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Il ddl Zan ha uno scopo totalitario degno di Mao Zedong

La legge tanto amata dagli artisti introduce un regime legale totalitario che tenta di sostituirsi a quello democratico e punta a rieducare i “colpevoli”

Una manifestazione in Italia a favore del ddl Zan

La maggior parte delle persone appartenenti al mondo dello spettacolo che, pur non possedendo nessuna competenza giuridica, si stanno sbracciando a sostegno del ddl Zan, farebbero bene a riflettere sulle conseguenze negative che da più parti sono state evidenziate nel caso fosse approvato un simile disegno di legge. Ci sono almeno tre principali motivazioni assolutamente laiche che sconsigliano di approvare il predetto testo.

Il ddl Zan è inutile

In primo luogo, non si può fare a meno di osservare che la attuale griglia normativa è pienamente in grado di tutelare i diritti di tutti i 10, 100 o 1.000 generi ipotizzati o ipotizzabili da parte dei più agguerriti e fantasiosi propugnatori dell’ideologia gender. Consta, infatti, che le norme del codice penale che puniscono l’omicidio, le percosse, le lesioni personali, l’ingiuria, la diffamazione e tutti gli altri comportamenti antigiuridici in grado di ledere l’integrità fisica e morale della persona umana, siano ancora pienamente valide ed efficaci, nonché perfettamente applicate dall’autorità giudiziaria ogni volta che se ne riscontri l’esigenza in seguito ai tristi fatti di cronaca.

A queste norme si deve aggiungere l’articolo 61 del codice penale che sancisce le aggravanti comuni come per esempio i motivi abietti o futili per cui viene commessa l’azione criminosa ai danni della vittima. Le attuali norme, insomma, non soltanto esistono senza lasciare vuoti, ma sono più che adeguate per punire ogni tipo di aggressione o minaccia all’integrità psico-fisica di ogni essere umano, prescindendo dal sesso di appartenenza o dal genere di militanza.

Il ddl Zan è degno di Mao Zedong

In secondo luogo: il ddl Zan si basa su una aberrante concezione della natura e della funzione del diritto penale. Mentre nello Stato di diritto il diritto penale, infatti, è volto a sanzionare il comportamento del reo, ma senza intromettersi nella sua mente e nella sua coscienza, negli Stati totalitari avviene l’esatto opposto, come, tra i tanti esempi possibili, dimostra l’esperienza concentrazionaria cinese, ai tempi di Mao Zedong, in cui i detenuti venivano lasciati “liberi” all’interno di campi di lavoro con l’obbligo di studiare e assimilare il pensiero marxista in genere e maoista in particolare.

Il diritto penale di uno Stato di diritto deve necessariamente limitarsi al foro esterno, cioè alle azioni illecite compiute dal reo, ma non può pretendere di correggere la mentalità, la coscienza o il pensiero del reo. Anche nell’ottica che contraddistingue la Costituzione italiana, cioè quella rieducativa, la funzione della pena deve essere intesa come capacità di reinserimento sociale del reo, come del resto stabilito e più volte ribadito dalla Corte Costituzionale con le diverse sentenze 168/1972, 126/1983, 296/2005, 257/2006, non come modifica del suo pensiero.

Rieducare il colpevole

Il ddl Zan invece, al suo articolo 5, prevede il beneficio della sospensione condizionale della pena, in caso di condanna, subordinandolo alla prestazione, dal parte del condannato, di attività lavorativa non retribuita a favore delle associazioni che rappresentano le vittime offese dal reato per cui è stato condannato.

Il diritto penale sotteso dal ddl Zan non è, dunque, il diritto penale concepito negli ultimi decenni negli Stati democratici occidentali, ma sembra ispirarsi a inquietanti ombre del passato di paesi totalitari come la Russia, allorquando si chiamava Unione Sovietica, all’interno della quale si puniva o si assolveva qualcuno in base alla sua minore o maggiore adesione alla “coscienza socialista”, oggi sostituita dalla “coscienza genderista”.

Libertà di espressione in pericolo

In terzo luogo: sebbene l’intero ddl Zan introduca più problemi giuridici di quelli che presume di risolvere, il suo vero tallone d’Achille può essere considerato l’articolo 4 che dovrebbe introdurre – senza riuscirci – la cosiddetta “clausola salva-idee”. La clausola salva-idee, infatti, lascia dedurre, anche da parte dei più distratti o giuridicamente sprovveduti, che il resto del disegno di legge sia in grado di compromettere la libertà di pensiero (come quella di parola, di insegnamento, di professione del proprio credo religioso ecc), tanto da rendersi necessaria l’introduzione della suddetta norma.

In ogni caso la clausola non riesce a tutelare la libertà di pensiero poiché come tutte le norme può essere interpretata in senso restrittivo, perfino sopprimendo libertà fondamentali e costituzionalmente garantite, o estensivo comprimendo soltanto le suddette libertà. Si consideri, del resto, l’ampia casistica che si è prodotta in questi anni, soprattutto all’estero, come avvenuto proprio di recente in Ohio in cui un professore di filosofia politica è stato sospeso perché non ha utilizzato il pronome femminile per un transgender.

Il ddl Zan introduce una dittatura

Si capisce quindi che il ddl Zan costituisce non già l’introduzione di un più severo regime penale per le aggressioni commesse contro la civile convivenza, ma l’introduzione di un regime legale totalitario che tenta di sostituirsi a quello democratico (più o meno imperfetto) che fino ad oggi ha contraddistinto l’ordinamento italiano.

La circostanza più grave, tuttavia, è che proprio i sostenitori del ddl Zan non si rendano conto di tali terribili pericoli, dimostrando come sia ancora più vera la vocazione totalitaria che ispira il suddetto disegno di legge, poiché, come ha insegnato Waldemar Gurian, «il totalitarismo si realizza proprio in quel regime che rifiuta di considerarsi tale».

Fonte: Aldo Vitale | Tempi.it

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