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Il Segretario di Stato Parolin: “Senza famiglia non c’è presente né futuro”

Solo andando incontro a Dio e agli altri si può cogliere l’essenza del messaggio di Natale. L’Avvento, attraverso luci e segni natalizi, ci ha immessi nel clima della festa. Senza scuoterci da torpore o cedimento della volontà, però, non riusciamo ad acquisire la reale consapevolezza di essere piccoli e bisognosi di aiuto e perdono. E invece è proprio questa una “virtù” che apre alla conversione e alla fede, dispone il cuore e la mente ad ascoltare e non solo a sentire, consente alla persona di accogliere la presenza e la parola del Signore. Essa apre la porta di accesso alla grazia, la quale non trova più ostacoli per trasformare le coscienze e le esistenze. È una condizione che permette di conseguenza alla fede di farsi opera. Una fede autentica, che sgorga da un cuore puro e libero di fronte alla verità, invece, illumina e fornisce criteri all’azione in ogni ambito dell’esistenza. Genera l’impegno, la solidarietà e ispira coraggio e inventiva per creare nuove possibilità, nuovi dinamismi di crescita personale e sociale.

L’impegno della Chiesa è rivolto in particolare alla riscoperta della famiglia. Senza famiglia non c’è presente e non c’è futuro né per la società né per la Chiesa. Per questo il Santo Natale è una vigorosa esortazione a riscoprire e a vivere la famiglia. Il Santo Natale è la festa della speranza e della voglia di ricominciare sapendo che non siamo soli in questo cammino a volte faticoso. Nel dramma della storia umana irrompe l’amore di Dio, che non si lascia mai vincere dal male degli uomini. Nella grotta di Betlemme attingiamo la forza di Dio, per vivere da figli e fratelli, per imparare a percorrere il cammino del perdono, della guarigione, della riconciliazione, della fraternità. E per essere portatori del fuoco di Cristo e partecipare alla gioia dell’incontro con Gesù Bambino, che ogni anno si rinnova. Il senso autentico del Santo Natale rimanda al Magnificat che la Madonna pronuncia quando visita la cugina Elisabetta. Maria loda il Signore perché “ha guardato l’umiltà della sua serva”. E si mette subito al servizio della cugina Elisabetta, anche lei incinta. È questo l’atteggiamento che ci viene chiesto da Dio: l’umiltà. Solo se Egli ci trova umili e docili alla sua volontà può operare nelle nostre vite dei cambiamenti straordinari per farci camminare sulla strada del bene. È un invito a non chiudersi in sé stessi in un tempo in cui qualcuno vorrebbe perfino alzare muri per impedire a chi soffre per la violenza delle guerre e la fame di trovare un rifugio sicuro. Penso ai nostri fratelli profughi che, come la Sacra Famiglia in fuga in Egitto per sottrarsi alla persecuzione del re Erode, bussano alle nostre porte, spesso dopo aver attraversato il mare in viaggi di fortuna durante i quali molti di essi, tra cui tanti bambini e donne incinte, perdono la vita.

Più di duemila anni fa, a Nazareth, in quel paese all’estrema periferia del popolo eletto, nella Galilea dei gentili, nel ventre di quella donna “si riaccese l’amore”. Da allora, è rifiorita nel mondo la possibilità di essere perdonati. La possibilità di dire “ti perdono”. La possibilità che l’estraneità e l’inimicizia non siano l’ultima parola nei rapporti tra di noi, nelle nostre case, nelle nostre città, nei rapporti tra i popoli e le Nazioni. Questo è il mistero cristiano. Questo è il grande mistero della vita cristiana. Questo è anche il mistero della Chiesa. Lasciamo che Maria e il Bimbo che viene alla luce in una grotta allarghino il nostro sguardo fino a abbracciare l’orizzonte del mondo. Ci liberino da ogni ripiegamento su noi stessi, sulle nostre piccole cose, ci faccia soffrire e gioire insieme alle attese, ai dolori e alle speranze di tutti i nostri fratelli.

Fonte: InTerris.it

 

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