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Alla Colletta alimentare la differenza la fa il cuore

L’iniziativa del Banco Alimentare non si risolve come semplice elemosina, come mostrano tante testimonianze.

Gent.mo Casadei, ho letto con molto interesse il suo articolo su Tempi del 5.12 dal titolo: “Se la cultura del dono diventa celebrazione del denaro”. Non posso che concordare sul giudizio di fondo e su quanto da lei sostenuto su queste nuove forme tecnologiche di raccolta fondi che rischiano di farci mettere unicamente una mano sul portafoglio; ricordiamo forse tutti quando nelle più svariate occasioni benefiche, magari dopo uno spettacolino all’oratorio o un concerto in piazza, qualcuno saliva sul palco e salutando annunciava: “E adesso, uscendo, mi raccomando una mano sul cuore e una sul portafoglio!”. E, del resto, seppure in modalità moderna per quanto riguarda la forma ma sempre con la stessa logica per quanto attiene alla sostanza (tanto per restare in tema…) è questione di sempre. La si chiamava “elemosina” e coloro che erano giustamente preoccupati di “educarci” veramente, ci insegnavano a distinguerla dalla “carità”, quella che doveva coinvolgere noi in prima persona e che doveva mettere in gioco appunto il nostro cuore.

Fatico però a comprendere l’accostamento con il Banco Alimentare e sinceramente mi pare fuorviante proprio rispetto alla preoccupazione educativa di fondo di questo gesto.

Da sempre abbiamo affermato che importante era il raccogliere cibo ma ancora più importante era il valore educativo del gesto della Giornata Nazionale della Colletta Alimentare. Valore educativo innanzitutto per i volontari. Se non cambiava qualcosa in loro, se non avessero loro per primi colto questo richiamo forte, questo partecipare come un momento in qualche modo paradigmatico di una modalità normale del vivere, difficilmente avrebbero potuto avere qualcosa da comunicare agli altri e tutto si sarebbe comunque risolto in una “elemosina”, fatta con una scatoletta di pelati, o di tonno o di olio, invece dei 2 o 5 o 10 euro, ma sempre elemosina sarebbe stata, per chi la faceva e per chi era lì a raccogliere e a mettere negli scatoloni.

La differenza la fa il cuore, la consapevolezza di chi vive il gesto e quindi il come lo propone: e questo, mi lasci dire, non è venuto assolutamente meno, anzi! Nella lettera con cui si comunicava la decisione di questa modalità straordinaria di colletta si sottolineava soprattutto: «… Sarà fondamentale recuperare noi per primi una responsabilità e impegnarci innanzitutto nel cammino “verso” il giorno della Colletta. Come? Il gesto … può trasformarsi in tanti piccoli gesti giocati in prima persona, … al coinvolgimento di vicini di casa, compagni di scuola, colleghi di lavoro, con il passa-parola, passa-email, messaggino, etc. e questo in tutti gli ambiti in cui siamo…».

Beh, tante sono state le testimonianze di questo mobilitarsi in prima persona dei tanti che hanno voluto giocare la propria libertà in iniziative che non avrebbero mai preso prima e si sarebbero “accontentati” di un turno davanti al supermercato. E tante sono, mi creda, le testimonianze di occasioni di rapporto, di amicizie rafforzate o nate, (come giustamente sottolinea) magari non davanti ad un supermercato, ma invece con colleghi e conoscenti a cui è stato proposto il gesto più direttamente, magari pubblicamente sul posto di lavoro, magari attraverso intranet aziendali, etc. o l’iniziativa di chi, essendo in zone gialle, è comunque andato davanti ad un supermercato o di chi, non potendolo fare, si è comunque messo una pettorina e attento a non creare assembramenti, si è messo a debita distanza dal supermercato per spiegare la modalità della colletta 2020.

E, ancora una volta quest’anno, lo stupore e la gratitudine per le collette fatte in oltre una quindicina di carceri in tutta Italia. E questo soprattutto a me insegna che non c’è condizione in cui non possa prevalere il desiderio di bene che è nel cuore dell’uomo e questo occorre valorizzare al di là delle tante considerazioni e richiami ad un giudizio attento contenute nell’articolo: ripeto innanzitutto a me stesso, che in ogni caso penso stia a ciascuno di noi valorizzare tutto quello che un briciolo di carità o comunque di solidarietà può generare, anche attraverso gli accrocchi di un computer e il desiderio magari, si diceva una volta, di lavarsi la coscienza di alcuni, non singole persone certo ma società anche importanti.

Grazie per l’attenzione.

Giovanni Bruno – Presidente Fondazione Banco Alimentare

Fonte: Tempi.it

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