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Quant’è dura spiegare san Tommaso ai censori di Facebook

Le topiche dei censori di Facebook sono leggendarie. Alcuni anni fa l’algoritmo che esercita il controllo sui post bloccò un editoriale di Giuliano Ferrara su di una sentenza della Corte Suprema americana che sdoganava il matrimonio fra persone dello stesso sesso sotto l’ironico titolo Oggi froci (“froci” era anche il titolo di una rubrica del giornale, tenuta niente meno che da Daniele Scalise, scrittore gay). L’espressione fu considerata insultante. L’allora direttore del Foglio fulminò il social di Mark Zuckerberg definendo il suo meccanismo di controllo «un idiot savant, uno scienziato pedante e talvolta utile che cerca nella media dei significati di guidarci tra i significati, ma manca del principio di individuazione, del tratto della personalità, che è la sede dell’intelligenza».

Equivoci esilaranti riguardano post che citavano la poetessa Ada Negri e il saggista comunista Toni Negri, bocciati perché il cognome, scritto minuscolo, era stato confuso con un epiteto dalle connotazioni razziste; la copertina del disco dei Led Zeppelin Houses of the Holy censurata perché giudicata incitamento alla pedofilia; montaggi fotografici polemici coi simpatizzanti del neofascismo eliminati perché contenevano la parola “Duce”.

Recentissimamente anch’io sono stato, per la prima volta da quando sono iscritto alla piattaforma, vittima dell’idiot savant di Facebook. Sabato scorso un messaggio dell’assistenza mi informava che un mio post della sera prima era stato oscurato – ormai potevo vederlo solo io – perché «non rispettava gli standard della comunità». Cosa avevo mai combinato di riprovevole? Avevo postato una vignetta in lingua inglese tratta dal sito “Just for Jokes and Fun”, che ha pure una pagina su Facebook. Nella vignetta si leggeva la seguente frase, pronunciata da Paperino: «I love everybody. Some I love to be around, some I love to avoid and others I would love to punch in the face». Traduzione: «Amo tutti. Alcuni amo averli vicino, altri amo evitarli; ad altri ancora amerei spaccare la faccia». La vignetta era introdotta e contestualizzata da un mio commento che recitava: «Come spiegava Tommaso d’Aquino, l’amore non ha valore di per sé, ma in base alla natura dell’oggetto a cui è rivolto…». Volevo insomma confutare l’assioma secondo cui quando c’è amore nessuna obiezione è più lecita, assioma che qualcuno vuol far risalire a sant’Agostino e al suo: «Ama, e fa’ quello che vuoi», che sedici secoli dopo è diventato il «Love is love!» con cui Barack Obama allora presidente degli Stati Uniti faceva conoscere il suo apprezzamento per la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che aveva esteso a tutto il territorio nazionale il diritto di persone dello stesso sesso a vedere riconosciuto il loro connubio come un matrimonio.

In realtà il santo protocristiano nel suo commento alla prima Lettera di Giovanni parlava del vero amore, quello che ha per oggetto Dio e i suoi comandamenti. Poi è arrivato san Tommaso, il teologo e filosofo con le sue distinzioni sottili e fondanti, a spiegare che una cosa è l’amore come passione e un’altra l’amore come dedizione, che l’amor amicitiae è altra cosa dall’amor concupiscientiae, e che la carità, che procede direttamente da Dio, è la più alta forma di amor amicitiae, perché è amore gratuito verso Dio. Il mio commento introduttivo voleva essere una deduzione da quello che Tommaso scrive negli Opuscula Theologica: «È pure la legge dell’amore, che l’amante venga trasformato nell’amato. Se amiamo il Signore, diventiamo anche noi divini: “Chi si unisce al Signore, diventa un solo spirito con lui” (1Cor 6, 17)». Diventiamo ciò che amiamo: se amiamo ciò che è bene diventiamo più buoni e più giusti, se amiamo ciò che è male diventiamo più cattivi e più ingiusti. Il nostro spirito è nobilitato o è avvilito a seconda che amiamo ciò che è nobile oppure ciò che è vile. Tommaso d’Aquino avrebbe rimbeccato Barack Obama dopo la sua famosa uscita.

Tutte queste sfumature gli algoritmi oppure le ottuse sentinelle umane di Facebook non le colgono: a loro basta leggere “punch in the face” per sentir suonare l’allarme e per reagire pavlovianamente staccando la spina a chi ha postato il commento. Non so se sia una prassi, ma almeno nel mio caso Facebook si è presa la briga di chiedermi, tramite modulo precompilato, se ero d’accordo con la loro decisione, e in caso di dissenso quali erano le mie ragioni. Fra le risposte precompilate ce n’era una che diceva più o meno “avete frainteso il significato del mio post”, ed è quella che io ho barrato. Dopo qualche ora mi è arrivata una nuova notifica con la quale il social mi annunciava che il mio post era nuovamente visibile: «Ci scusiamo per l’errore. Abbiamo analizzato di nuovo il tuo post e stabilito che rispetta i nostri Standard (lettera maiuscola – ndr) della community. Ti ringraziamo per il tempo che hai dedicato a richiedere un controllo. Il tuo feedback ci aiuta a fare sempre meglio».

Meno di ventiquattr’ore dopo questa manfrina Barack Obama veniva ospitato, in collegamento dagli Stati Uniti, dalla trasmissione di Rai3 Che tempo che fa. Motivo di tanta disponibilità del premio Nobel per la pace verso la piccola provincia italica dell’impero, l’opportunità di promuovere la traduzione italiana della sua autobiografia. A me resta il dubbio che i censori di Facebook non siano così stupidi come tante volte li giudichiamo, e che almeno uno di loro fosse un fan dell’ex presidente americano che ha colto la sottile allusione polemica contenuta nel mio post, e se ne è adombrato. In tal caso, gli voglio far sapere che ha inteso bene, perfettamente bene.

Fonte: Rodolfo CASADEI | Tempi.it

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