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OLTRE L’ORARIO DI LAVORO/ Il caso della settimana corta belga che può ispirare l’Italia

In Belgio si ipotizza una distribuzione dell’orario di lavoro molto innovativa e che potrebbe ispirare anche cambiamenti importanti in Italia

Nei giorni scorsi, il Governo belga ha presentato un progetto di riforma del mercato del lavoro con l’obiettivo di dare risposte regolative a una situazione che, per quanto in evoluzione permanente, negli ultimi tempi è caratterizzata da cambiamenti, anche piuttosto radicali, introdotti dalla pandemia.

È noto a tutti quanto negli ultimi due anni si sia accelerato il ricorso al lavoro a distanza: il necessario distanziamento sociale non consentiva alternativa alcuna. In tutte le economie avanzate, oggi si fa i conti con questo fenomeno – anche in Italia (si veda il “protocollo sul lavoro agile”) – cercando di avvicinare distanziamento, autonomia e work-life balance.

Il lavoro agile, in particolare, nasce come forma di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. È proprio questo il grande obiettivo che il primo ministro belga Alexander de Croo ha esplicitato, ovvero quello di “dare ai dipendenti più libertà e flessibilità per conciliare meglio vita privata e vita professionale”. In questo senso, il progetto del Governo belga prevede la “settimana corta”: si tratta della possibilità di spalmare su quattro giorni le stesse ore di lavoro previste per cinque. Per il momento, la proposta è al vaglio delle Parti sociali. Solo successivamente, il Governo belga presenterà delle ipotesi legislative.

Il lavoro agile – oggi sempre più “ibrido” (un po’ in presenza, un po’ a distanza) – introduce in modo massificante un’esigenza nel lavoro che risulterà irreversibile: le persone si sono abituate a un equilibrio diverso col lavoro che permette loro di gestire meglio i tempi di vita, in particolare nei casi di genitorialità. E a queste crescenti esigenze è fondamentale dare risposte.

Da questo punto di vista, è interessante osservare il fenomeno della Great Dismission (Grande Dimissione) negli Usa: tra luglio e agosto dell’anno scorso, quando le aziende hanno iniziato a diminuire il distanziamento e a richiamare le persone in ufficio, oltre 8 milioni di lavoratori hanno dato le dimissioni, il 30% di questi (circa) senza un’alternativa (dati Dipartimento Lavoro Usa). È un trend che non si è arrestato – nel novembre 2021 altri 4 milioni di lavoratori hanno rassegnato spontaneamente le dimissioni – e che tocca tutti i settori in modo trasversale: servizi professionali, sanità ed educazione, manifattura, alloggio e ristorazione, commercio al dettaglio, ecc.

In poche parole, queste dimissioni indicano l’indisponibilità a rinunciare a quell’equilibrio guadagnato, in modo del tutto spontaneo, con la pandemia.

L’andamento dell’economia e del mercato del lavoro negli Usa è stato spesso anticipatore di novità che si sono poi puntualmente manifestate anche in Europa. Anche in Italia, lo scorso anno, vi sono stati circa 2 milioni di casi di dimissioni volontarie (dato a novembre 2021, Fondazione Consulenti del Lavoro).

Nel caso specifico, è piuttosto evidente come il matching tra domanda e offerta debba oggi considerare l’organizzazione del lavoro come elemento determinante. Nel nostro Paese ciò avviene nelle imprese medio-grandi. Si tratta però soltanto del 5% delle nostre imprese. Il restante 95% – che ha meno di 10 addetti/e – vive di espedienti e di organizzazioni prevalentemente appesantite, anche per i ritardi di chi le rappresenta. I tempi per una grande riforma del lavoro sono maturi. La vogliono imprese e lavoratori: Governo e Parti sociali potrebbero giovarsi proprio del caso belga.

Fonte: Giuseppe Sabella | IlSussidiario.net

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