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IL CASO/ Se il panettone di Giotto convince anche il New York Times

Il New York Times ha voluto dedicare alla pasticceria Giotto, e al suo celebre panettone preparato dai detenuti di Padova, un lungo articolo “natalizio”

Periferia nord-ovest di Padova, uno degli atri del cuore policentrico del nordest. Due fabbricati alti, sprofondati tra l’autostrada e una campagna che cede sempre più il posto a fabbriche e capannoni. Un perimetro fatto di inferriate e guardiole, sorvegliato a vista di giorno e nelle notti illuminate dai fari.

In questi “orizzonti ristretti” (si chiama così un sito di cultura e informazioni dal carcere), sulla scorta della necessità di abbassare la percentuale (tra il 70% e l’80%) di recidive, cioè di coloro che a fine pena tornano a delinquere nella società, si è tentata la strada della riabilitazione formativa, attraverso il lavoro (che riduce la percentuale recidivante al 5%), grazie all’iniziativa (a fine anni Ottanta) di un gruppo di giovani laureati in Scienze agrarie e forestali. Nacque la Cooperativa sociale Giotto, agli inizi vocata al recupero di parchi e giardini, successivamente impegnata anche in servizi di call center, digitalizzazione, gestione di servizi.

Anno dopo anno, la crescita è stata costante, per arrivare in tempi recenti a più di cento detenuti formati e impegnati in attività lavorative, spendibili anche una volta finita la detenzione. E nel 2004 è nata poi la cooperativa Work Crossing, che ha dato il via a quella che è diventata famosa in mezzo mondo come “Pasticceria Giotto, la pasticceria del carcere”, con il suo pezzo forte: il panettone, nominato tra i dieci migliori d’Italia, a fianco di quelli blasonatissimi firmati dalle cookingstar più telegeniche.

“Al carcere Due Palazzi di Padova una squadra di detenuti in camice bianco è supervisionata da quattro pasticceri professionisti. Sei giorni alla settimana, iniziano a cuocere alle 4 del mattino, cominciando con la brioche che verrà servita dalle pasticcerie e dagli hotel locali. Giotto produce anche biscotti, crostate, torrone, cioccolato e gelato, ma il panettone è la specialità.

Il programma di panificazione, iniziato nel 2005, è gestito da Work Crossing Cooperative, un gruppo senza scopo di lucro per i programmi di lavoro carcerario nella regione. All’inizio di dicembre la cooperativa ha addirittura aperto una vetrina della Pasticceria Giotto a Padova”.

Il virgolettato non è tratto da una testata locale: lo ha pubblicato il New York Times, uno dei più autorevoli quotidiani al mondo, che ha voluto dedicare alla pasticceria Giotto un lungo articolo “natalizio” (titolato “Un panettone cotto in carcere è uno dei migliori d’Italia”), sottolineando la validità di questa esperienza nel sistema carcerario italiano (negli Stati Uniti una buona fetta delle prigioni è gestita da società private, che ovviamente guadagnano detenendo, non riabilitando) e la professionalità dei detenuti pasticceri.

“Prima di essere ammessi al programma di panificazione, i detenuti devono lavorare con uno psicologo per sei mesi. Una volta accettati, fanno uno stage di sei mesi prima di diventare dipendenti a pieno titolo. Per i seguenti sei mesi, guadagnano 650 euro al mese, poi 800 e infine 1.000. Durante tutto il processo i detenuti continuano a lavorare con uno psicologo”. “È una grande soddisfazione – ha detto Matteo Concolato, uno dei professionisti che supervisionano i detenuti nei laboratori – vedere un ragazzo che magari non ha mai lavorato prima e viene da anni di carcere, che piano piano si appassiona, acquista senso di responsabilità per quello che fa, ricomincia a fidarsi di se stesso e degli altri”.

I risultati sono brioches, biscotti, gelati, focacce (che finiscono in bar, ristoranti e hotel, comprese tutte le strutture del gruppo TH Resorts) e soprattutto in questo periodo sua maestà il panettone, venti ore di lievitazione e nove gusti diversi, qualità superiore, distribuito ovunque, venduto in 250 negozi in Italia e all’estero, pluripremiato (anche dal Gambero Rosso), e oggi realizzato in laboratori pulitissimi, asettici e super attrezzati. Un panettone che non è solo un dolce di Natale, ma il simbolo della riconquista di dignità e relazioni per chi aveva perso il senso del vivere con la perdita della libertà, e anche “possibile risorsa per la comunità, con la riduzione della stigmatizzazione sociale, e la creazione delle condizioni per il reinserimento quando la persona (che tale non cessa di essere solo perché rinchiusa dietro le sbarre) tornerà libera”, come sostiene Filippo Giordano, docente di Imprenditorialità sociale alla Bocconi di Milano.

“La Costituzione italiana menziona esplicitamente l’istruzione come parte dello scopo di una pena detentiva – dice Matteo Marchetto, presidente della Cooperativa Work Crossing -. La pena deve essere espiata integralmente, ma allo stesso tempo deve esserci un percorso di guarigione, altrimenti questi anni sono risorse pubbliche sprecate”.

Fonte: Alberto Beggiolini | IlSussidiario.net

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