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Il Dio che non tradisce s’ è fermato in Africa

Hanno bloccato anche Lui alle frontiere, per via del Coronavirus. Il tema della mobilità gli è molto caro da quando si è messo in testa di migrare da una parte all’altra del mondo. Ha scelto di passare la maggior parte del suo tempo in Africa subsahariana e ha di sicuro le sue buone ragioni. In tempo di epidemia Covid ha fatto, come spesso gli accade, una scelta di parte: stare in un pezzo di mondo dove molte altre epidemie cercano, con un certo successo, di annidarsi. Dall’ Ebola alla tubercolosi, passando per l’Aids e continuando con la meningite senza dimenticare la malaria che si è installata con gusto in questa porzione d’Africa. Fin dall’inizio della propagazione dell’epidemia, scienziati, Organizzazione mondiale della Sanità, centri specializzati nelle proiezioni sulla diffusione delle epidemie e Nazioni Unite avevano pronosticato un’ecatombe per il nostro Continente. Così Dio non è stato con le mani in mano e ha scelto di mettersi in gioco e di usare il suo non indifferente peso sulla diffusione dell’epidemia in questione. Sono fioriti quasi subito pozioni, rimedi, strategie, benedizioni ed esorcismi vari.
Alcuni Capi di Stato l’hanno preso come Garante, per dimostrare la bravura della Nazione di fronte all’attacco sferrato dal virus. La gente comune ha subito pensato che il virus, di cui tanto si parlava altrove, o era una montatura per conquistare il mondo o una vicenda orchestrata da Dio per punire gli atei. Tutti erano d’accordo, comunque, che questo virus attaccava molto i benestanti, quelli che abitano lontano e che, in fondo, hanno già vissuto abbastanza. Sapevano che loro, gli africani, sarebbero stati risparmiati e che, come è stato fatto quasi dappertutto, chiudere i luoghi di culto era stato un errore madornale. Permettersi di vietare di pregare assieme il Dio che, solo, può proteggere e guarire era come un’aberrante evidenza di mancanza di fede. Tutto ciò appariva come un attacco frontale, una sfida per così dire, all’autore della malattia che era anche il solo a poter interferire con essa per debellarla. I fedeli non capivano affatto perché mai dovevano distanziarsi e proteggersi con le maschere nei luoghi di culto e poi avvicinarsi indisturbati a volto scoperto in altri luoghi sociali frequentati da tutti, come i mercati. La gente, d’altra parte, non dimentica che la prima e più mortale epidemia del Continente e nel Sahel in particolare, è quella della fame. Colpisce indisturbata da decenni e fa differenze tra i contadini, i poveri delle città e, in generale, gli “invisibili” che non rispondono all’appello di una vita degna per tutti. Uno dei motivi per i quali Dio ha deciso di stare tra noi è proprio questo. Andarsene altrove quando e dove c’è più bisogno di Lui l’avrebbe fatto sentire un traditore. E Dio non tradisce mai. Questo è uno dei motivi che lo hanno spinto a viaggiare e a sentire cosa si prova a ritrovarsi stranieri dopo essere stati costretti ad abbandonare la propria terra. Ha fatto anche Lui la fila per la distribuzione di alimenti, ha cercato un posto sotto tende allineate a centinaia e non poche volte ha dovuto sfuggire agli attacchi di coloro che volevano impadronirsi dei beni destinati ai rifugiati. Dal 2011, nel Continente continuano ad aumentare: se ne contano circa 29 milioni. Il 72% sradicato dentro il proprio Paese. Dio oggi è un clandestino, chiuso nei campi di detenzione organizzati nel Continente per fare cassa grazie all’esportazione mercenaria delle politiche repressive dell’Occidente. Ma si mescola anche ai contadini che ancora cantano quando tornano dal lavoro la sera o tra le donne che raccontano storie d’amore e di tradimenti presso il pozzo scavato da poco. Si nasconde nella sabbia poco lontano dai bambini che giocano coi fucili per imitare i grandi. Dio nel Sahel è un Dio di sabbia, onnipresente, costante, silenzioso, pervasivo, mobile, fedele, umile e tenace. Sfugge tra le dita quando lo si vuole stringere e usare a proprio piacimento. Come sabbia si vuole libero per attraversare il tempo e le stagioni. Ammantato di polvere si diverte a costruire liberi e fragili speranze quotidiane, provvisorie come un’eternità. E sogna, Dio, di perdersi un giorno nel mare. Tra i naufraghi.

Fonte: Mauro ARMANINO | Avvenire.it

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