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Le politiche anti-Covid secondo Giovanni Paolo II

DOTTRINA SOCIALE – Pochi hanno qualche dubbio sulla crisi della democrazia occidentale a causa non del Covid ma della sua strumentalizzazione. Professori dell’Università Abat Oliba di Barcellona hanno formato il gruppo di ricerca “Controllo sociale, postmodernità e comunità politica” (COSOPOC). Non è che un esempio di una consapevolezza emergente. Anche intellettuali di varia impostazione come Giorgio Agamben, Coréen Byung-Chul Han o l’israeliana Eva Illouz denunciano una situazione di pericolo. Moltissimi parlano di un “modello cinese” o di social-capitalismo e paventano la “società della sorveglianza” che si vorrebbe rafforzare con la scusa della pandemia.

Su questi enormi problemi la posizione della Chiesa ufficiale è confusa. Da un lato essa sembra considerare astrattamente la difesa della democrazia come un obiettivo primario della propria azione nella storia, dall’altro concorda con molti centri di potere internazionali che lavorano per una “governance” mondiale molto unificata e rigida.

Dato che siamo nel trentesimo anniversario dell’enciclica Centesimus annus (1991) di Giovanni Paolo II, può essere di grande utilità ricordare come egli avesse sottoposto a durissima critica la democrazia nella sua versione occidentale consolidatasi nel tempo, ricordando ancora una volta che le sue derive totalitarie sono conseguenza di alcuni dei suoi stessi principi, non vengono dal di fuori ma dal di dentro. È questa una chiave di lettura di grande attualità. Molti, all’uscita dell’enciclica l’avevano valutata come un elogio della democrazia, ma a ben vedere le condizioni poste da Giovanni Paolo II sono talmente tante e importanti da far pensare che per lui la nostra democrazia sarebbe stata da buttare. Non la democrazia come tale, ma la nostra.

Anche limitandosi al solo capitolo “Stato e cultura” della Centesimus annus, si nota che spesso secondo Giovanni Paolo II nelle democrazie non vengono rispettati i diritti, come per esempio il diritto alla vita, a cercare la verità, a fondare liberamente una famiglia, alla libertà religiosa (n. 47). Egli dice anche che le democrazie “sembra che abbiano smarrito la capacità di decidere secondo il bene comune”, che le domande della società vengono esaminate “secondo la forza elettorale o finanziaria”, che tutto ciò genera “sfiducia e apatia” da cui risulta “la crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune”.

Tutti constatiamo, purtroppo, che gli impedimenti a questi diritti sono aumentati durante la pandemia attuale e che il nuovo “regime di sorveglianza” li limita strutturalmente. L’aborto è stato ulteriormente sviluppato; la famiglia è stata penalizzata pur essendo il maggiore ammortizzatore delle difficoltà conseguenti al Covid; il diritto a conoscere la verità è stato sepolto sotto una valanga di dati manipolati e di ricerche scientifiche finanziate per provare tesi precostituite, sotto i pareri di “esperti” inattendibili e le informazioni dei media funzionali al potere costituito; per non parlare della libertà religiosa che le restrizioni del nuovo controllo sociale stanno impedendo alla grande.

Le osservazioni di Giovanni Paolo II sono particolarmente attuali quando egli parla dell’incapacità di inquadrare nel bene comune gli interessi particolari. Questa è stata la grande carenza della politica in questo anno di pandemia. Tutti abbiamo notato le incompetenze, le incertezze, le piste sbagliate, la politica della paura, ma anche e soprattutto la mancanza di una visione globale del problema, appunto l’idea del bene comune. Sono stati fatti interventi settoriali, per esempio di tipo esclusivamente sanitario, trascurando sia la globalità del problema sanitario stesso, sia la globalità organica e analogica del bene comune. Si fingeva di curare da una parte e si danneggiava dall’altra. Il governo della pandemia ha rivelato tutte le carenze delle nostre democrazie messe in luce da Giovanni Paolo II, talmente importanti queste carenze da far dubitare che si tratti veramente di democrazie e da far pensare che quello di democrazia sia solo un nome privo di contenuti.

Nella Centesimus annus, poi, troviamo l’indicazione della principale carenza delle democrazie occidentali attuali, ossia la mancanza di “una retta concezione della persona umana”. L’agnosticismo e il relativismo uccidono la democrazia e la trasformano in totalitarismo (n. 46). Quale concezione della persona è stata alla base delle politiche anti-Covid? Una visione materialista secondo la quale la salute del corpo è tutto e quella dell’anima niente, una visione dell’uomo come “sorvegliato speciale” e non come essere responsabile, una concezione della persona come irrelata e isolabile da tutti gli altri, perfino dai familiari, tramite le disposizioni di confinamento; una persona paurosa e da impaurire, da suggestionare piuttosto che da far ragionare; un uomo sradicato, un uomo-massa da trattare nello stesso modo da Vipiteno a Trapani, un individuo da “rieducare” tramite comportamenti imposti dal potere politico e, soprattutto, una persona da usare per cambiamenti strutturali nella vita sociale, economica e politica che sono solo agli inizi.

Fonte: Stefano Fontana | LaNuovaBQ.it

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