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La libertà, il potere e il pesce rosso

Pubblichiamo la “lettera aperta ai nipoti e ai loro amici” distribuita all’incontro “La libertà in gabbia”, organizzato dall’associazione Nonni 2.0.

Pubblichiamo la “lettera aperta ai nipoti e ai loro amici” distribuita all’incontro “La libertà in gabbia”, svoltosi a Milano sabato 18 gennaio e organizzato dall’associazione Nonni 2.0. Al convegno sono intervenuti Francesco Botturi, Roberto Respinti, Costanza Miriano e Robi Ronza.

Libertà in gabbia? Davvero viviamo in un’epoca in cui la libertà è in gabbia o rischia seriamente di esserlo? Oggi tra le preoccupazioni dei più giovani di solito la prima è quella del lavoro. Seguono da vicino i timori per il futuro dell’ambiente. A prima vista non sembra invece che la libertà manchi, né che sia in pericolo. Sembra anzi che oggi, malgrado tutto, ognuno possa fare ciò che vuole (purché ne abbia i mezzi).

Guardando la situazione più da vicino ci si accorge invece che sempre più spesso quella di cui si gode è la libertà del pesce rosso: libero di guizzare, ma nei limiti del piccolo acquario in cui è stato messo e che qualcun’altro colloca poi dove gli pare. Insomma, sempre più spesso appare che quanto spacciato come libertà sia in effetti soltanto autodeterminazione, ovvero facoltà di fare scelte secondarie nei limiti di una gamma di alternative definite da altri. È urgente rendersi conto di questo stato di cose, della sua natura autoritaria e di ciò che lo muove.

La libertà, un grande bene

La libertà è la capacità di aderire al vero e quindi di scegliere tra il bene e il male, di fare propria la scelta fatta e di poterla apertamente testimoniare. Qualcosa dunque di molto di più dell’autodeterminazione. In forza della libertà ciascuno può essere davvero sé stesso; essere non un pezzo di natura o un membro anonimo di società, ma qualcuno che dispone pienamente di sé. In forza della libertà si è in rapporto con altre libertà, in un incontro che crea il mondo umano delle relazioni.

Si nasce liberi e della propria libertà si diventa responsabili ricevendone l’esempio e l’esortazione da persone (genitori, familiari, nonni, amici, maestri) che siano già impegnati nel cammino della libertà e partecipando a luoghi di convivenza vera, a comunità di vita. La libertà, insomma, ha bisogno di educazione. Solo nell’ambito di una libertà educata prendono davvero senso le tante libertà derivate: le libertà politiche, sociali, civili.

Come tutto ciò che è prezioso, la libertà è insidiata

La libertà può venire brutalmente tolta (quanti esempi ne abbiamo ancor oggi nel mondo), ma la si può anche, fingendo di promuoverla, deformare e ridurre. Anche laddove astratti principii vengono solennemente affermati, non sempre l’ambiente sociale è favorevole alla libertà. Soprattutto raramente è favorevole all’intera libertà in tutti i suoi aspetti. Non di rado se ne afferma un aspetto, mentre se ne negano altri.

Oggi, in particolare, sempre più spesso quella che viene definita come la libertà personale non è altro appunto che semplice autodeterminazione. Si spaccia per libero chi può decidere a proprio piacimento, senza un bene con cui misurarsi, senza altre libertà con cui rapportarsi, senza vincoli e senza responsabilità; in definitiva, una libertà individualista, ridotta a spontaneità, ripiegata su se stessa.

I temi su cui cominciare a interrogarsi

Molto, se non quasi tutto, spinge oggi all’individualismo e al soggettivismo. Chi però ha un sentimento ristretto della propria libertà può anche non accorgersi di vivere in un ambiente sociale in cui singole persone o singole forze organizzate tendono a “gestire” la libertà di tutti gli altri. Ci si sente liberi e intanto si viene progressivamente gestiti da altri. È importante rendersi conto di questo gioco di potere, che è anzitutto potere di condizionamento della libertà: qualcuno pensa per noi e ci fa intendere come bisogna pensare e fare correttamente.

Oggi un fenomeno assai diffuso insidia in particolare la libertà di opinione e di azione: si tratta del «pensiero unico». Su un numero crescente di questioni fondamentali il dibattito e il dialogosono chiusi. La cultura dominante e quindi il grosso dei media impongono come “normale” una certa tesi dalla quale non è «politicamente corretto» dissentire.

Eccone alcuni esempi eloquenti:

I temi della vita campeggiano, perché si vuole che sia indiscutibile il disporre ad arbitrio della vita propria (suicidio, eutanasia) e della altrui (aborto, malati terminali, handicappati gravi). Pertanto il sostenere che la vita umana ha in sé qualcosa di indisponibile è bollato come violazione della   libertà di scelta e insensibilità verso la sofferenza.

La sessualità viene interpretata come configurabile a piacere, quasi che il sesso non avesse alcun significato obiettivo da rispettare e valorizzare. In forza della teoria del gender si fa del sesso psichico qualcosa che si può scegliere indifferentemente. Sullo sfondo sta la questione omosessuale, non quanto al giusto rispetto dovuto alle persone di tale orientamento, ma quanto alla pretesa che l’omosessualità vada riconosciuta come nuovo paradigma dell’identità sessuale stessa. E chi non è d’accordo viene accusato di omofobia.

