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Convegno Foe. L’occasione di imparare a “fare scuola”

Tre giorni online con incontri e workshop per gestori, dirigenti e professori di realtà paritarie. Tra ospiti e racconti di esperienze particolari, l’emergere di una domanda: «Cosa spinge a fare oggi un’opera educativa?»Antonio Autieri

Un’occasione per imparare. Dovrebbe sempre essere così, quando si parla di scuola. Ma questo non è mai scontato, tanto meno in un periodo in cui tutti i soggetti coinvolti – dirigenti, insegnanti e genitori – sono messi a dura prova da una situazione complicata e spesso generatrice di paure e preoccupazioni. Quelle che seguono sono impressioni, nate dal confronto tra amici e colleghi, professori e gestori di alcune scuole paritarie, sui momenti significativi della XXI edizione del Convegno nazionale di Cdo Opere Educative – Foe (dal 3 al 5 marzo) che non solo ci hanno colpito, ma possono diventare punti di lavoro futuro.

 
L’incontro con Alessandro D’Avenia al Convegno Foe

Il titolo era quasi audace: “Costruire e far crescere scuole oggi”. In tempi di crisi e pandemia sembrerebbe già tanto “tenere”, salvare le opere. Lo sguardo è stato invece di rilancio, a livello dell’esperienza di ciascuno dei relatori di incontri e workshop tematici, ovviamente online. E non solo pensando a un “ghetto dorato” di belle realtà da difendere con orgoglio, ma di una proposta educativa per tutti, capace da sempre di far breccia nel cuore di ragazzi, che poi diventati genitori desiderano la stessa esperienza per i figli.

È quanto ha raccontato, per esempio, il giornalista Alessandro Milan di Radio 24, che non solo ha stigmatizzato la visione ideologica che tuttora colpisce le scuole paritarie, considerate “da ricchi”, ma ha messo in luce come l’esperienza dei suoi figli ai Salesiani sia la stessa che ha vissuto da ragazzo, «un periodo bellissimo della mia vita», tanto da portarlo a coinvolgersi da genitore. L’attore Giacomo Poretti, papà alla Zolla di Milano, ha raccontato la sorpresa di sperimentare una scuola in cui non solo i ragazzi, ma anche i genitori possono diventarne protagonisti.

In apertura dei lavori, Alessandro D’Avenia, professore e scrittore (il suo ultimo romanzo, L’appello, è ambientato a scuola), ha sottolineato il valore della relazione con gli studenti, indispensabile per poter insegnare in modo sempre nuovo e potente. Anche nella didattica a distanza: grazie alla passione «per le vite che abbiamo di fronte. Un professore aiuta a crescere; ma quando separiamo l’istruzione dall’educazione, l’istruzione diventa addestramento», ha detto. È in gioco il desiderio che muove ciascuno di noi. Solo se lo mettiamo al centro della relazione con chi è al di là della cattedra (o di uno schermo) i ragazzi rimarranno colpiti, comprendendo «che quello che gli indichiamo vale la pena: c’è una pena, ma farla ci conviene».

Sul tema del “costruire scuole” alcune testimonianze hanno aperto la mente e il cuore. Come quella di padre Alberto Caccaro, missionario del Pime. Quando arrivò in Cambogia non sapeva nulla di scuole, ma capì che era un modo per incontrare le persone; i giovani e i loro genitori. In vent’anni ha aperto quattro istituti. Prima per lo Stato, poi scuole libere, cristiane, davvero per tutti, nate dal desiderio di approfondire il legame con il Paese e con gli amici che si stringevano a lui.

Augusto Bianchini, presidente della cooperativa sociale “Il Pellicano” di Bologna (infanzia e primaria), non conosceva il mondo della scuola. Ma si è coinvolto grazie ai figli e ora guida questa realtà che ha anche vissuto il passaggio, spesso delicato, dai fondatori a una nuova generazione di gestori e responsabili. Luca Nobili e padre Luigi Cavagna di Accademia Symposium, scuola di formazione agroalimentare e turistica in Franciacorta, nel bresciano, hanno raccontato del rapporto con gli imprenditori della zona che li ha spinti a creare una realtà che prepari al lavoro nelle aziende del territorio. Di fronte alle difficoltà della costruzione, hanno trovato un compagno di strada nel beato Lodovico Pavoni (poi canonizzato), di cui hanno scoperto significative “coincidenze” con i loro tentativi.

Nei workshop, pensati soprattutto per chi ha compiti gestionali, si sarebbe potuto scivolare verso tecnicismi e strategie di efficienza. Invece, anche parlando di rendicontazione e bilanci, il cuore è stato una domanda: «Cosa spinge a fare oggi un’opera educativa?», con tutta la precisione richiesta in questo campo. È stato illuminante ascoltare dirigenti di varie scuole o responsabili di realtà educative che hanno trasformato obblighi di legge in opportunità, per esempio definendo e comunicando meglio la propria realtà all’esterno, con numeri e documenti, un modo diverso di fare un’opera. Così diventano occasioni per tutti vedere il “bilancio di missione” – un documento che descrive azioni e obiettivi di un’attività sociale – realizzato dal Liceo Malpighi di Bologna o il “bilancio sociale” con cui l’associazione Portofranco, che opera nell’aiuto allo studio, illustra gli esiti della sua attività e la ricaduta degli investimenti dei finanziatori. Così si aiutano altri ad andare a fondo delle proprie iniziative, mostrando un modo di “fare” e una generosità nella condivisione.

Di queste giornate resta la positività entusiasmante con cui chi è intervenuto ha presentato la propria attività. Ma tutti i relatori non hanno mai nascosto le difficoltà. Guardando con franchezza agli errori cui si è cercato di rimediare e da cui hanno imparato. Come dovrebbe essere sempre a scuola.

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