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«Lo Stato aiuti a non separarsi. Dirsi addio è un costo per tutti»

Il sociologo francese Julien Damon: per ogni coppia che si disgrega paghiamo 3mila euro di denaro pubblico, urgenti i corsi di coniugalità

«Lo Stato aiuti a non separarsi. Dirsi addio è un costo per tutti»

Il sociologo francese Julien Damon, docente a Sciences-Po, è autore di numerosi libri, studi e rapporti su questioni sociali e familiari e da tempo sostiene vi sia un interesse pubblico nel favorire la tenuta delle relazioni coniugali. A fine marzo il laboratorio di idee su questioni educative e giovanili ‘Vers le Haut’, fondato dal gruppo Bayard, che è anche l’editore del quotidiano La Croix, ha presentato il rapporto «Prevenire le separazioni per proteggere i bambini», nel quale si evidenzia il grande beneficio della consulenza coniugale contro le crisi matrimoniali. Damon, che ha fatto parte del comitato scientifico (verslehaut.org), è stato intervistato dal settimanale L’Hebdo, il magazine del quotidiano La Croix, con il quale Avvenire ha stretto un rapporto di collaborazione editoriale.

Professor Julien Damon, lei sostiene da tempo che lo Stato dovrebbe interessarsi di più al benessere delle coppie. Ma questo non vorrebbe dire intromettersi in questioni che non lo riguardano?

Al contrario, è un argomento che lo riguarda da vicino! Quando si affronta questa questione, si viene subito tacciati di conservatorismo morale. Ma il mio punto di vista è soprattutto economico: le separazioni costano una fortuna alla collettività. È legittimo accompagnarle, ma sarebbe altrettanto importante cercare di evitarle. Per le coppie studiate nel rapporto dell’associazione ‘Vers Le Haut’ si stima che l’impatto medio di una separazione sia pari a 1.040 euro in un anno per le Caisses d’Allocation familiales (i fondi locali per le prestazioni sociali alle famiglie, ndr), in termini di aumento delle prestazioni sociali, e a 2.071 euro per il Ministero della giustizia, a causa dei costi delle procedure. Per le famiglie a basso reddito e indigenti, gli stanziamenti legati alle prestazioni sociali e familiari sono ancora più elevati. Senza contare le altre conseguenze negative: precariato, difficoltà scolastiche dei figli… Il supporto coniugale potrebbe andare a completare il modello francese delle politiche familiari con un risultato estremamente vantaggioso. Il think tank ‘Vers le Haut’ sottolinea che ogni euro investito nelle sedute di terapia di coppia comporta un risparmio di- retto per le istituzioni che va da 4,2 a 11 euro in cinque anni, a seconda del reddito del nucleo familiare. Questa iniziativa può quindi rivelarsi vantaggiosa per i genitori, per i figli e anche per le finanze pubbliche!

Che cosa impedisce, in Francia, di mettere in atto questi strumenti?

Sicuramente la paura di apparire conservatori con interventi di questo genere. In Francia aiutiamo le coppie a separarsi attraverso la mediazione familiare. Ma evitare le separazioni rischia di passare per un concetto reazionario! Eppure, intervenire prima della separazione, a titolo preventivo, non è meno legittimo che intervenire a posteriori. Dal mio punto di vista, si tratta di un argomento ideologicamente neutro. Paesi molto diversi attuano politiche di sostegno alla coniugalità: Danimarca, Giappone, Singapore… negli Stati Uniti una politica di questo tipo è stata realizzata soprattutto da Bill Clinton e, nel Regno Unito, da Tony Blair. Governi più progressisti che conservatori.

Concretamente, come possono farsi aiutare le coppie?

Oggi esiste la consulenza matrimoniale, ma richiede un impegno finanziario, e ciò determina una disuguaglianza nell’accesso a questo servizio. È possibile beneficiare di un supporto finanziario per la mediazione familiare, che serve ad accompagnare le separazioni. Quindi, perché non prevedere di arricchire questa mediazione con un capitolo dedicato alla prevenzione? Così, le coppie che lo desiderano, potrebbero richiedere una seduta con consulenti matrimoniali esperti, per valutare vantaggi e svantaggi della situazione, i possibili miglioramenti della relazione… L’obiettivo non è mantenere la coppia a qualunque costo, ma aiutare chi lo desidera. Sosteniamo le coppie in quanto genitori, ma non come coniugi. Eppure, è complicato vivere insieme!

Lei raccomanda anche di ricomporre le famiglie quando sono già avvenute le separazioni…

Sarebbe un’altra innovazione interessante per le nostre politiche familiari. Le famiglie monoparentali rappresentano un quinto delle famiglie francesi e, nel 90% dei casi, sono guidate da donne che devono far fronte a vita professionale, ruolo materno e vita sociale. La politica familiare potrebbe aiutare le famiglie monoparentali, che spesso si trovano davanti a numerose difficoltà, a diventare famiglie ricomposte, se lo desiderano. Un nuovo compagno porta nuova felicità, nella maggior parte dei casi. E anche in questo caso sarebbe molto conveniente per le finanze pubbliche.

Lo Stato, comunque, non può essere un’agenzia matrimoniale…

E perché no? Bisogna innovare! Le famiglie hanno più bisogno di servizi che di prestazioni economiche. Una politica di sostegno alla ricomposizione delle famiglie potrebbe realizzarsi con la creazione di siti di incontro, il finanziamento di bar o ristoranti… L’idea può far sorridere, ma permetterebbe alle persone di non restare isolate e di incontrarsi. Paesi molto seri applicano questo concetto, in particolare Giappone e Singapore, per aumentare il tasso di fertilità. In Francia la fertilità diminuisce, anche se rimane elevata rispetto agli altri Paesi occidentali. Quando le famiglie si ricompongono, nascono anche nuovi bambini!

Fonte: Azliz Claquin | Avvenire.it

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