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Iraq. Un viaggio per la libertà religiosa

Nel viaggio apostolico in Iraq, Papa Francesco cercherà di confortare una comunità cristiana ferita dalla persecuzione e tentata di abbandonare la propria patria, ma anche di rilanciare il dialogo e la libertà religiosa come fondamento della convivenza politica.

Venerdì 5 marzo, «Dio volendo, mi recherò in Iraq per un pellegrinaggio di tre giorni. Da tempo desidero incontrare quel popolo che ha tanto sofferto; incontrare quella Chiesa martire nella terra di Abramo. Insieme con gli altri leader religiosi, faremo anche un altro passo avanti nella fratellanza tra i credenti. Vi chiedo di accompagnare con la preghiera questo viaggio apostolico, perché possa svolgersi nel migliore dei modi e portare i frutti sperati. Il popolo iracheno ci aspetta; aspettava San Giovanni Paolo II, al quale è stato vietato di andare. Non si può deludere un popolo per la seconda volta. Preghiamo perché questo viaggio si possa fare bene».

Con queste parole, pronunciate durante l’udienza generale del 3 febbraio, Papa Francesco ha anticipato il viaggio apostolico tanto atteso da lui, ma anche dal popolo iracheno, che lo aspetta con grande commozione. Nelle sue parole sono presenti i diversi significati di questo viaggio, che san Giovanni Paolo II avrebbe tanto desiderato compiere nel 2000, ma ne fu impedito. Oggi, dopo le nuove terribili persecuzioni subite dai cristiani, in particolare durante il dominio dello Stato islamico dal 2014 al 2017, questo viaggio apostolico è ancora più importante.

Importante anzitutto per i cristiani che sono rimasti in Iraq. Pochi purtroppo, soltanto 200-300mila rispetto al milione e mezzo degli anni precedenti la dominazione islamista. Ora questi cristiani (assiri, caldei, latini, ortodossi, protestanti) hanno un ruolo di grande importanza per il Paese, pur essendo una piccola minoranza al confronto della maggioranza sciita (62,5%) e dei sunniti (32,5%), perché rappresentano un punto di equilibrio che scoraggia, attraverso la loro stessa presenza, il conflitto, spesso violento, fra le due componenti religiose musulmane, ma anche fra le diverse etnie. Pur essendo una comunità cristiana di origine apostolica, che conobbe la fede grazie alla predicazione dell’apostolo Tommaso, i cristiani in Oriente, e in particolare in Iraq, hanno subito costanti persecuzioni a partire dall’invasione araba e dalla conseguente islamizzazione. La loro resistenza è qualcosa di eroico e incredibile, se pensiamo alle traversie subite nel corso dei secoli, dai massacri dei Mamelucchi alla dominazione ottomana, dal nazionalismo arabo che non ha mai rinunciato al suo riferimento islamico al dominio del Partito Ba’th, il Partito del Risorgimento arabo socialista a cui appartenne Saddam Hussein (1937-2006), che guidò l’Iraq dal 1979 al 2003, quando venne destituito in seguito all’invasione degli Stati Uniti dopo l’attentato alle Torri Gemelle.

Papa Francesco va in Iraq per loro, per confortarli nella loro splendida testimonianza, e la grande aspettativa che c’è attorno a questa visita pontificia nasce anzitutto dalla comunità cristiana, in particolare dalla Chiesa cattolica caldea, che ha proprio a Baghdad la sua sede patriarcale, oggi guidata dal patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphael I. Sako. (Sulla presenza dei cristiani in Iraq cfr. il Rapporto 2021 di Aiuto alla Chiesa che soffre).

Oltre a incontrare la Chiesa martire, il Papa desidera che il suo viaggio apostolico, nella terra dove Abramo, a Ur dei Caldei, ricevette la vocazione a iniziare la storia della salvezza, possa contribuire a portare avanti il rapporto con le comunità islamiche. A questo fine incontrerà l’ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani, il “capo” degli sciiti iracheni. Il riconoscimento a ogni uomo e a ogni comunità del diritto di professare e praticare liberamente la religione è uno dei diritti umani fondamentali ed è la base della possibile convivenza fra popolazioni diverse in un Paese come l’Iraq, così come in tutti i Paesi dove convivono comunità di differenti religioni. I cattolici, che hanno con il loro Magistero pontificio elaborato una dottrina sulla libertà religiosa ragionevole e convincente, rappresentano e testimoniano con la loro presenza il fatto che questa convivenza è possibile. E’ questo il messaggio che può venire dal viaggio apostolico del regnante Pontefice, qualcosa di simile a quanto i Papi recenti hanno detto, pur con tutte le grandi differenze, del Libano, un “Paese-messaggio”, un’oasi di libertà in un contesto politico che ha sempre negato il diritto alla libertà religiosa.

Se dal viaggio di Papa Francesco potesse derivare qualcosa di positivo, in grado di fermare l’esodo dei cristiani, favorirne il ritorno e confermare un dialogo interreligioso che è la conditio sine qua non della convivenza politica, ci sarebbe motivo di ringraziare il Signore. Noi pregheremo per questo.

 

Fonte: Marco INVERNIZZI | AlleanzaCattolica.it

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