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“Non sarò mai più la stessa persona di prima”

L’infermiera: “Quando indossavo la mascherina mi dicevano che esageravo. All’inizio non avevamo quelle adatte e da lì è iniziato tutto. La Asl non ci ha formato e non ha fornito le protezioni necessarie. Vogliamo i tamponi per tutti i sanitari”.

La Spezia – Il reparto di Neurologia del Sant’Andrea non esiste più. Almeno in questa fase dell’emergenza è stato completamente trasformato in un reparto Covid e i pazienti hanno trovato ospitalità nel reparto di Otorinolaringoiatria (leggi qui). Così infermieri e Oss si sono ritrovati nel giro di poche ore a gestire 33 nuovi posti letto con materiali spostati nottetempo e tanta preoccupazione da parte di chi ogni giorno dedica ore ed ore di lavoro all’interno di un’emergenza sanitaria senza fine. C’è malcontento e preoccupazione per come sono andate le procedure di sanificazione, serpeggia quando parli con chi è dentro dalla mattina alla sera, quando il turno è il diurno o per intere notti, difficilissime. Ne abbiamo discusso con un’infermiera delle nostre, tra le tante impegnate nei nostri presidi ospedalieri di cui, su richiesta, teniamo celata l’identità: “Tutto ciò è avvilente, infermieri e Oss devono combattere anche con elementi del genere. Pulizia e sanificazione che cerchiamo di fare al meglio sono merito di chi veramente lavora sul campo. Fosse per gli altri…”

Quando ti sei accorta che qualcosa non andava?
“Partiamo dal presupposto che le brutte giornate con il nostro lavoro ci sono sempre. Ma io parlo di quelle che non avevi previsto nel tuo universo. Le giornate sono iniziate a diventare sempre più dure quando il telegiornale iniziava a parlare dei primi sospetti: in ospedale c’era già pieno di polmoniti e febbri di origine sconosciuta. In poche colleghe di fronte a questi strani casi volevamo già usare presidi di protezione: almeno la mascherina chirurgica per noi e i pazienti. Ma venivamo quasi derise… più passavano i giorni più avevo questo desiderio, ne ho discusso tante volte e in certi casi mi è stato chiesto perché indossassi la mascherina. Proprio perché non venivo capita, ho dovuto dire che l’avevo messa perché ho avuto raffreddore e tosse per un mese…”

E poi?
“Mi sono messa alla ricerca delle mascherine. Un giorno quando iniziavano i casi sospetti erano finite perché le avevano rubate. Con le mascherine sono sparite anche l’Amuchina e nel frattempo aumentava la pressione. I parenti cominciavano a voler anche loro le mascherine e noi non ne avevamo… E da qui è iniziato tutto”.

Una situazione degenerata in pochi giorni…
“Da quel momento in poi sempre peggio: mi chiamavano parenti e amici per sapere la situazione e io dicevo loro di non uscire, di non andare più nei bar e nei ristoranti ma non venivo presa sul serio… Mi dicevano che ero esagerata, poi un giorno, dopo il riposo, rientro in ospedale… era tutto cambiato, mascherine ovunque si vedevano i ragazzi delle ambulanze portare i primi casi tutti bardati. Sembrava un film, quando ci fu il primo caso al Sant’Andrea non avevamo addosso nulla di particolare: le mie colleghe che in quel momento furono chiamate ad intervenire andarono senza tuta e mascherina adatta”.

Ci racconti una giornata tipo di un’infermiera in corsia. La preoccupazione per sé stessi e per la famiglia, il senso del dovere, la solitudine di chi non ha nemmeno il tempo di andare in bagno.
“La giornata inizia quando ti svegli al mattino e speri di non contagiarti, di fare tutto come si deve senza sbagliare, toccare dove non devi e di lavorare senza vedere morti… in reparto prepariamo tutta la terapia per poter entrare meno possibile in stanza ma è quasi impossibile. Ti metti la tuta, indossi la maschera e le protezioni alle 7.30, riesci forse a lavarla alle 11 per fare soltanto esami e terapia. Non puoi nemmeno indossare doppi o tripli guanti perché a volte finisci per non sentire le vene per mettere gli aghi. Senza dimenticare che tutto il materiale va disinfettato, a partire dai monitor per i parametri, l’elettrocardiogramma è imbustato e difficile da gestire. Poi ad ogni cambio stanza ti devi fare spruzzare addosso la candeggina ovunque. Oltre alla terapia con l’Oss devi lavare i pazienti e sistemarli, dare loro la colazione e gli altri pasti. E’ vero non hai tempo di andare in bagno e neanche di toccarti il naso. Bardata come sei, sudi da morire e ti manca l’aria. Poi a volte la maschera si appanna e quando ti senti il respiro preghi di aver messo bene la mascherina per non portare niente a casa… io non sarò mai più la stessa persona di prima”.

