Un 2022 pieno di conferme per il cantautore che con i prossimi “live” di Milano e Roma chiude il tour. «Il successo? Io resto sempre quello della porta aperta agli altri»

Il cantautore carrarese Francesco Gabbani

Se l’universo della musica pop somiglia a Francesco Gabbani, allora non siamo in pericolo. Anzi, come canta lui, l’atmosfera è da Peace & Love. Infatti, questo splendido 40enne di Carrara è il volto umano dell’intronata routine del cantar leggero. Una voce fuori dal coro, “anarchia carrarina”, con l’obiettivo dichiarato, «da sempre, che l’artista Francesco Gabbanni possa sovrapporsi naturalmente all’uomo Francesco Gabbani». E con questo spirito umanitario, ed umanistico, con tanto di Sangue darwiniano da intonare, il cantautore due volte vincitore del Festival di Sanremo – record insuperato: trionfo per due edizioni di fila, 2016 nelle Nuove Proposte con Amen e 2017 nei Big con Occidentali’s Karma – si accinge a vivere gli ultimi due bagni di folla del suo fortunato tour. Sabato 1 ottobre è atteso in concerto al Medionalum Forum di Assago (Milano) e sabato 8 ottobre al Palazzo dello Sport di Roma. Una stagione magica per Gabbani, culminata con il 5° album registrato in studio, Volevamo solo essere felici e la coconduzione con Francesca Fialdini del primo green show di Rai 1 Ci vuole un fiore.

E pensare che se “Amen” fosse stata esclusa e non fosse stata ripescata a quel Sanremo, oggi forse più che il cantautore farebbe l’autore…


Quando sono arrivato a Sanremo 2016 ero già in modalità “scrivere canzoni per altri” e lo avrei fatto molto serenamente. Ma quando ha ascoltato Amen, il mio editore mi disse: chi se non tu può cantarla? Così, senza aspettative particolari l’ho fatto. Se non mi avessero ripescato (causa errore tecnico nella votazione, ndr), non l’avrei vissuta come una sconfitta perché l’eventuale sofferenza di allora non era direttamente proporzionale alla mia illusione. Poi ho vinto, e si è aperta un’altra strada…

“Amen” va letto anche come un atto di fede che ha spianato il suo cammino?
Credo che il sistema vibrazionale in cui viviamo tutti sia governato da causa ed effetto. In ciò che fai, se ci metti amore, prima o poi ti tornerà indietro qualcosa di buono e di grande. Con Amen è andata così, qualcosa di “spirituale” alla fine è come se mi avesse dato la risposta a tutta la passione e l’energia, anche sentimentale, che avevo messo fin lì. Perciò, quella è stata la conferma che stavo andando nella giusta direzione.

La giusta direzione l’ha portato anche ad Assisi per cantare all’edizione 2022 di “Con il cuore nel nome di Francesco”…

La mentalità francescana mi piace molto, è un modo di vivere e di agire nel quale mi ritrovo, specie per ciò che attiene al senso di comunità e il rispetto verso la natura. Lo stare insieme e condividere, tipico del francescanesimo, è fondamentale in un momento storico come questo in cui le nuove generazioni vivono a “testa bassa”, ostaggio dello smartphone e dei social. Il messaggio francescano è l’opposto del narcisismo arrivistico e di quell’individualismo in cui oggi tanti cercano di avere la meglio a discapito degli altri. L’altro aspetto fondamentale di cui san Francesco è stato maestro, è vivere in armonia con la natura di cui siamo parte integrante, ma spesso ce lo dimentichiamo. Tornare a quell’armonia, vuol dire seguire il sentiero che conduce alla salvezza.

Ci si salva anche restando attaccati alle proprie radici, senza doversi per forza gettare nel marasma metropolitano.
Per lavoro mi muovo tra Roma e Milano, ma ho scelto di rimanere a vivere sotto le mie Alpi Apuane. Al mare, preferisco la dimensione montana, la serenità la trovo passeggiando nei boschi, in cui, non mi vergogno a dirlo – sorride – … mi capita di fermarmi ad abbracciare gli alberi. È un gesto naïf, è il mio saluto a queste creature della natura di cui avverto la forza anche temporale: stavano lì molto prima del mio passaggio e ci saranno anche assai dopo, quando altri le troveranno e magari le abbracceranno, proprio come faccio io ora.

Alle nuove e future generazioni è dedicata Spazio tempo, colonna sonora della serie di Rai 1 Il professore (con Alessandro Gassmann) che fa parte del disco Volevamo solo essere felici: un titolo che si presta a molteplici interpretazioni.

