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Paritarie senza oneri per le famiglie

A Tarcento è quel che fa don Villa da oltre 40 anni. Appunti per cattolici troppo impegnati in convegni

Egregio direttore, trovo sempre molto conforto leggendo gli articoli che dedicate al problema della liberta di educazione per la loro chiarezza. Mi è sembrato che non attribuiate una capacità risolutiva allo scardinamento del “senza oneri per lo Stato”. Anche io ho questa sensazione e perciò sono a chiederle se può riprendere coi suoi giornalisti un approfondimento.
Don Antonio Villa

Don Villa chiede a noi, armati di un “giornale fionda”, di tirare un sasso nell’occhio di Golia, il gigante che ci ha convinti che l’educazione è prerogativa di Stato. Battaglia impari, e dunque meritevole di essere affrontata sia qui sia in futuro. Chi legge queste pagine sa che per noi è una pugna che ormai prosegue da oltre vent’anni. Poca cosa, in fondo. Don Villa, ad esempio, lo fa da quarant’anni e non solo a parole come noi giornalisti chiacchieroni, ma avendo messo in piedi – partendo, letteralmente, dalle macerie lasciate da un terremoto – una scuola che oggi esiste e splende in quel di Tarcento.

Non staremo a rifarvi la storia di quel miracolo. L’abbiamo già raccontato diverse volte cosa è stato capace di costruire questo sacerdote che nel 1976 partì da Milano per portare soccorso ai terremotati del Friuli e poi non se ne è più andato (lui che, dopo una settimana che era lì, come un don Camillo si avvicinò al Crocifisso per dirgli: «Qui è un disastro. Dammi un segno chiaro così che io possa tornare a casa». Sono passati 44 anni, e Dio non ha spiccicato segno. Però ogni giorno, racconta sempre il nostro sacerdote, il Grande Educatore gli ha fatto fare “qualcosina”: un gesto, un pezzetto che lo ha convinto, piano piano, e gli ha mostrato, piano piano, che “qualcosa” si può sempre fare, basta non essere malmostosi e lasciarsi condurre verso un “sì”. E adesso che il risultato è grande, ed è una scuola da cui sono passati migliaia di ragazzi, “il Villa” dice: «Cosa ho fatto io? Niente. Io non ho fondato niente. Ho fatto solo quel che c’era da fare, e basta»).

Mi hanno detto, ma non so se è vero anche se lo ritengo plausibile, che una volta il padre della legge 62/2000, Luigi Berlinguer, se ne uscì con questa frase: «Il dibattito sulla scuola nel nostro paese è davvero strano: i comunisti parlano solo di ideali, i cattolici solo di soldi». Ecco, appunto, siamo in un vicolo cieco da quarant’anni (ma il Villa vi direbbe da ottanta, da quando nel 1940 sentì il rettore del Collegio arcivescovile di Saronno pronunciare una violenta filippica contro lo Stato che costringeva i genitori a «pagare due volte le tasse»). Cosa abbiamo ottenuto? Abbiamo ottenuto che ogni anno dobbiamo tornare dallo Stato a mendicare due spiccioli per le paritarie. Abbiamo fatto molti seminari, molte tavole rotonde, molti incontri. Ne abbiamo fatti così tanti che se raccogliessimo tutti gli atti dei convegni che da ottant’anni facciamo sulla parità scolastica, adesso avremmo una bella montagna di carta. Ma con le montagne di carta ci fai i falò alla Giubiana, mica “educazione di popolo”.

Viene ormai quasi il sospetto che la situazione faccia comodo a tutti: a chi è per il monopolio statale, che sa di aver vinto la battaglia dal punto di vista ideologico, ma anche a chi è per le paritarie, che sa che, comunque, di riffa o di raffa, si può tirare a campare, almeno agonizzare con decenza, morire ogni giorno senza soffrire troppo. Una goccia di veleno tutti i giorni, così che non si stramazzi in un baleno, ma solo lentamente. Tutto, ovviamente, infiocchettato nell’ennesimo workshop in cui anche i cattolici sono diventati maestri. È il massimo della vita: la libertà di educazione va a ramengo mentre i bambini non si spaventano, i genitori non si angosciano, i ministri conservano il posto senza troppi scossoni.

Qui, invece, dice il Villa e diciamo noi, si tratta di uscire dal labirinto mentale per cui è lo Stato che deve mantenere il monopolio educativo e dunque che siamo noi a dover chiedere a Golia il permesso di fare delle scuole. Cosa volete che ci risponda? “Vuoi fare una scuola? Pagatela”. Se il punto di partenza di ogni ragionamento è il “senza oneri per lo Stato”, la conclusione è scontata.

Va dunque cambiata la premessa. E la premessa è che dobbiamo rovesciare la frase di Berlinguer e parlare un po’ meno di soldi e un po’ più di ideali (che poi è il motivo originario con cui sono nate, se ci pensate, tutte – ma proprio tutte – le paritarie). Diciamolo in modo ancor più radicale usando le parole del nostro eroe di Tarcento: «Se tu famiglia affidi a me, educatore, tuo figlio, cioè il tesoro più prezioso che hai, vuoi forse anche darmi dei soldi? Io non li voglio i tuoi soldi, perché per me l’educazione non è a pagamento. Per me è una questione di libertà e dunque di gratuità».

Iniziamo a discutere di questo, ad esempio. A Tarcento da quarant’anni c’è una scuola paritaria in cui non si pagano le rette. Avete letto bene. Da quarant’anni le famiglie di Tarcento e dintorni affidano i loro “tesori” al Villa e alle sue magnifiche “guardie del corpo”, Eva e Luciana, e il problema di pagare la retta non ce l’hanno mamma e papà, ma il gestore. E come fanno don Villa, Eva e Luciana a tenere su la scuola? Chiedono agli altri quello che chiedono a se stessi: libertà e gratuità, gli unici due ingredienti necessari per affrontare l’impresa. Chi può, verserà qualche spicciolo; chi non può, farà qualche lavoretto a scuola, in mensa o dove c’è bisogno; chi non vuole fare niente, non farà niente. È un’intera comunità a partecipare all’opera educativa: nessuno è obbligato, tutti sono partecipi. È il massimo della libertà. Funziona. È un pezzetto di paradiso in terra.

Fonte: | Tempi.it

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