Probabilmente, come ha detto lunedì Borrelli, i positivi ipotetici sono molti di più di quelli che i tamponi rilevano. Ecco perché diventa fondamentale attenersi alle regole di isolamento sociale oggi più che mai e probabilmente per chi sa quanto tempo….
Il tutto mentre c’è gente attaccata a Facebook che si lagna o peggio ancora esce di casa vanificando lo sforzo dei più.

“Quelli che non riescono a stare a casa dovrebbero provare solo a stare dentro la tuta. Quando te la levi sei zuppo”.

Quanto sei/siete stanchi? E cosa vi preoccupa di più come infermieri che tutti i giorni toccano con mano il dramma di questo momento?
“La stanchezza è mentale, lo stress di fare tutto per bene. Non mi sono ancora capitati doppi turni, mi dicono che ad alcuni colleghi viene detto di mettere il pannolone perché non puoi cambiarti troppe volte. Perché non c’è la roba. E poi c’è la questione delle mascherine che devono essere quelle adeguate. C’è ignoranza in giro, non ci hanno formato per la procedura di vestizione e svestizione, una cosa davvero grave perché se non fai le cose come dovresti puoi contaminarti. Stiamo lottando con i sindacati per avere materiale che ci faccia sentire veramente protetti. Perché proteggersi è vitale come lo sono i tamponi, specialmente per noi che siamo in prima linea: e questo vale per tutti, sia che tu sia stato o meno a contatto di un paziente positivo al Covid-19. La tristezza me la faccio passare, è il mio lavoro ma oggi è diverso perché non puoi stare vicino ai pazienti come vorresti. E i parenti chiamano per avere notizie, i medici che sono disponibilissimi sono impegnati e hanno poco tempo per rispondere a tutti. Cerchiamo sempre di sdrammatizzare perché alla fine questo lavoro ce lo siamo scelti. Io non avrei potuto fare altro nella vita però ora non è facile…”.

Nel bel mezzo della terza settimana da quando è iniziata l’emergenza come sta andando al Sant’Andrea e in generale come state rispondendo al carico di superlavoro e a nosocomi evidentemente pieni come mai era successo prima?
“Hanno tagliato la sanità e anche ora a Spezia non assumono: è inaccettabile normalmente figuriamoci in queste gravi condizioni. Il fatto è che quando ci sono troppi pazienti, poco personale e pochi presidi non riesci a mantenere standard adeguati di cura”.

La vita è cambiata per tutti, ma per un infermiere un po’ di più.
“Quando arrivo a casa da mia figlia mi disinfetto dalla testa ai piedi. Quando ritorno mi spoglio sull’uscio di casa. Divido la divisa dai vestiti e ogni volta che torno quei vestiti, gli stessi, li lavo a 90 gradi. Mi levo le scarpe, preparo uno straccio disinfettato e vado dritta sotto la doccia senza neppure salutare mia figlia: mi lavo dalla testa ai piedi ma poi cerco pure di baciarla il meno possibile per paura di essere stata contagiata…”

Perché questo virus è così pericoloso?
“Perché ha una velocità di contagio altissima”.

Che cosa manca di più per lavorare al meglio?
“Manca qualcuno che rassicuri anche noi, che ci tuteli, basterebbe poco… fare i tamponi a tutti i sanitari e darci il materiale adatto sarebbe sufficiente. Per quanto mi riguarda farei anche 30 ore e passa ma vogliamo essere tutelati ed informati sui rischi, sul numero dei contagi e abbiamo bisogno delle mascherine, quelle idonee. Ultimamente sono arrivate, ma le tutele per non ammalarsi sono necessarie. Idem, come ho detto, i tamponi. Nel privato in attesa del tampone stai a casa, nel pubblico no. Gli Oss fanno un lavoro grandioso e non gli è riconosciuto un bel niente. E per noi non è così differente”.

FONTE: Fabio LUGARINI| CittaDellaSpezia.it

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