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«L’Ue deve accettare che pace e libertà hanno un costo»

«Temo che i negoziati tra Russia e Ucraina siano una scusa propagandistica che avrà come esito il peggioramento della guerra. Armare Kiev ora non è la migliore strategia». Intervista all’ex ministro della Difesa, Mario Mauro

«I colloqui di pace tra Ucraina e Russia erano inevitabili, ma temo si tratti di un’azione propagandistica che avrà come esito il peggioramento della guerra». Lo dichiara a Tempi Mario Mauro, già ministro della Difesa e vicepresidente del Parlamento europeo, fondatore del centro studi di relazioni internazionali Meseuro.

Putin e Zelensky sono pronti a trovare un accordo?
Non vorrei sembrare cinico, ma mi sembra che questa richiesta di colloqui di pace nasconda secondi fini. Volodymyr Zelensky non poteva sottrarsi perché altrimenti sarebbe stato accusato di togliere chance alla pace. Ma se le richieste sul tavolo sono propagandistiche da entrambe le parti, Putin potrà usare i colloqui per dire: «Vedete? L’avevo detto che non volevano trattare».

I negoziati si sono svolti a Gomel, in Bielorussia. Una sede tutt’altro che neutrale.
È una scelta ambigua che conferma i miei dubbi. Temo infatti che il presidente Alexander Lukashenko possa dire: «Io li ho invitati e ho fatto di tutto per raggiungere la pace, ma l’Ucraina non vuole saperne». E dichiarare di conseguenza il proprio ingresso in guerra a fianco di Mosca. Forse il cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, aveva messo a disposizione la Santa Sede perché era consapevole che Russia e Ucraina non cercassero davvero la pace. Ma non gli hanno neanche risposto.

Qual è il vero pericolo di un coinvolgimento della Bielorussia nel conflitto?
I russi sono penetrati in Ucraina grazie alla forza di sfondamento dei mezzi corazzati. Forse si aspettavano che gli ucraini avrebbero abbandonato le città, ma non l’hanno fatto. La guerra di movimento potrebbe dunque lasciare ora il posto alla guerriglia urbana, strada per strada, e in questo senso i soldati dell’esercito bielorusso potrebbero tornare utili.

I negoziati sono dunque inutili?
No, ci vuole molta pazienza e grande capacità di tessere relazioni, anche al di fuori degli ambiti politici, come sta facendo la Santa Sede con la Chiesa ortodossa. Russia e Ucraina dovrebbero sedersi al tavolo riconsiderando le ragioni della propria convivenza e abbandonando proposte come l’ingresso nell’Ue e nella Nato da una parte e l’annessione alla Russia dall’altra. La coesistenza è ancora possibile.

La Germania ha annunciato che aumenterà la spesa militare al 2% del Pil e che consegnerà armi offensive all’esercito ucraino. Come il conflitto sta cambiando l’Europa?
Sono stato in passato il “ministro degli F-35”, quello che puntava ad acquisire nuove armi per aumentare la deterrenza nello spazio euromediterraneo. Mi fa un po’ specie sentire che in favore della consegna di armi all’Ucraina ci sono quelli che allora scendevano in piazza affermando che con i soldi degli F-35 si potevano costruire 1.500 asili e scuole.

Che cosa intende dire?
Io non penso che la migliore strategia in questo momento sia armare l’Ucraina. Penso che la responsabilità europea in questo momento, tenendo conto degli scenari futuri, sia di pensare a se stessa come unità politica costruendo una difesa e una politica estera comuni. Saremmo già dovuti essere pronti dal momento che Putin, negli ultimi otto anni dal 2014, si è preparato a questa guerra.

L’Europa invece non ha fatto progressi?
Li ha fatti ora, perché è stata costretta dalla pandemia. Può darsi che il timore legato al conflitto ucraino spinga l’Ue a costruire una difesa comune. Se non fosse così, l’unica cosa che resterà sarà il riarmo tedesco che oggi viene visto dai giornalisti solo come la decisione del cancelliere Scholz di aumentare le spese al 2% del Pil, ma domani potrebbe suscitare considerazioni molto diverse.

C’è bisogno di un cambio di mentalità in Europa?
Quello che le opinioni pubbliche europee fanno fatica a digerire è che la pace e la libertà costano, perché la pace si fonda su verità e giustizia, senza queste non c’è pace ma soltanto resa. Arrivare a una pace senza libertà in Ucraina non è nell’interesse di nessuno, bisogna essere pronti e attrezzati perché nella fase negoziale si possa discutere di una pace in libertà e giustizia.

La guerra in Ucraina poteva essere evitata?
Ci sono stati errori sia da parte della Nato che da parte della Russia. Ma prima di parlare di questo bisogna sgombrare il campo da un equivoco: possiamo discutere se abbia senso o meno far entrare l’Ucraina nella Nato, ma non si può mettere in discussione che la Russia non abbia il diritto a entrare in Ucraina senza chiedere il permesso.

L’Occidente ha commesso errori a partire dal 2014?
Gli errori si possono datare dall’11 settembre 2001, dalla risposta all’attacco alle Torri Gemelle. L’ideologia jihadista dei terroristi era estranea tanto agli americani quanto ai russi, ma non c’è stata collaborazione nella lotta a un nemico comune. Questo nel tempo non ha fatto che accrescere i sospetti reciproci, culminati con le politiche paradossali e paranoiche delle amministrazioni Obama, delle quali ha fatto parte anche l’attuale presidente Usa Joe Biden. Obama sosteneva infatti che il vero competitor degli americani fosse la Cina, poi però non faceva che attaccare le strategie di Putin.

Non aveva buone ragioni per farlo?
Che le strategie di Putin fossero finalizzate a ridurre gli spazi di libertà in Russia e a portare avanti un progetto di potere, su questo non ci piove, ma lo spazio per dialogare con i russi c’era e non è stato sfruttato. Perché russi e americani, ad esempio, non hanno combattuto insieme l’Isis in Siria? Il disimpegno americano ed europeo dall’area euromediterranea non ha fatto che favorire il protagonismo di Russia e Turchia, che si sono scontrati su tutto, dalla Siria alla Libia, ma ne sono sempre usciti rafforzati.

Oggi lo spazio per il dialogo c’è ancora? L’ex segretario di Stato Henry Kissinger parlava di “finlandizzazione” dell’Ucraina.
Sì lo spazio c’è, ma andrebbe immaginato un intero percorso di azioni che portino a una reale de-escalation. Russi e ucraini devono trovare da loro, sul terreno, una formula per tornare a coesistere. Certo è quasi impossibile se le parti continuano a delegittimarsi, se da una parte si considera Putin “il grande Satana”, mentre dall’altra il Cremlino definisce il governo ucraino un branco di drogati e neonazisti.

Le premesse non sono buone.
Ora sembra difficile trovare un accordo. Ma un aiuto può venire dall’affiorare, anche timido, del dissenso. Abbiamo visto tutti il video del direttore dei servizi segreti russi, che voleva dire una cosa ma che è stato costretto da Putin a dirne un’altra. Non è indifferente il coraggio di tanti russi che sono scesi in piazza contro la guerra e ammiro il diplomatico russo che all’assemblea sul clima ha preso la parola e ha chiesto scusa agli ucraini. La storia è raccontata dai potenti, però spesso la scrivono gli umili.

Fonte: Leone GROTTI | Tempi.it

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