Da quel giorno, l’uomo è stato introdotto nella compagnia dei disgraziati graziati che corregge i suoi eccessi e li rende spettacolo di nuovo ordine.

Siamo fatti per la totalità. Non è una affermazione di principio: è la vita che è così, quella di ogni giorno, quella dell’etto di prosciutto crudo e dell’amore. Certo, possiamo scegliere una via più semplice e vivere la vita a pezzetti incomunicanti: il problema è che, essendo fatti in altro modo, il gioco poi non funziona. E allora diventiamo brutti, cattivi, ci annoiamo, diamo la colpa a qualcuno o qualcosa e la nostra esistenza diventa lamentosa (lo sport più diffuso). È inevitabile, non è colpa di nessuno, è inutile individuare un colpevole, perché il particolare (ogni particolare) è un invito: quando è staccato dal suo orizzonte totale, ammazza. Quanto più quel particolare sta a cuore all’uomo (pensiamo alla preferenza umana, a quella affettiva, alle nostre inclinazioni e alle nostre capacità), tanto più l’uomo fa o farà l’esperienza di un suo bene che gli grida: addio! È inevitabile. Perciò è inutile spendere tanti soldi con gli psicologi: la vita va così. Unum loquuntur omnia, diceva la saggezza medievale: la vita è l’avventura di trovare questo filo rosso che unisce tutte le cose, senza il quale le preferenze ci abbandonano e ci stufiamo.

Allo stesso tempo, il particolare aspetta da noi di essere rimesso al suo posto perché è stato disordinato. Questo filo rosso ha subito una manomissione. Gli uomini di un tempo, non trovando risposta a questa situazione disturbata e ingarbugliata, arrivarono alla conclusione che fosse opera di un misfatto originale, che poi hanno chiamato peccato. Il lavoro (enorme) dell’uomo (così mi fu insegnato) è essenzialmente questo: rimettere le cose nel loro ordine originale. Compito immane, sproporzionato, sovrumano: rimettere le cose come erano state pensate originalmente. E tutto questo con il nostro lavoro: quello ripetitivo giornaliero, quello esaltante e quello meno, quello remunerato e quello no, la colazione, il calcio, la carezza, l’amore. La realtà totale invoca ordine, geme, diceva san Paolo: perfino il terremoto, il virus, sono un disordine della natura che geme e ammazza gli uomini. Il nostro lavoro (quello dei sismografi, come quello dei virologi, come quello della casalinga) è Uni-versitas, il gesto del secondo uomo che ricompone (pagando con la fatica) il senso unitario del tutto, ponendo rimedio, così, al gesto dia-bolico (divisore) del primo uomo.

Un compito sovrumano, letteralmente. Questo ordine disordinato non può essere sanato da un singolo disordinato: in fondo il disordine è entrato nel mondo proprio in ragione della sua pretesa di essere ordine, l’unico grande ordine. È un circolo vizioso (nel senso letterale del termine) perché, lo sappiamo, se uno strumento è fallato (un termometro cinese) falla in tutte le sue misurazioni, dice bene dove è male. Per risolvere il disordine occorre qualcosa che spacchi l’ordine disordinato creato dall’uomo disordinato. Occorre un secondo clamoroso disordine: Fino al giorno in cui aveva cominciato il disordine. / Introdotto il disordine, / Il più grande disordine che ci sia stato nel mondo. / Che ci sia mai stato nel mondo / Il più grande ordine che ci sia stato nel mondo. / Il solo ordine. / Che ci sia mai stato nel mondo. / Fino al giorno in cui si era disturbato. / E disturbandosi aveva disturbato il mondo. Da quel giorno (il Natale), l’uomo è stato introdotto nella compagnia dei disgraziati graziati: questa compagnia “graziosa” perché graziata, corregge l’uomo, corregge i suoi eccessi, i suoi infiniti e irrisolvibili difetti, e li rende spettacolo di nuovo ordine, perché fecondi.

Allo stesso tempo, e viceversa, qualunque compagnia che non sia compagnia al riordinamento del mondo è fallimentare. Qualunque associazione tra uomini (dal calcetto al social network, dalla parrocchia all’azienda, dall’amicizia al matrimonio) che non sia motivata dal grande compito di rimettere ordine nel mondo (ognuno dov’è e come può), che non sia finalizzata a questo e non sia sostenuta in questo, è destinata a fallire e a lasciare più solo l’uomo, o più falso. Anche i sentimenti più nobili, le imprese più generose, gli affetti più innervati, sono destinati a diventare camere a gas quando non respirano l’aria del grande compito: l’estremo dovere è offrire agli uomini l’accesso a questa compagnia graziosa, dare occasioni per intrufolarsi come bambini immeritevoli in essa. L’estremo dovere è documentare, offrire documentazioni dell’Epifania. Il nostro lavoro, tutti i nostri lavori, da quel giorno, hanno l’opportunità di poter collaborare a questa grande impresa. Oppure non servono. 

Fonte: | Tempi.it