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Genocidio armeno, il caso di Ferrara. «Il sindaco ha la schiena dritta»

L’ambasciatore turco scrive al primo cittadino per bloccare un incontro sul Metz Yeghern. E lui dà la cittadinanza a Antonia Arslan

«Questa mattina (ieri, ndr) ho chiamato Antonia Arslan per informarla di aver avviato l’iter per conferirle la cittadinanza onoraria a Ferrara».

Dice così a Tempi Alan Fabbri, il sindaco leghista della città estense dopo le polemiche scoppiate in seguito a una lettera dell’ambasciatore turco Murat Salim Esenli.

Metz Yeghern, negazioni e silenzi

Un passo indietro. Il 24 aprile si è svolto, via Youtube, al Teatro comunale l’incontro Metz Yeghern. Il genocidio degli armeni tra memoria, negazioni e silenzi“.

In occasione del 106esimo anniversario, sul palco a parlare c’erano la scrittrice Antonia Arslan, il direttore della Fondazione teatro comunale di Ferrara, Moni Ovadia, il coordinatore del Tribunale rabbinico del Centro Nord Italia, Vittorio Robiati Bendaud, e il suonatore di duduk (un tradizionale strumento musicale armeno) Claudio Fanton.

La lettera dell’ambasciatore turco

Il giorno precedente all’evento, il sindaco Fabbri ha ricevuto una lettera dell’ambasciatore turco (la potete leggere qui di seguito) in cui veniva invitato a «riconsiderare la sua posizione riguardo all’ospitare un evento così unilaterale e modellato unicamente attorno alla narrativa armena».

Fabbri non solo ha respinto al mittente la richiesta, ma ha rilanciato, offrendo a Arslan e allo scrittore turco Taner Akçam (il coraggioso autore di Killing Orders, libro in cui sono raccolte le prove che dimostrano il genocidio armeno) la cittadinanza onoraria.

E ha invitato il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, a «prendere posizione, contro ogni spinta negazionista dobbiamo essere uniti e granitici».

«La memoria non si cancella»

«Bene ha fatto – ha dichiarato il primo cittadino – il premier Mario Draghi a definire “dittatore” il presidente turco Recep Tayyip Erdogan: i toni assunti e le incursioni dei suoi diplomatici nella vita democratica della nostra grande Ferrara non possono essere accettati».

«Noi diciamo no al negazionismo – spiega Fabbri a Tempi -, la memoria non si cancella». «Le parole, gli scritti, la ricerca obiettiva, le testimonianze raccolte da Arslan e Akçam sono la risposta della verità alle menzogne e alle strumentalizzazioni del regime di Ankara. A entrambi va la mia stima e la mia ammirazione. Un milione e mezzo di morti non possono essere derubricati a una “questione di controversia storica”, come scritto dall’ambasciatore turco, ma hanno un solo nome: genocidio».

«Ringrazio il sindaco di Ferrara»

«Sono onorata della proposta del sindaco e lo ringrazio. È una persona corretta e dalla schiena dritta», dice Antonia Arslan a Tempi.

La grande scrittrice e voce degli armeni è rimasta colpita soprattutto dal coraggio del primo cittadino.

«Questo delle proteste turche è ormai diventato un triste ritornello. Ogni qualvolta qualcuno “s’azzarda” a parlare del genocidio armeno, subito scattano le intimidazioni. Il più delle volte si tratta di interventi a gamba tesa contro sindaci o amministrazioni comunali che hanno l’unica colpa di chiedere alla grande repubblica di Turchia di fare ciò che già altri hanno fatto: riconoscere la verità storica sullo sterminio degli armeni. Per questo sono rimasta favorevolmente colpita dall’atteggiamento del sindaco Fabbri che mi ha espresso solidarietà non solo in privato, ma pubblicamente. Questo è un fatto molto importante».

Biden, il Papa, i rabbini

Il genocidio armeno è ancora oggi veracemente contestato da parte turca.

Eppure, sia papa Francesco ha parlato espressamente di genocidio in un suo celebre discorso (anche in quel caso le proteste turche furono veementi) sia, di recente, il presidente americano Joe Biden ha preso una chiara posizione.

E il 23 aprile l’assemblea rabbinica italiana ha fatto lo stesso, con un comunicato di Rav Alfonso P. Arbib.

Ogni volta è la stessa storia. La Turchia protesta, cercando di intimidire chi “osa” ricordare le malefatte perpetrate a inizio Novecento.

Le mire di Erdogan

Bendaud, organizzatore dell’incontro a Ferrara, fa notare che, nel caso della lettera dell’ambasciatore, il registro linguistico assunto da Esenli è meno grossolano e più sofisticato del solito.

Dice Bendaud a Tempi: «Esenli non solo non fa menzione degli studi di Akçam (il quale, proprio a causa di questi, è stato incarcerato e poi è riuscito rocambolescamente a fuggire negli Stati Uniti), ma nemmeno di quelli di Hasan Cemal, nipote di uno dei triumviri che perpetrarono i crimini, che scrisse 1915: Genocidio Armeno».

«Soprattutto – nota ancora Bendaud – non fa menzione del fatto che in Turchia ancora oggi chi osa parlare di “genocidio” subisca gravi persecuzioni. Ricordiamoci tutti che Ergodan, nel festeggiare l’inverno scorso la riconquista turca-azera-islamica dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) ha affermato di essere intento a “portare a termine l’opera dei nostri padri”».

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