale, quali cambiamenti sta comportando nella relazione del proprio corpo tra questi ragazzi?

Utilizzando delle categorie che potremmo definire adulte, continuiamo a fare una distinzione tra vita reale e vita virtuale. In realtà il paradigma della vita onlife ha messo in luce come questa distinzione non abbia più modo di esistere, soprattutto per le nuove generazioni, e quindi vita reale e vita virtuale si fondono in un’unica dimensione esistenziale. Vorrei però provare a fare un ulteriore passo in avanti, da un certo punto di vista la vita che viviamo negli ambienti digitali non dobbiamo più considerarla come virtuale, ma come iperreale, come un’estensione della nostra realtà. Concettualmente quello che è avvenuto con l’ambiente digitale non ha fatto altro che ampliare i confini della nostra realtà. Questo cambiamento ha offerto delle opportunità inimmaginabili, si sono estesi i confini del possibile, ma allo stesso tempo ha generato rischi e pericoli. Noi già viviamo in questa iperrealtà, ma ancora non abbiamo sviluppato quella che potremmo definire una ipersocialità, nel senso che non abbiamo ancora quelle competenze sociali necessarie per poter vivere compiutamente, in maniera sana e tranquilla, all’interno di questa realtà. Con la nostra ricerca abbiamo voluto approfondire questi aspetti concentrandoci su un ambito particolare che è il corpo. Ci siamo soffermati sul corpo perché può essere considerato come un vettore semantico, un importante punto di osservazione sulla realtà. Se osservo il corpo e quello che il corpo mi restituisce dal punto di vista sociale e culturale, posso sperare di comprendere alcuni tratti della società in cui questo corpo è immerso. Noi viviamo in una società che, almeno a parole, accetta tutti i tipi di corpo, pensiamo a tutti quei movimenti come la body positivity che hanno cercato di variare i canoni estetici e di modificare, allargandole se vogliamo, le categorie del bello, di ciò che piace, tutti questi movimenti cercano di proporre dei modelli socio-culturali di corpo che sono inclusivi. La domanda che dobbiamo porci è se è veramente così, quello che abbiamo notato nei preadolescenti è una forma di dualismo tra il corpo reale, tangibile, che ognuno di noi possiede, la parte materiale se vogliamo, e il corpo digitale, quello che possiamo costruire a nostro piacimento, che possiamo adattare, modellare, che possiamo rendere piacevole e attraente sui social magari mediante l’utilizzo oppure modificando alcuni nostri tratti. Una quota di preadolescenti che abbiamo intervistato, circa il 30/40 %, soprattutto tra le ragazze, vorrebbe essere nella vita reale così come appare nella vita virtuale, questo rappresenta un cambio di paradigma epocale, nel senso che non voglio più che la mia realtà entri nel digitale, ma voglio esattamente l’opposto, ovvero che il digitale diventi il mio reale. Da qui si determinano tutta una serie di frustrazioni e problematiche come ad esempio la non accettazione del nostro corpo, le dismorfofobie, le ansie, proprio perché nel virtuale posso modificarmi a mio piacimento, ma questo non è immediatamente possibile nella vita reale e quindi si crea questo dualismo.

Ci troviamo di fronte ad una fragilità crescente, i nostri ragazzi vivono sempre più gli effetti negativi di una società senza prospettive, Galimberti parla di una società nichilista, quanto incide in tutto questo il rapporto con i social e la ricerca di un’immagine virtuale quasi perfetta che però spesso è scollegata da quella reale?

