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L’attentato di Nizza, la guerra “a pezzi”di Erdogan, la radicalizzazione (anche Italiana): mix esplosivo

«Rispetto al 2015, quando un commando di due terroristi assaltò la sede di Charlie Hebdo a Parigi uccidendo dodici persone, la violenza è aumentata e si è diffusa in tutta la Francia e non solo». Parte da questa constatazione il professore Marco Lombardi, direttore di ITSTIME (Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies) e docente di Politiche della sicurezza all’Università Cattolica di Milano, per analizzare l’attentato di Nizza dove giovedì mattina Brahim Aoussaoui, un tunisino di 21 anni arrivato prima in Italia, a fine settembre a Lampedusa e poi, a inizio ottobre, in Francia, ha sgozzato tre persone nella basilica di Notre-Dame. «Oggi», continua Lombardi, «assistiamo a una serie di attacchi che culminano in diverse città della Francia ma che interessano anche Gedda, con l’assalto al consolato francese, riempiono le piazze del Bangladesh, portano a dire all’ex premier della Malesia Mahathir Mohamad che i musulmani hanno diritto di “uccidere milioni di francesi. C’è il presidente turco Erdogan, spalleggiato dal Qatar, che mette al bando i prodotti francesi e spinge persino l’Egitto, da sempre partner commerciale di Parigi per la compravendita delle armi, a prendere posizione contro la Francia. Un domino che non era accaduto cinque anni fa».

 

Per quale motivo?

«È in corso una guerra ibrida a pezzi, come dice papa Francesco, dove sono in gioco interessi geopolitici e il terrorismo è impiegato sempre di più come un esercito utile a uno degli attori in campo. Gli americani nelle prime fasi della guerra siriana hanno utilizzato Al-Nusra e Daesh. Adesso Erdogan utilizza il terrorismo islamista per portare avanti il suo disegno di espansione ottomana e costruire la grande Turchia. Ha esportato il terrore in Nordafrica e contro gli armeni, ha legami con i Fratelli Musulmani, il più grosso pericolo incompreso dall’Occidente».

I fatti di Nizza come si pongono in questo risiko?

«Sono una tessera del puzzle. Erdogan ha dinamizzato tutto il mondo musulmano, terrorismo incluso, contro Parigi. Ha buttato il fiammifero dove c’era già la benzina sul pavimento, e questa è la Francia di oggi alle prese come tutti i paesi occidentali con il virus, e ha usato le persone giuste per far partire “spontaneamente”, diciamo così, quelli che la gente chiama schegge impazzite o lupi solitari».

L’attentatore di Nizza si può definire così?

«È chiaro che la provenienza di questo terrorista pone un problema su quella che è la gestione delle migrazioni per l’Italia, una questione che va avanti da vent’anni e viene gestita in funzione della politica e non delle persone. Il risultato è che chi avrebbe diritto a venire in Italia non riesce a farlo legalmente mentre ci sono tanti che arrivano illegalmente senza essere controllate e senza nessun filtro. Uno così non è un immigrato ma un clandestino che se ne va da un paese all’altro in maniera illegale. Dovremmo bloccarli prima che arrivino qui ma siccome sono tanti è difficile farlo».

In Italia sono divampate le polemiche…

«Molto probabilmente è passato dalla frontiera di Ventimiglia ma al di là del percorso fatto il risultato di questa incapacità di controllare i flussi non farà altro che chiudere ulteriormente i confini di tutti i paesi europei e questo non va bene perché le migrazioni sono una questione che dovremmo affrontare insieme. Anche con l’attentatore di Berlino Anis Amri (tunisino e arrestato in Italia nel 2016, ndr) successe la stessa cosa. Dobbiamo essere certi che tra tutte le persone che arrivano ci sono dentro gente perbene, persone arrabbiate che potrebbero diventare terroristi e terroristi incalliti».

Il fatto che sia una scheggia impazzita deve farci stare più tranquilli?