Di conseguenza, pure l’identità della famiglia diventa relativa alle diverse identificazioni sessuali; la famiglia come istituzione unica ed esclusiva dovrebbe smettere di esistere a favore dell’irriducibile pluralità delle forme famigliari, per cui la difesa di una specifica e non equiparabile funzione della famiglia eterosessuale monogamica è automaticamente bollata come forma di tradizionalismo passatista irricevibile.

Ci sono poi i temi socio-culturali e politici.Circala presenza islamica nel nostro Paese e in tutta l’Europa una certa cultura multiculturalista sostiene da anni una disponibilità incondizionata, e accusa di islamofobia, senza accettare alcun dibattito al riguardo, chi ne dissente. Analogo meccanismo scatta a proposito delle politiche immigratorie, la cui discussione è seppellita sotto accuse che vanno dalla discriminazione al razzismo.

Più recentemente si è acuita l’attualità della questione ecologica, in cui il pensiero politicamente corretto ha trovato un campo di applicazione globale. La questione del clima è seria, ma l’origine antropica dei suoi attuali mutamenti non è affatto certa, e la sua interpretazione dal punto di vista scientifico, economico, sociale e culturale è del tutto aperta, mentre centrali di opinione molto influenti le danno per acquisite con censura dei dissenzienti accusati di gravi colpe contro l’intera umanità.

Infine, è importante notare che il meccanismo del politicamente corretto funziona anche in negativo, cioè facendo calare il silenzio su questioni rilevanti ma non in linea con gli obiettivi accreditati. Ad esempio, il tema del grave calo demografico, che ha effetti a catena sulle condizioni economiche e sociali; quello della famiglia, che dà un contributo essenziale e insostituibile in termini di ricambio generazionale, educazione, solidarietà, microeconomia, cultura, e che ha bisogno di riconoscimenti, di protezione, di sostegno; quello di situazioni gravi di crisi come i fallimenti familiari, i femminicidi, l’uso di stupefacenti, ecc., oggetti di informazione scandalistica, ma non di un approfondimento antropologico che metterebbe in difficoltà  gli stereotipi individualisti e libertari del politicamente corretto; quello della libertà religiosa, minacciata in gran parte del mondo,  ma relegata tra gli eventi di cronaca minore.

Che cosa fare allora?

Come mai ci sono questi e altri argomenti su cui la discussione pubblica risulta impedita? Perché non si può dissentire dal «pensiero unico» senza venire perciò messi sotto accusa, senza venire quasi criminalizzati? Sono queste domande che occorre cominciare a farsi.

Per il «pensiero unico» chi non accetta ciò che è “corretto” diviene per definizione “scorretto”; e chi è scorretto non merita un pieno riconoscimento sociale. Perciò, come si è visto, si rifiuta il dialogo con gli scorretti, si toglie loro il credito sociale, li si scredita appunto. Ne derivano una società sotto tutela e una democrazia frenata.

Con quale autorità – ci domandiamo – ci si arroga il diritto di decidere ciò che è corretto e ciò che è scorretto? Questa sicurezza censoria nasce probabilmente dalla presunzione di conoscere quale sia e quale debba essere l’uomo del XXI secolo; e il ritratto che ne risulta è quello di un individualista libertario però solidale, permissivo però moralista, tollerante però rigorista, relativista però dialogico, ecologico però tecnologico, democratico però autoritario. Insomma un soggetto scomposto e ampiamente contraddittorio, che assembla a modo suo alcune residue certezze della cultura occidentale e le vuole imporre a tutti ad ogni costo. E perciò prende di mira in primo luogo chi invece fa appello alla persona reale, alla comunità naturale, alla nazionalità concreta, alla religiosità sostanziale, cioè a ciò che è fondamentale per la convivenza umana.

È una situazione da cui occorre emanciparsi al più presto. Tenuto conto della pressione psicologica della mentalità comune, nonché della visione delle cose imposta dai media più forti e più diffusi, si tratta senza dubbio di una difficile impresa. Tuttavia non di un’impresa disperata, se si ricercano o rispettivamente si promuovono esperienze di:

  • incontro con realtà comunitarie, che aiutino i singoli a sottrarsi al risucchio individualista; nelle quali le parole possano diventare esperienza e quindi facciano crescere l’interesse per la vita storica e la convinzione circa il senso umano del vivere e della società.
  • incontro con casi esemplari di realtà positiva.
  • formazione personalizzata dell’intelligenza, orientata a ovviare all’attuale “vuoto di pensiero” e a far rinascere la capacità di elaborare giudizi e di prendere la parola sulle provocazioni della cronaca, su linguaggi, fatti, situazioni; sull’idea stessa di libertà e di società; e così via.
  • volontà di essere protagonisti in un mondo che chiede conformismo a tutti e non offre rifugi neutrali a nessuno; e che perciò esige vigilanza personale, disponibilità al sacrificio, impegno condiviso.

I NONNI 2.0

PS Questa lettera vuole essere uno spunto per una discussione e un approfondimento con i nostri nipoti ed i loro amici, partendo dall’ascolto delle loro esperienze e dei loro pensieri a riguardo.

Fonte: Tempi.it

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