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Samuel Piermarini: «Ho detto no a Stramaccioni. Invece del calcio scelgo la tonaca»

Da promessa del pallone a prete: Samuel Piermarini, 28 anni, è uno dei nove diaconi che domenica prossima saranno ordinati sacerdote dal Papa

«Poi è arrivato il giorno che Stramaccioni mi ha detto: d’accordo, sei bravo, ti prendiamo, vieni a firmare. Era da una settimana che facevamo i provini, gli altri candidati e io. La fatica e i sogni di una vita intera, per il ragazzo di diciassette anni che ero, cresciuto con il modello di Buffon, e adesso era fatta: firmavo con gli allievi della Roma, diventava una cosa seria, da non crederci, era il momento di puntare tutto sul calcio». Sono passati undici anni ma Samuel Piermarini ancora custodisce l’immagine nitida di quel momento decisivo della sua vita, i crocevia che decidono un’esistenza, e ancora se la ride: «Ho cominciato a farfugliare scuse un po’ goffe, non so se me la sento, e poi chi mi accompagna agli allenamenti, e intanto c’era il mister imperturbabile che mi guardava con l’aria di chi pensa: ma sei scemo?». Non che fosse il tipo da arretrare di fronte alle sfide, per la verità. È solo che di lì a qualche mese, poco a poco, Samuel si sarebbe reso conto d’essere chiamato a un ruolo più impegnativo, e ora ci siamo: domenica mattina, nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco lo ordinerà sacerdote insieme con altri otto nuovi preti della diocesi di Roma.

Felicità e voglia di cominciare

Nell’attesa, sta in ritiro (spirituale) con i compagni, diaconi come lui, in un monastero fuori città. Una vigilia che non conosce le tensioni sportive, «non c’è ansia, piuttosto un’emozione positiva, la verità è che mi sento felice e non vedo l’ora di cominciare». Del resto ha solo 28 anni e non ha certo smesso con il calcio, «eh no, chiariamo: io sono sempre un portiere». Negli anni di formazione sacerdotale si è distinto nella «Clericus Cup», il torneo del Centro sportivo italiano nel quale si sfidano sacerdoti e seminaristi pontifici, con la maglia del «Redemptoris Mater». Prima, al momento del mancato passaggio ai giallorossi, difendeva la porta dell’Ostia mare: squadra che, precisa con orgoglio, «era tra le tre-quattro migliori di Roma, nella categoria allievi». Poi la sorpresa, arrivata via fax all’indomani del suo diciassettesimo compleanno, «ho ancora a casa l’invito della Roma, con la data del 23 gennaio: cercavano un sostituto del secondo portiere, infortunato, e mi invitavano al provino». Una settimana di allenamenti e test con i concorrenti per guadagnarsi il sogno. È vero che lui era ed è juventino, tra la «fede» calcistica trasmessa dai cugini e il mito Buffon, ma insomma la Roma è la Roma, «ricordo che il primo portiere era Mirko Pigliacelli, uno che poi ha giocato in A ed ora sta nella Liga I in Romania, un armadio rispetto a un mingherlino come me, mi pareva impossibile…». E invece scelsero lui, il sogno era lì davanti.

 

Quel rifiuto d’impulso

All’inizio non ha capito perché, d’impulso, avesse detto: no, grazie. «Sentivo che non ero chiamato a fare questo, ecco. La mia vita, la mia vita intera, stava altrove. Avevo una fidanzata, la scuola, il calcio, gli amici che mi dicevano: ma che hai fatto? Ma c’era quella domanda, in me: Signore, non è che mi stai chiamando a un’altra vita?». La fede, senza virgolette: «Quello è stato l’inizio del discernimento. I preti che avevo incontrato e vedevo felici. I racconti del missionario messicano Bernardo Torres che domenica mi metterà la casula. Due anni di missione in Brasile, gli anni del seminario. E i sei mesi come diacono a fianco del parroco don Francesco Zanoni, a San Giovanni Battista de la Salle, all’Eur, un’esperienza bellissima». E il calcio? «Beh, ci sarebbe la coppa di calcio a 8, sa, quella dove gioca pure Totti. Non ho mai difeso la porta contro di lui, abbiamo dovuto interrompere per il Covid. Ma non vedo l’ora».

Fonte: Gian Guido Vecchi | Corriere.it

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