«No, questo non ha nulla a che vedere con la qualità della minaccia terroristica. Il livello del pericolo non si abbassa ma cambiano il tipo di minaccia e la nostra possibilità di prevederla o intercettarla. Dietro a questi “cani sciolti” c’è una diversa struttura organizzativa. Giovedì in Francia le schegge impazzite erano quattro e hanno colpito a Nizza, Lione, Avignone e al consolato francese di Gedda. In comune, più che l’organizzazione, c’è un certo orientamento».

Quale?

«Hanno usato le stesse modalità operative e colpito gli stessi bersagli, significa che c’è un substrato diffuso in termini di formazione e orientamento sedimentato nella quotidianità. La capacità propagandistica del terrorismo islamista di questi ultimi anni insieme a un mondo diventato sempre più cattivo e conflittuale e dove il Covid-19 ha accelerato questi processi, ha fatto sì che questi episodi accadano più facilmente e rapidamente rispetto a qualche anno fa».

Le continue “provocazioni” di Charlie Hebdo sono da assolvere tout court?

«Sono una grande miccia in una situazione di conflitto molto più ampia. La questione della libertà di espressione riguarda tutti i governi europei. La Francia ha il sacrosanto diritto di difendere il principio della laicità e della libertà dello Stato e Charlie Hebdo di fare quello che fa, anche se a volte è sgradevole e quasi irriguardoso, ma nessuno ha il diritto di impedirglielo o di sparare addosso a qualcuno che fa vedere le sue vignette com’è successo a Samuel Paty, il professore decapitato il 22 ottobre scorso per aver mostrato le caricature di Maometto in classe. Anch’io durante le mie lezioni lo faccio. Qui non stiamo più parlando soltanto di libertà di stampa e di espressione ma di libertà educativa e su questo, lo dico con forza, l’Islam ha tutto da imparare dall’Occidente. I problemi che in questo momento abbiamo anche in Italia sono dovuti al fatto che la radicalizzazione viene portata avanti dalle famiglie musulmane al loro interno ed è in contrasto con l’educazione pubblica. Questo problema prima o poi lo sconteremo anche noi».

Nelle manifestazioni di lunedì scorso a Milano contro le restrizioni imposte dal governo per la pandemia c’erano anche giovani stranieri delle periferie che parlavano in arabo e senza precedenti penali. Qualcuno li ha accostati ai giovani delle banlieue francesi.

«È un campanello d’allarme da non sottovalutare. Non dimentichiamo che il terrorismo degli ultimi anni ha reclutato ragazzini dai 12 ai 18 anni come ha fatto Daesh in Siria. Il Covid-19 è un formidabile acceleratore di processi e noi veniamo da un mondo pre-pandemia in cui abbiamo visto all’opera i gilet gialli, le proteste dei ragazzi di Hong Kong, quelle in Cile. Il mondo era intriso di violenza e aveva espulso tutti i corpi intermedi di mediazione e le cose avvenivano più rapidamente: dal contatto con il reclutatore a quando andavi sul campo ad agire, se prima passavano mesi se non anni, adesso passano settimane o giorni. Quei ragazzi sono benzina non perché sono terroristi ma perché vivono in un brodo di coltura, in una Molenbeek, per usare un luogo simbolico di questi anni, che è la somma di tante cose: disagio, estraneità, mancanza d’identità e di opportunità. Nulla di tutto questo giustifica la violenza come sfasciare vetrine e aggredire i poliziotti ma tutto questo è il numero di ottani che cresce fino a far diventare esplosivo il composto».

Come si sta comportando Emmanuel Macron?

«Sa benissimo che la Francia è in guerra e sta combattendo in diversi teatri, dal Mali a tutto il Sahel fino al Nordafrica, per difendere i suoi interessi, economici e militari. Il suo discorso alla nazione ha fatto arrabbiare ancora di più Erdogan e compagni e ha fatto capire che il presidente francese ha fatto una scelta consapevole e competente, della serie: “difendo la Francia, so di essere in guerra e la accetto fino in fondo”».

Fonte: FamigliaCristiana.it

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