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L’Afghanistan nel baratro

I talebani hanno il controllo di oltre la metà dei distretti dell’Afghanistan, e si apprestano a conquistare le principali città del paese. Con il progredire del conflitto diventa sempre più instabile lo scenario geopolitico regionale.

 

Prosegue l’offensiva talebana in Afghanistan. Herat, Lashkar Gah e Kandahar, tre capoluoghi chiave delle province meridionali e occidentali, sono ora sotto assedio. Se il dispiegamento di centinaia di forze speciali afgane ad Herat, terza città afghana per importanza con i suoi 600mila abitanti, sembra essere stato per il momento vincente, la situazione appare più grave a Lashkar Gah, con interi distretti ormai nelle mani dei talebani, come riportato da Ajmal Omar Shinwari, portavoce dell’esercito afgano. Sarebbe la prima delle 34 capitali provinciali dell’Afghanistan ad essere persa dal governo. La potenziale conquista di Kandahar, culla del movimento talebano e seconda città più popolosa del paese, potrebbe poi, secondo le parole del membro del parlamento afgano Gul Ahmad Kamin, “alimentare le preoccupazioni sull’incapacità dell’esercito di resistere all’avanzata dei talebani, rovesciando rapidamente le cinque province circostanti”. Complessivamente, a livello nazionale, i talebani controllano ormai circa la metà dei 407 distretti in cui è divisa l’amministrazione afghana, compresi i lucrativi valichi di frontiera con l’Iran e il Pakistan. A più di un anno dagli accordi di Doha, la pace in Afghanistan rimane lontana e migliaia di civili afgani si stanno affrettando ad evacuare le città per salvarsi la vita. Al vuoto creato dal ritiro delle truppe occidentali, annunciato da Biden a metà aprile e ormai in via di completamento, si stanno sostituendo i molteplici interessi delle potenze limitrofe: Turchia, Cina e Russia.

 

Una nuova crisi migratoria per Erdogan?

Da inizio anno, la degenerazione dello scenario afgano ha portato alla morte o al ferimento di più di 5000 civili: il numero più alto dell’ultimo decennio. Chi può fugge e così sono quasi 300mila gli afgani costretti a lasciare le loro case negli ultimi otto mesi, per un totale di 3,5 milioni di sfollati interni. La gran parte di questi passa attraverso l’Iran per poi raggiungere le confinanti province turche di Van e Igdir e provare a dirigersi verso l’Europa. Secondo la prefettura di Van, ogni giorno tra i 500 e 1000 migranti afgani sono fermati per aver attraversato illegalmente il confine con l’Iran, 5 volte di più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Questi nuovi arrivi in Turchia di rifugiati dall’Afghanistan, che vanno ad aggiungersi ai 200 mila già presenti (il secondo gruppo più numeroso dopo quello siriano) stanno aumentando la pressione da parte di opposizione e opinione pubblica sul presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Nonostante Ankara stia già costruendo un muro di cemento di circa 300 chilometri al confine con l’Iran, con tanto di torri di guardia e trincee per prevenire nuovi flussi, hashtag come “non vogliamo più rifugiati” spopolano sui social. Non sorprende quindi che Erdogan abbia più volte richiesto ai talebani la sospensione delle ostilità, e cercato di mantenere i propri contingenti militari a gestione dell’aeroporto di Kabul.

 

Dialogo Cina-talebani: soldi e sicurezza?

Anche la Cina sta osservando attentamente gli ultimi sviluppi in Afghanistan. Come spiega Claudio Bertolotti in questo ISPI commentary, da un lato Pechino teme che l’Afghanistan possa essere usata come base logistica per i separatisti e i jihadisti uiguri e cerca quindi una sponda tra i talebani per contrastare l’East Turkestan Islamic Movement tra le cui fila potrebbero trovarsi persone accusate di terrorismo nello Xinjiang. Allo stesso tempo, con un’amministrazione stabile e cooperativa a Kabul, la Cina, detenendo la maggior parte dei diritti estrattivi dal ricchissimo sottosuolo afghano, avrebbe accesso diretto a una ricchezza dal valore potenziale di 3 trilioni di dollari. Si aprirebbe inoltre la strada a un’espansione della Nuova Via della Seta nell’Afghanistan stessa e attraverso le repubbliche dell’Asia centrale. In virtù di questi molteplici interessi, pochi giorni fa, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha accolto a Tianjin una delegazione talebana guidata dal mullah Abdul Ghani Baradar, vice leader dei talebani, che hanno così ottenuto la desiderata legittimazione sul piano delle relazioni internazionali, a conclusione di un tour diplomatico regionale che li ha visti nelle scorse settimane a Teheran, Mosca e Ashgabat.

 

Russia: fantasmi del passato o nuove minacce?

Alla delegazione talebana in visita a Mosca a inizio luglio, il Cremlino ha invece sottolineato come non permetterà che i confini settentrionali dell’Afghanistan siano usati come base per attacchi alle ex repubbliche sovietiche. In particolare, Mosca teme per il vicino Tagikistan, che si è appellato all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, che include la Russia e altri cinque stati ex-sovietici, per essere aiutato ad affrontare le sfide di sicurezza che emergono dall’Afghanistan. Proprio in Tagikistan, centinaia di militari afgani si sono infatti rifugiati in risposta alle avanzate dei talebani, aumentando il rischio di infiltrazioni jihadiste. La Russia reputa altamente strategico il paese, che non a caso ospita la sua più grande base militare straniera con circa 6.000 soldati. Nonostante le rassicurazioni dalla delegazione talebana, ha quindi deciso per l’invio di un contingente aggiuntivo di 800 soldati per partecipare alle esercitazioni militari al confine afghano che si svolgeranno dal 5 al 10 agosto insieme alle forze uzbeke e tagiche. Più di 2.500 militari saranno coinvolti in totale. Ma un nuovo intervento militare in Afghanistan, dopo la propria logorante guerra afgana del 1979-89, resta però altamente improbabile, come chiarito dal capo della diplomazia russa Sergei Lavrov.

 

Il commento

Di Giuliano Battiston, giornalista freelance

“Con l’assedio a Herat, Lashkargah e Kandahar, tra le più importanti città del Paese, l’offensiva militare dei talebani entra in una nuova fase. Che passa anche per la conquista dei capoluoghi di provincia, finora risparmiati in base a un accordo con Washington. L’obiettivo è duplice: enfatizzare la sconfitta degli americani a ridosso del ritiro completo delle truppe straniere e dimostrare la completa vulnerabilità del governo di Kabul. Ma i costi sociali dell’offensiva vengono pagati dai civili: secondo l’Onu, nei primi 6 mesi del 2021 sono 1.659 i civili uccisi, 3.524 quelli feriti. Il 47 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2020.”

Fonte: ISPIonline.it

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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