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ULTIMO BANCO – Le «pienanze»

Vorrei diventare più altruista, lasciar andare ciò che mi fa male, trovare il vero senso della vita, studiare analisi 1, mettere i miei desideri e non quelli degli altri al primo posto, rendere le cose più semplici, avere un rapporto migliore con il mio corpo, essere più sicura di me stessa (non solo esteticamente), migliorare a scuola, trovare un punto di accordo con i miei genitori, migliorare la mia vita sociale, essere più sicuro di me… Sono solo alcune delle risposte di alcuni studenti alla prima domanda di un questionario che sottopongo loro, tra altri, nell’ultima parte dell’anno, per una esplorazione approfondita delle loro attitudini, progetti e punti di crescita. Il «questionario dei desideri» cerca di anticipare e rendere serio il gioco effimero della notte di san Lorenzo: la caccia alle stelle cadenti. Quella notte vogliamo credere che ci sia una connessione tra il movimento di un corpo celeste e quello di un corpo umano. Desiderio, lo sappiamo, viene dal latino de- (distanza) e -sidera (stelle). Si manifesta infatti come inquietudine, mancanza (non assenza) di una stella-guida, tanto che il suo contrario è «disastro», una stella (-astro) avversa (dis-). Il desiderio è il motore della vita, tensione verso la pienezza, tanto che chi non lo rispetta o non lo coltiva, si spegne nell’abitudine o nella menzogna. Ma avere un desiderio non basta, bisogna passare dal «de-siderare» al «con-siderare» (stare con le stelle), cioè trasformare la distanza in frequentazione, come faceva nell’antichità chi doveva orientarsi per mare o voleva indagare il cielo per capire se gli dei fossero favorevoli a un’impresa. E questo richiede silenzio, tempo e attenzione, vita interiore e azione.

Per questo motivo all’inizio del questionario chiedo ai ragazzi di esprimere con un «vorrei» il loro «de-siderio» più urgente, per poi approfondirlo con «con-siderazioni» precise, cioè una serie di domande mirate a capire che cosa li muove in quella direzione: il desiderio è autentico? Quali sono gli ostacoli (interni ed esterni)? Quale piano hai per iniziare a realizzarlo in estate? Anche per questo non amo chiamarle vacanze (vacanza viene dal latino «vacuus»: vuoto), che tradisce un modo di pensare senza libertà: tempo pieno (studio) – tempo vuoto (non studio). Il tempo è invece pieno o vuoto in base al senso che gli diamo. Io «vorrei» che i miei studenti vivessero l’estate come tempo «pieno», non perché lo riempiano di mille cose (ci può essere «vuoto» anche nella frenesia), ma perché lo «co-stellino» (stiano con le stelle) di pienezza di senso grazie all’impegno quotidiano nei loro desideri più importanti. Per questo chiedo loro di compilare il questionario per ognuno dei loro «vorrei». Se per esempio il «vorrei» fosse «scrivere un libro» basterebbe scrivere una pagina (carattere 12, interlinea singolo) al giorno (5000 battute circa), più o meno la lunghezza del pezzo che state leggendo: dal 10 giugno al 10 settembre, 90 pagine, cioè un libro di quasi 200 pagine. Se il «vorrei» fosse «imparare una lingua» e la leggessi ogni giorno per un’ora per 90 giorni, alla fine, ne imparerei almeno le basi, come decisi di fare nell’estate dei miei 16 anni con lo spagnolo. Solo così la «vacanza» diventa «pienanza»: pienezza di senso (desiderio, azione, impegno, gioia).

Perché le «vacanze« diventino «pienanze», bisogna quindi scegliere i desideri più importanti, quelli che la notte di san Lorenzo ammettiamo a noi stessi solo per gioco, per poi metterci in viaggio con quella stella-guida. Ma non è un gioco, perché prendere i propri desideri più autentici sul serio è la strada della felicità. Per questo vorrei che in questo ultimo o penultimo giorno di scuola, ogni ragazzo uscisse con uno, due, tre… «de-sideri» da «con-siderare», perché sia un’estate «co-stellata» e non «dis-astrata». Lo dice bene ai suoi studenti Frank McCourt, professore, alla fine del suo divertente libro Ehi, Prof!: «L’insegnante si fa serio e pone il Grande Quesito: che cos’è l’istruzione? Cosa si fa in questa scuola? Voi potreste rispondere che volete diplomarvi per andare all’università e prepararvi a una professione. Ma non è tutto qui, cari colleghi studenti. Io stesso ho dovuto chiedermi che cavolo ci faccio in quest’aula. E sono arrivato a formulare un’equazione: alla lavagna scrivo a sinistra una P maiuscola, a destra una L, poi disegno una freccia che va da sinistra a destra, da PAURA a LIBERTÀ. Non credo che sia possibile raggiungere la libertà assoluta. Ma quello che sto tentando di fare io con voi è mettere la paura alle strette». Solo così l’estate diventa il prolungamento e il compimento, in altri modi, del lavoro fatto a scuola: l’accensione di un fuoco che rende vivi nel divertente e serissimo gioco della vita. Io quest’estate «voglio» scrivere un libro, tornare a viaggiare e liberarmi dalla tristezza che questo periodo mi ha seminato dentro. E voi?

Fonte: IlCorriere.it

 

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