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L’8 marzo sia occasione per eliminare le diverse forme di iniquità

Chi mi conosce sa che non amo molto le giornate dedicate ad un particolare tema o a determinate persone, quasi che si voglia creare singole categorie. Prendo, allora, queste giornate come un invito alla riflessione che deve poi tradursi in azioni concrete da compiersi durante gli altri 364 giorni dell’anno. Ho voluto fare questa premessa per non incorrere in certi atteggiamenti che definirei farisaici per cui si parla delle donne, degli ammalati di AIDS, dei lebbrosi, delle vittime dell’Olocausto solo nelle giornate commemorative e poi il nulla.  Invece no, l’attenzione deve essere costantemente mantenuta alta.

Ancora un’altra premessa che riguarda più strettamente la giornata dell’8 marzo: quando cammino per la strada e vedo i manifesti dei diversi festeggiamenti organizzati nei locali di divertimento con forme pressoché squallide di intrattenimento, la mia avversione per le giornate “dedicate” aumenta ancora di più. Ma, del resto, sono una suora, quindi bacchettona, certe cose non le posso capire, è ovvio!

La mia opinione potrebbe cambiare se, invece, l’8 marzo diventa l’occasione per puntare l’attenzione su determinati temi e, a partire dal 9 marzo si prosegue, ognuno per la propria parte, a lavorare perché si trovino soluzioni ai problemi discussi il giorno precedente: allora il discorso cambia. Diversamente rimango ferma sulla mia posizione. A cosa dobbiamo dunque pensare oggi? Per quanto mi riguarda:

penso alle bambine avvelenate in classe nelle scuole iraniane ma penso anche ai loro compagni maschi che crescono in un aberrante clima di odio,

penso alle donne sole che partono con i loro figli ancora piccoli alla volta delle coste del nostro Occidente ma penso anche ai loro mariti, soli, in patria o in qualche parte del mondo,

penso alle mogli ucraine e russe ma penso anche ai loro uomini che combattono una guerra assurda, come assurde sono tutte le guerre,

penso alle nostre nonne e bisnonne, durante la Seconda Guerra Mondiale, a “tirare avanti la carretta”, con i loro mariti e qualche loro figlio al fronte o internato nei diversi campi di prigionia,

penso alle tante staffette partigiane, cattoliche, socialiste, comuniste, che con le loro biciclette garantivano la comunicazione tra le diverse brigate del CLN e, arrestate, non hanno tradito nonostante le meschine violenze e le turpi blandizie: queste donne, con i loro sacrifici, hanno scritto la Costituzione esattamente come le donne elette alla Costituente,

penso alle donne vittime della violenza, in qualsiasi tremenda forma essa possa manifestarsi, ma penso anche ai loro carnefici e mi chiedo: come è possibile tanta efferatezza?

penso alle donne discriminate sui posti di lavoro, ma penso anche a chi le discrimina e mi chiedo: ma questi da chi sono stati educati?

penso alle donne che cedono al compromesso per fare carriera, ma penso anche a chi impone quel compromesso e mi chiedo: con quale visione dell’uomo, del proprio simile, sono cresciuti?

penso alle ragazze cresciute nella solitudine, senza rispetto per sé e per il proprio corpo, e così sfruttate per un piacere effimero, ma penso anche a chi desidera quel piacere effimero e mi chiedo: quale idea ha di sé stesso?

penso alle donne sole, ma penso anche ai padri separati spesso ridotti alla povertà per l’assegno di mantenimento che devono comunque garantire,

penso alle tante solitudini delle donne ma penso anche alle tante solitudini degli uomini.

E, mi sia consentito, penso alle ragazze che, come me, ancora oggi lasciano tutto per dedicarsi alla vita religiosa nella donazione totale di sé.

Potrei proseguire all’infinito. Rifuggo da qualsiasi forma di femminismo spesso vissuto non come idea ma come ideologia. Quale significato ha il regalare il ramoscello di mimosa se poi chi lo fa assume comportamenti che dicono ben altro rispetto a quello che il ramoscello di mimosa vuole rappresentare? Credo che occorra formare i giovani a un nuovo umanesimo che faccia del rispetto della persona il centro e il discrimine di tutto, di ogni scelta personale, familiare, comunitaria, nazionale. Solo una nuova educazione che punti all’essenziale, ossia alla formazione al bene dell’altro, al senso di corresponsabilità, può fare realmente la differenza ed eliminare ciò che nella nostra società esiste di ingiusto.

Allora ben venga l’8 marzo se diventa occasione per cercare di trovare soluzioni che eliminino le diverse forme di iniquità presenti nel nostro mondo.

Concludo con un passo tratto dalla Mulieris dignitatem, la lettera apostolica inviata a tutte le donne da San Giovanni Paolo II, il 15 agosto 1988: «La Chiesa, dunque, rende grazie per tutte le donne e per ciascuna: per le madri, le sorelle, le spose; per le donne consacrate a Dio nella verginità; per le donne dedite ai tanti e tanti esseri umani, che attendono l’amore gratuito di un’altra persona; per le donne che vegliano sull’essere umano nella famiglia, che è il fondamentale segno della comunità umana; per le donne che lavorano professionalmente, donne a volte gravate da una grande responsabilità sociale; per le donne «perfette» e per le donne «deboli» per tutte: così come sono uscite dal cuore di Dio in tutta la bellezza e ricchezza della loro femminilità; così come sono state abbracciate dal suo eterno amore; così come, insieme con l’uomo, sono pellegrine su questa terra, che è, nel tempo, la «patria» degli uomini e si trasforma talvolta in una «valle di pianto»; così come assumono, insieme con l’uomo, una comune responsabilità per le sorti dell’umanità, secondo le quotidiane necessità e secondo quei destini definitivi che l’umana famiglia ha in Dio stesso, nel seno dell’ineffabile Trinità».

Fonte: A. Monia ALFIERI | IlTimone.org

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