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Sanguinosa repressione a Myanmar

Almeno 18 morti e 30 feriti nelle proteste di domenica contro il colpo di stato militare del 1° febbraio. “Fin dal primo giorno ho temuto il bagno di sangue”, dice al nostro giornale il cardinale Charles Bo. Aung San Suu Kyi compare davanti ai giudici.

Tre immagini sono arrivate nelle ultime ore da Myanmar. Quella dei poliziotti e dei militari che reprimono con violenza  le proteste contro il colpo di stato del 1° febbraio. Quella di una suora,  che si inginocchia in mezzo a una strada e solleva le mani davanti a un gruppo di poliziotti. Infine quella di Aung San Suu Kyi, la carismatica leader birmana, Premio Nobel per la pace nel 1991, che compare in video collegamento davanti ai giudici.

Sono gli ultimi sviluppi di una situazione che si fa sempre più tesa e drammatica. Domenica 28 febbraio, secondo la portavoce dell’Ufficio Diritti Umani dell’Onu, Ravina Shamdasani, almeno 18 persone sono state uccise a seguito delle violente repressioni delle proteste contro i militari che di sono svolte in varie località di Myanmar. I feriti sono una trentina.

Condanniamo con forza l’escalation di violenza contro i manifestanti in Myanmar e chiediamo ai militari di fermare immediatamente l’uso della forza contro manifestanti pacifici”, chiedono le Nazioni Unite.

L’ex Birmania è nel caos da quando, il 1° febbraio, i militari sono entrati in azione a poche ore dall’apertura della sessione inaugurale del Parlamento, la prima dopo le elezioni legislative dello scorso novembre vinte in modo schiacciante (83 per cento dei consensi) dalla Lega Nazionale per la Democrazia (LND) di Aung San Suu Kyi. I militari (che in questi anni hanno sempre controllato i ministeri chiave) denunciavano da diverse settimane frodi durante le elezioni. Con il pretesto della pandemia di coronavirus, le elezioni “non sono state né libere né eque”, aveva dichiarato a fine gennaio il portavoce dell’esercito, il maggiore generale Zaw Min Tun. Le elezioni di novembre erano le seconde che si svolgevano a Myanmar dopo la fine del ventennale regime militare che aveva ceduto i poteri nel 2011. L’appoggio dei militari andava al Partito dell’Unione della Solidarietà e dello Sviluppo (USDP), braccio politico delle forze armate, che ha preso soltanto 33 seggi su 476.

Così i militari sono intervenuti  imprigionando esponenti politici, impedendo la riunione del parlamento, bloccando può volte l’accesso a internet. Sono state promesse nuove elezioni entro un anno.

Ma il popolo birmano non si è rassegnato ed è sceso in strada a protestare, sfidando la repressione. “Myanmar è un campo di battaglia. Solo una parte è armata e può arrivare la tragedia. Fin dal primo giorno ho temuto il bagno di sangue. Negli ultimi cinquant’anni in questo Paese i nostri occhi hanno pianto migliaia di morti. I genitori seppelliscono i loro figli, le lacrime delle madri sembrano non doversi mai asciugare”, ci dice il cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon.

Domenica il cardinale ha postato su Twitter le foto di Suor Ann Nu Thawng, una religiosa saveriana che si è messa in ginocchio di fronte a un gruppo di poliziotti. A Myanmar la Chiesa cattolica è minoranza, ma come ci dice il cardinale Bo, “stiamo facendo molto per promuovere la pace”. Dopo la sua visita a Myanmar nel novembre del 2017, Papa Francesco ci ha affidato il mandato di diffondere la pace. Questo è il nostro compito”, aggiunge il  cardinale senza dare  dettagli sul ruolo di mediazione della Chiesa cattolica. “Fin dal primo giorno”, dice, “facciamo appello alla moderazione, al dialogo e al ridimensionamento delle emozioni”.

Intanto, lunedì 1° marzo Aung San Suu Kyi, è comparsa in video conferenza davanti ai giudici. Nei suoi confronti prima è stata avanzata l’accusa risibile di importazione illegale di walkie talkies, ora si è aggiunta l’accusa di aver utilizzato strumenti illegali di comunicazione e di aver causato “paura e allarme”. La prossima udienza si svolgerà il 15 marzo.

Aung San Suu Kyi resta molto amata a Myanmar, anche se in questi ultimi anni la sua immagine internazionale era stata decisamente appannata dal suo negazionismo nei confronti della spietata persecuzione della minoranza musulmana dei Rohingya. Per il cardinale Bo “il colpo di stato e la sua detenzione sono una vendetta personale contro di lei, ma finché Aung San Suu Kyi è sulla scena, lei a Myanmar gioca un ruolo vitale”.

Fonte: Roberto Zichittella FamigliaCristiana.it

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