Il messaggio è semplice, in quella frase, «volevamo solo essere felici», fondamentalmente sta il senso del ricordarci che dietro ciò che facciamo c’è sempre un motivo per andare alla ricerca della felicità. Noi occidentali, magari senza troppo karma, spostiamo sempre in avanti l’obiettivo futuristico della felicità, mentre gli orientali credono nel «qui e ora». Io mi ritrovo sempre più in questa idea di collocare la felicità nel presente, cercando di essere grato per ciò che ho, piuttosto che inseguire, anche con un pizzico di frustrazione, ciò che non ho ancora ottenuto. La gratitudine per quanto si è riusciti a fare è il modo migliore per allenarsi alla felicità.

La felicità sta anche in quella “profonda leggerezza” che caratterizza i testi delle sue canzoni. Quanto ha contato l’incontro con Franco Battiato?

Aprire i suoi concerti nel 2016 e aver avuto il privilegio di conoscerlo ha arricchito questa mia vena di profonda leggerezza che avevo scoperto nei suoi testi e nella sua musica. In un disco come La voce del padrone, Franco cantava brani pop orecchiabili, ma chi ha tentato una lettura più in profondità ha trovato la ricchezza dell’uomo e quel lato mistico e spirituale che era riuscito a far diventare la sua espressività musicale. Io rispetto a Battiato sono più giocherellone, non rinuncio all’istintività: parto dal sentimento per arrivare al ragionamento.

La sua musica è un ponte tra il presente e quel passato che porta dritto ad icone come Adriano Celentano che ha inciso la sua Il bambino col fucile e a Ornella Vanoni che si è perdutamente innamorata di Un sorriso dentro al pianto.

Una soddisfazione immensa aver scritto quelle due canzoni per due nomi che hanno fatto la storia della cultura italiana. Con Celentano non ho avuto un rapporto diretto, anche se con lui condivido lo spirito giocoso di fare show attraverso la musica per regalare o strappare sempre un sorriso al pubblico. Con Ornella si è creato un rapporto speciale, uno scambio generazionale empatico basato sull’emozione e una particolare sensibilità che ci lega. Per questo, non possiamo fare a meno di telefonarci almeno due volte a settimana, anche semplicemente per dirci «ciao, come stai, che stai facendo?». Fantastica, unica la Vanoni…

Unico è anche l’effetto che ha la sua musica sui bambini: Occidentali’s Karma ha stregato i più piccoli tra i millennials.


È una cosa di cui vado orgoglioso, anche perché i bambini hanno una percezione scevra dai preconcetti. Mi piace pensare che in una canzone come Occidentali’s Karma abbiano colto l’energia pura e quanto di genuino ci sia dentro. L’ultimo tour mi ha confermato che la mia musica è “transgenerazionale”: sotto il palco ho visto arrivare famiglie con bambini, ma anche giovani coppie, universitari, adulti e pure anziani come quelli della Bocciofila della Martesana di Milano dove ho girato il videoclip di Peace & Love.

Lo scrittore Luciano Bianciardi, un toscano anche lui, e anarchico, di Grosseto, sosteneva che «il successo è soltanto il participio passato di succedere». Che rapporto ha con il successo?

La penso come Bianciardi: il successo per me è qualcosa che è già accaduto… La popolarità magari non ti cambia interiormente ma di sicuro modifica la percezione che gli altri hanno di te. Io però resto quell’outsider che arriva 1° a Sanremo 2017 e la prima cosa che fa è inchinarsi di fronte a una signora della musica come Fiorella Mannoia che con Che sia benedetta era data come la vincitrice sicura.


Ma oggi, con i sold out nei palazzetti e un pubblico adorante di fan, lo rifarebbe quell’inchino?

Non mi rivedo mai dopo che sono andato in tv, ma quella scena lì con la Mannoia mi capita di riguardarla e mi commuovo, per la spontaneità… Io sono quello lì, rimango il Francesco che non si barrica, ma apre sempre la porta agli altri. E questo alla gente arriva, perché lo vedo nei concerti dove non ci sono i fan, perché il fanatismo non mi appartiene, ma dei supporters, delle persone che mi sostengono e che non vogliono solo vivere l’esperienza musicale, ma sono lì per condividere un benessere comune, dei valori sani, puri. Ogni volta che salgo sul palco diventiamo una grande famiglia che si riunisce intorno a un tavolo, per consumare il meglio di questa vita.