Galimberti ci parla di un nichilismo fondato sull’assenza di valori di riferimento, ai giovani mancano dei principi guida, dei valori di riferimento, degli elementi che possano orientare le proprie scelte di vita, ovviamente detta in maniera sintetica. Vorrei mantenere questo ragionamento provando però a tradurlo non nell’assenza ma nella moltiplicazione. Proviamo a utilizzare ancora una volta il corpo come punto di osservazione, che è la cosa che abbiamo fatto attraverso la nostra ricerca. Nel mondo digitale c’è una moltiplicazione di messaggi e contromessaggi, valori e controvalori, principi e controprincipi che riguardano il corpo. Grasso è bello, va bene, però non possiamo dire ad una persona che è grassa perché potrebbe diventare offensivo, allora bisogna essere magri, bisogna essere soprattutto sé stessi, ma se non ti senti bene con te stesso allora puoi usare la tecnologia e la chirurgia, il tuo corpo ti appartiene e puoi farne ciò che vuoi, ma attento a come ti comporti in ambito relazionale, sociale e sessuale perché ci sono dei canoni da rispettare. Quindi messaggi e contromessaggi, valori e controvalori, e c’è una moltiplicazione di modelli di corpo, ma più in generale c’è una moltiplicazione di principi e di valori che vengono veicolati attraverso i social e attraverso il mondo digitale. Quindi in questo caso, dal mio punto di vista, il nichilismo è da sovrabbondanza, deriva dall’impossibilità di trovare un orientamento in questa complessità, anche molto caleidoscopica, e qui da un certo punto di vista arriva il parziale fallimento delle strategie educative che finora abbiamo adottato. Noi ci concentriamo solo su quegli aspetti tecnici, sull’utilizzo degli strumenti, se vogliamo, anche per quanto riguarda le competenze digitali, ad esempio come si accende un computer, come si naviga su internet, oppure come si mandano le email e così via, sono aspetti importanti, ovviamente, perché lo strumento bisogna padroneggiarlo, ma accanto a queste noi dobbiamo cercare di sviluppare tutta una serie di competenze sociali che riguardano il mondo digitale, appunto quella ipersocialità di cui parlavo prima, e questo ancora non lo stiamo facendo, non insegniamo la vita e il modo in cui bisogna vivere nel mondo iperreale, probabilmente perché abbiamo ancora bisogno di comprenderlo fino in fondo, ma è un aspetto troppo dinamico e troppo veloce. Probabilmente è questa la grande sfida educativa che dobbiamo cercare di affrontare da qui a breve.

Chiudiamo con un’ultima domanda. Alla luce dello studio effettuato quale visione è emersa del mondo giovanile di oggi e quali sono le proposte a cui avete pensato per una crescita più sana di questi ragazzi?

Probabilmente se accogliamo questa nostra proposta di accettare reale e iperreale, con la necessità di dover sviluppare questa ipersocialità, da un certo punto di vista, lungo questo ragionamento, noi dobbiamo immaginarci oggi una scuola che è un’iperscuola, ovvero una scuola che è capace di costruire quelle competenze sociali essenziali per i giovani di oggi. Questa è la grande sfida, bisogna fare in modo che le proposte educative e di costruzione delle competenze sociali siano in grado di intercettare i bisogni e le necessità dei giovani che vivono questo mondo iperreale. Faccio un esempio per cercare di spiegare meglio quello che sto cercando di dire, nella scuola noi abbiamo avuto un grande sviluppo tecnologico, con tutta una serie di differenze a livello territoriale, dove troviamo enormi dotazioni tecnologiche, ad esempio le LIM, gli schermi collegati alla rete, la possibilità di utilizzare tablet e in alcune scuole c’è anche la banda larga, ma il punto è che se noi abbiamo solo una strumentazione tecnologica ma non aggiorniamo la nostra didattica, la nostra proposta educativa e semplicemente utilizziamo strumenti diversi, quindi invece di fare la lezione con la lavagna tradizionale, quella nera con il gessetto, facciamo la stessa lezione, con lo stesso approccio, con la lavagna digitale, quello che ho cambiato è semplicemente lo strumento, ma non il contenuto, e anche il tipo di sviluppo che posso permettere in favore delle tue competenze e della tua crescita. Probabilmente abbiamo necessità di fare questo ulteriore passo in avanti, cioè di incominciare a costruire dei modelli culturali, sociali ed educativi che stiano al passo con i tempi, che siano in grado di offrire delle risposte concrete alle necessità dei giovani di oggi.

Fonte:SIMONE DIGENNARO, intervistato da FABIO GERVASIO | OrizzonteScuola.it

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