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Padre Maccalli sequestrato in Niger: “Ho perdonato i miei rapitori”

Sequestrato nel 2018 in Niger è stato liberato dopo 752 giorni in Mali e in questi giorni è passato dalla Spezia e Sarzana per incontrare le clarisse. Il prete missionario si racconta a Città della Spezia: “Mi sono sempre state vicine con le loro preghiere. Ho cercato di essere un missionario anche con i miei rapitori, che mi sorvegliavano con un kalashnikov in mano”

Ha perdonato i suoi rapitori, padre Pier Luigi Gigi Maccalli il prete missionario rapito in Niger nel 2018 e rilasciato in Mali due anni dopo. In questi giorni ha fatto visita alla Spezia, al Centro missionario e ha incontrato le suore clarisse. In una breve intervista, concessa a Città della Spezia, racconta qualcosa di sé, dell’esperienza del sequestro durato 752 giorni e di quelle 25 lune che ha visto passare sul suo capo, durante la prigionia incatenato, assetato d’acqua e di libertà.

Padre Gigi Maccalli  ha vissuto un profondo travaglio interiore ma ha saputo essere un missionario anche con le catene ai polsi.  “Essere missionario non è una dimensione del fare – racconta – ma dell’essere. Io l’ho vissuto anche in questa sventura e ho cercato di esserlo, dopo aver fatto il mio travaglio interiore, attento anche alle persone che avevo intorno a me. Parlo dei giovani mujahidin che erano li a sorvegliarmi con il kalashnikov in mano. Con loro ho cercato di essere disponibile, attento all’ascolto e di rispondere ai loro interrogativi gli stessi di tutti quei giovani che desiderano altro dalla vita. Dentro di me la grande sete di libertà, amore e comunione è stata una grande fatica. Mi ha permesso di scoprire che è l’essenziale per una vita bella, beata buona è vivere le relazioni“.

Una condizione difficile da immaginare quella vissuta dal missionario, paragonabile solo al momento in cui Cristo si esprime in tutta la sua umanità: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”.

“Le parole che ho detto – prosegue padre Maccalli – sono le stesse di Gesù, io mi aggrappavo alle sue parole. Le ha dette lui, posso dirle anche io. Lì ci sono le nostre angoscia e umanità che si è espressa in quel momento tragico della croce e della morte, ma allo stesso tempo ci sono anche le altre parole ‘Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno’. Io questo perdono lo do anche ai miei persecutori, che hanno fatto del male a me, alla mia famiglia, alla mia comunità della missione strappandomi a loro. Li ho perdonati, ora sono in pace“.

Il prete missionario è tornato alla Spezia, non prima però di essere passato dalle suore clarisse. “Sono stato a Sarzana oggi  – racconta – a ringraziare e salutare le clarisse perché hanno sempre pregato per me, durante la mia prigionia e da anni sostengono la mia comunità e la società delle missioni africane. Era un passaggio obbligato, grazie anche all’impegno di padre Manrico, prima del mio ritorno verso Genova”.

Padre Gigi Maccalli ha raccolto nel libro “Catene di libertà” il vissuto della sua prigionia: “Ho cominciato scriverlo, in realtà, nel deserto. Mi ero appuntato alcune cose su un quaderno e con una biro che mi avevano dato. Ho cominciato a mettere per iscritto tutto ciò che mi accadeva dentro, le mie riflessioni. Una volta libero mi sono dato tre mesi, lontano da tutto  per stare tranquillo e rielaborare quanto mi era accaduto. Questo libro è nato come desiderio di comunicare alla mia famiglia e ai miei amici questo viaggio fisico e interiore durante questi 752 giorni. Ho visto 25 volte la luna, passarmi sopra la testa mentre dormivamo fuori all’aperto, nella speranza che fosse l’ultima volta“.

Fonte: Chiara Alfonzetti | CittàdellaSpezia.it

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