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Il vantaggio di arrivare per primi nell’economia della conoscenza

Già all’orizzonte si vede come il futuro delle organizzazioni sarà la capacità di produrre e utilizzare la conoscenza. Occorre muoversi in anticipo

Chi oggi gestisce le organizzazioni fatica a ragionare su come la natura del lavoro stia cambiando e su cosa crei realmente valore per la propria azienda e per il proprio territorio. Per farlo è utile ricordare che il mercato sta attraversando una rapida transizione, dall’economia dei prodotti a quella delle filiere di servizi, per arrivare poi all’economia della conoscenza.

Ogni periodo della storia economica e industriale ha portato con sé delle novità, consentendo, ai primi che vi hanno partecipato, una rendita di posizione e la possibilità di accumulare risorse, creando economie di scala. Da quel momento in poi le aziende hanno lavorato per ottimizzare la propria posizione, resistendo a degli incumbent che di volta in volta sono entrati sul mercato facendo la “stessa cosa” a costi più bassi. È stato così che l’organizzazione scientifica del lavoro ha consentito di efficientare al massimo la costruzione di prodotti. Ed è così che la rivoluzione delle soft skills, tuttora in corso, sta migliorando la capacità di produrre e vendere dei servizi.

Già all’orizzonte si vede come il futuro delle organizzazioni sarà la capacità di produrre e utilizzare la conoscenza. Quali tecniche e tecnologie utilizzare e come aggiornarsi? Quanto si conoscono il cliente e il proprio settore? Quanto è intelligente il proprio prodotto/servizio e quanto efficace la propria strategia sul mercato? Come governare sistemi e indirizzarli in scenari complessi? Come immaginare e costruire il futuro?

In questo nuovo contesto la capacità di trovare informazioni e dati (ma anche esperienze di qualità), saperli leggere e interpretare, risolvere problemi e soddisfare esigenze generali sarà sempre più importante. Così come saper sperimentare, testare le proprie tesi e validarle in un processo continuo definendo problemi, obiettivi e strumenti di lavoro.

Naturalmente ogni azienda, con le sue attività, già oggi tocca – e toccherà anche domani in modo trasversale – tutte le singole fasi. Costruisce un prodotto, facendovi confluire attività di ricerca e sviluppo ed efficientandone la produzione, lo mette sul mercato, aggiunge un servizio basato sulla capacità di soddisfare sempre più il cliente. Nel tempo queste due fasi diventeranno sempre più commodities sottoposte a un processo di progressivo efficientamento. Bisognerà svolgerle bene, ma farlo non garantirà un vantaggio competitivo e una stabile creazione di valore. Una volta, infatti, che le migliori aziende raggiungeranno una scala sufficiente e una cultura del servizio eccellente si troveranno sempre più a competere sulla conoscenza che sanno produrre e utilizzare.

E qui cambia tutto di nuovo. Ogni fase di sviluppo del lavoro necessita infatti di forme organizzative e modalità gestionali diverse per renderla efficiente e sostenibile. Il lavoro nell’economia della conoscenza non richiede esclusività, controllo della presenza fisica, uniformità. Richiede focus, indipendenza, dialogo, spirito critico, sperimentazione , metodo, diversità. Il lavoro non avrà più vincoli geografici e culturali ma diventerà globale, diffuso, sempre raggiungibile senza vincoli. Allo stesso modo il rapporto tra chi gestisce le attività e chi vi partecipa sarà più fluido e mobile consentendo varie gradazioni e modalità di collaborazione.
Adattarsi a questo nuovo contesto sarà importante, perché il valore e il vantaggio competitivo si costruiranno più lì che nelle vendite o nelle operations. Chi lo capirà per primo crescerà e costruirà valore per sé, per il proprio territorio e i propri azionisti, scoprendo opportunità sempre più interessanti. Gli altri, senza una comprensione chiara della natura del lavoro e di cosa crea valore, continueranno a operare in spazi affollati, poveri di occasioni e di conoscenza, oltre che piuttosto insicuri.

Fonte: Nicolò Boggian | IlSussidiario.net

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