L’esempio di san Massimiliano Maria Kolbe, sacrificatosi per salvare la vita a un padre di famiglia, ci ricorda che si può portare luce anche nella notte più fitta e buia se ci si affida all’amore di Dio.
by BAT-man, il nostro inviato dalla provincia di Barletta-Andria-Trani, Salvatore Zingaro
La prima impressione che ho avuto dopo aver letto il libro di Elie Wiesel, La notte, proposto dalla prof di italiano alle medie, è stata di smarrimento, abbandono, sfiducia totale in Dio per quello che è potuto accadere al popolo ebraico e di delusione per quell’umanità che è potuta arrivare a compiere un tale abominio.
Un’opera che ha segnato la mia adolescenza e che ha finito per lasciare delle cicatrici profonde nel mio cuore.
Grazie a un film, Vita per vita, ho capito però che queste ferite possono essere risanate e che l’unica vera soluzione non può che nascere da un’esigenza d’amore, da una fiamma che resta viva persino nel momento più buio dell’anima.
Il sacrificio di San Massimiliano Maria Kolbe
Questa la storia: Jan, interpretato da un giovane Christoph Waltz, fugge dal campo di Auschwitz e per punizione i nazisti condannano a morire di fame dieci prigionieri, fra cui un giovane padre che si dispera. A quel punto un frate francescano polacco si offre di sostituirlo. È Massimiliano Maria Kolbe.
Dopo la fuga, Jan, venuto a sapere dell’accaduto, è perseguitato dai sensi di colpa, così, in cerca di pace, arriva a Niepokalanow, un convento-cittadella dedicato alla Madonna, fondato proprio da Kolbe assieme ad altri suoi confratelli.
Ma chi era questo Kolbe? E perché aveva deciso di sostituirsi a un altro prigioniero, decidendo di morire? Non gliene importava della sua vita? Molte sono le domande che Jan si pone.
Attraverso la voce di chi lo aveva conosciuto, capisce che ciò che lo caratterizzava era di essere un uomo di fede:
Penso sia stato semplicemente un credente, un vero credente. Ecco perché ha avuto un effetto tale sulle persone.
L’esempio di quest’uomo, sacrificatosi per salvare la vita a un padre di famiglia, non è stato soltanto frutto di un atto eroico, di un gesto di rassegnazione e accettazione al male, ma di una più profonda e sempre più radicata convinzione, e cioè che si può portare luce anche nella notte più fitta e buia se ci si affida all’amore di Dio.
I nazisti pensavano che sarebbe bastato qualche giorno per vedere scannarsi quei prigionieri, tra cui Kolbe, rinchiusi senza provviste di cibo e acqua, e invece i loro occhi increduli e malvagi hanno trovato davanti non degli esseri regrediti a bestie ma uomini che non soltanto hanno resistito, ma hanno vissuto nel senso più pieno del termine, lodando il Signore con canti, preghiere e ringraziamenti.
“il vero amore per gli altri significa perdonare”
E Kolbe risponde a tutti noi, in questo periodo così drammatico. Si, perché può essere sorprendente scoprirsi parte di un progetto e di un amore più grandi in grado di restituire senso a ogni cosa e situazione.
Persino al nostro passato. Così capisci che niente nella tua vita è da buttare. Ecco perché, quasi paradossalmente, in questi momenti si sperimenta ancora di più la presenza di Dio.
Voglio che vi ricordate una cosa – afferma Kolbe in una delle sue omelie, mostrata nel film attraverso un sapiente uso del flashback – Ricordate che i cavalieri dell’Immacolata non risparmiano i propri cuori. Né per se stessi, né per le loro famiglie, né per gli amici e i connazionali. I cavalieri dell’Immacolata abbracciano tutte le persone con i loro cuori, abbracciano il mondo intero, perché tutte le persone sono fratelli e sorelle. E ricordate sempre che il vero amore per gli altri significa perdonare. Un perdono completo e immediato.
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