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Economia. Noi, società «delle pretese», 50 anni dopo la fine di Bretton Woods

Nel 1946 si era realizzata un’architettura capace di evitare il ripetersi di errori che avevano contribuito a innescare il conflitto mondiale e di favorire la crescita.

Cinquant’anni fa, il 15 agosto 1971, Richard Nixon annunciava la sospensione della convertibilità del dollaro in oro e poneva fine all’ordine monetario internazionale sancito nell’immediato dopoguerra a Bretton Woods su cui si era retta l’età aurea dell’economia occidentale (1946-1971). Conclusesi le devastazioni della Seconda guerra mondiale, la ricostruzione del sistema valutario fu affidata alla multilateralità dei pagamenti, alla convertibilità delle monete e ai cambi fissi. Nell’interpretazione di Guido Carli, protagonista di quegli anni di straordinario fulgore economico, la volontà degli artefici degli accordi era quella di edificare un sistema che evitasse il ripetersi degli errori che contribuirono a innescare l’atroce conflitto: la regolamentazione degli scambi tra Paesi, il contingentamento di importazioni e esportazioni, gli accordi bilaterali di pagamento, il congelamento dei crediti esteri, la segmentazione del mercato globale, il protezionismo, l’autarchia. Tutto ciò non avrebbe dovuto manifestarsi, mai più. L’idea sottostante era che l’ampliamento delle dimensioni dei mercati e la conseguente diffusione della ricchezza tra gruppi sociali diversi si dovesse perseguire attraverso il libero movimento delle persone, delle merci e dei servizi anziché occupando militarmente i territori.

I pilastri su cui poggiava il nuovo ordine definito a Bretton Woods erano i seguenti: libertà degli scambi, priva di ogni vincolo di autorizzazione amministrativa; piena convertibilità delle monete sulla base di una parità dichiarata; convertibilità del dollaro in oro a un prezzo fisso e prestabilito; possibilità di variare le parità valutarie in caso di squilibri fondamentali delle bilance dei pagamenti, quando cioè l’equilibrio della bilancia dei pagamenti diveniva incompatibile con il pieno impiego delle forze lavoro. L’occupazione, la crescita e la diffusione della ricchezza e del reddito erano gli obiettivi che ispiravano le azioni dei fautori del nuovo sistema monetario internazionale. Cinquant’anni fa, dunque, con la decisione di Nixon, venne meno l’obbligo delle banche centrali di intervenire sui mercati dei cambi a difesa di una parità valutaria prestabilita, permanendo nella loro disponibilità la facoltà di intervenire per circoscrivere l’ampiezza delle oscillazioni dei tassi di cambio quando giudicato opportuno. È dunque da allora aumentata terribilmente l’incertezza del sistema.

L’ordine costruito a Bretton Woods presupponeva che un appropriato mix di politiche economiche, opportunamente coordinato sul piano globale, fosse in grado di controllare la domanda interna rendendo compatibile la crescita dell’economia con il vincolo della bilancia dei pagamenti e con la stabilità interna della moneta. Gli obiettivi prioritari dello sviluppo dell’occupazione e dell’aumento armonico del reddito e della ricchezza dovevano essere perseguiti rispettando i vincoli della compatibilità macroeconomica, scongiurando quindi svalutazioni e inflazione. Coerentemente con questa impostazione di fondo, era prevista l’adozione di restrizioni nei confronti di quelle nazioni che avessero rarefatto la propria moneta conducendo politiche deflazionistiche che esercitassero pressioni restrittive sugli altri paesi membri della comunità internazionale. Per impedire la propagazione delle politiche deflazionistiche sperimentata negli anni Trenta del Novecento e i disastri che ne seguirono, fu prevista la possibilità di restringere le importazioni che provenissero da Paesi emittenti di una moneta definita ‘scarsa’. Dal sistema concepito a Bretton Woods scaturì il florido progresso del commercio internazionale: per anni e anni il tasso di sviluppo degli scambi tra Paesi superò il pur elevatissimo tasso di crescita dei singoli Stati industrializzati e costituì il fattore più dinamico di quella straordinaria epoca di splendore dell’economia mondiale.

A Bretton Woods non fu escluso che il prezzo dell’oro potesse essere mutato, in quanto l’adeguamento della liquidità necessaria a finanziare l’espansione degli scambi non sarebbe dovuta dipendere esclusivamente dall’offerta di oro di nuova produzione. Per questo gli aggiustamenti di prezzo potevano diventare cruciali per il funzionamento del sistema. Nello scorcio degli anni Sessanta, l’amministrazione americana rifiutò tenacemente di accrescere il prezzo dell’oro, contribuendo alla crisi definitiva del gold exchange standard. Con lo sganciamento del dollaro dall’oro, si infranse il tenue vincolo che limitava la discrezionalità statunitense di creare moneta: la creazione di dollari cominciò a diventare debordante e – pochi anni dopo – si arrivò a un sistema imperniato sui cambi flessibili. Il sistema concepito a Bretton Woods avrebbe potuto sopravvivere alla dichiarazione di inconvertibilità del dollaro, ma non poté sopravvivere al rifiuto del Paese emittente di coordinare la propria politica con quelle dei maggiori Paesi industrializzati.

Fu quello il momento in cui la ‘società delle pretese’ si affermò sulla ‘società dei doveri’. In questa nuova cornice, la somma delle domande delle parti sociali era priva di qualunque freno. L’inflazione diveniva lo strumento per rendere compatibili le aspirazioni distributive dei vari gruppi sociali con il flusso reale delle risorse: a una forma armonica e inclusiva di sviluppo se ne sostituì una conflittuale e pregiudizievole per lo stesso mantenimento di ritmi elevati di crescita del reddito. Anche sul piano internazionale le disarmonie risultarono acuite, in quanto la crescente divergenza fra i saggi d’inflazione spinse i Paesi in avanzo a difendersi dall’inflazione importata apprezzando la propria moneta e quelli in disavanzo a riequilibrare i conti con l’estero attraverso il deprezzamento della propria moneta. Una spirale viziosa che amplificava l’incertezza e la speculazione finanziaria. Il 22 luglio 1944 il segretario del Tesoro Morghenthau, in occasione della sessione conclusiva della conferenza di Bretton Woods, dichiarava essere intendimento dell’amministrazione americana «cacciare gli usurai dal tempio della finanza internazionale» e in una lettera del 1946 al presidente Truman di voler erigere nuove istituzioni che fossero «al servizio dei governi sovrani e non degli interessi finanziari privati». Per circa un quarto di secolo quei propositi parvero prevalere, poi il mondo preferì percorrere un’altra strada.

Cinquant’anni dopo la fine dell’ordine monetario internazionale di Bretton Woods, in questo cambiamento d’epoca, è utile e forse indispensabile riflettere sui princìpi e sugli obiettivi che ispirarono gli artefici di quel sistema.

Fonte: Federico CARLI |  Avvenire.it

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