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Segreto della confessione e direzione spirituale: le regole da non violare
— 1 Luglio 2019— pubblicato da Redazione. —
La Penitenzieria Apostolica fa chiarezza in 4 ambiti del segreto. Per evitare (anche nel clero) pettegolezzi, bufale e macchina del fango
«Si è diffusa negli ultimi decenni una certa “bramosia” d’informazioni, quasi prescindendo dalla loro reale attendibilità e opportunità, al punto che il “mondo della comunicazione” sembra volersi “sostituire” alla realtà, sia condizionandone la percezione, sia manipolandone la comprensione. Da questa tendenza, che può assumere i tratti inquietanti della morbosità, non è immune, purtroppo, la stessa compagine ecclesiale, che vive nel mondo e, talvolta, ne assume i criteri».
E’ questa la premessa di una nota della Penitenzieria Apostolica «sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale».
Anche tra il clero….
Anche tra i credenti, di frequente, prosegue la nota, «energie preziose sono impiegate nella ricerca di “notizie” – o di veri e propri “scandali” – adatti alla sensibilità di certa opinione pubblica, con finalità e obiettivi che non appartengono certamente alla natura teandrica della Chiesa. Tutto ciò a grave detrimento dell’annuncio del Vangelo a ogni creatura e delle esigenze della missione. Bisogna umilmente riconoscere che talvolta nemmeno le fila del clero, fino alle più alte gerarchie, sono esenti da questa tendenza».
“Giudizi temerari”
«Invocando di fatto, quale ultimo tribunale, il giudizio dell’opinione pubblica, troppo spesso sono rese note informazioni di ogni genere, attinenti anche alle sfere più private e riservate, che inevitabilmente toccano la vita ecclesiale, inducono – o quanto meno favoriscono – giudizi temerari, ledono illegittimamente e in modo irreparabile la buona fama altrui, nonché il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità (cf. can. 220 CIC)».
“Pregiudizio negativo” verso la Chiesa
In tale contesto, «sembra affermarsi un certo preoccupante “pregiudizio negativo” nei confronti della Chiesa Cattolica, la cui esistenza è culturalmente presentata e socialmente ri-compresa, da un lato, alla luce delle tensioni che possono verificarsi all’interno della stessa gerarchia e, dall’altro, partendo dai recenti scandali di abusi, orribilmente perpetrati da taluni membri del clero».
Da qui l’intervento della Penitenzieria Apostolica per spiegare meglio cosa sono: 1) il sigillo sacramentale, 2) la riservatezza connaturata al foro interno extra-sacramentale, 3) il segreto professionale, 4) i criteri e i limiti propri di ogni altra comunicazione.
1) Sigillo Sacramentale
La Penitenzieria ricorda che al confessore non è consentito, mai e per nessuna ragione, «tradire il penitente con parole o in qualunque altro modo» (can. 983, § 1 CIC), così come «è affatto proibito al confessore far uso delle conoscenze acquisite dalla confessione con aggravio del penitente, anche escluso qualunque pericolo di rivelazione» (can. 984, § 1 CIC).
La dottrina ha contribuito, poi, a specificare ulteriormente il contenuto del sigillo sacramentale, che comprende «tutti i peccati sia del penitente che di altri conosciuti dalla confessione del penitente, sia mortali che veniali, sia occulti sia pubblici, in quanto manifestati in ordine all’assoluzione e quindi conosciuti dal confessore in forza della scienza sacramentale». Il sigillo sacramentale, perciò, riguarda tutto ciò che il penitente abbia accusato, anche nel caso in cui il confessore non dovesse concedere l’assoluzione: qualora la confessione fosse invalida o per qualche ragione l’assoluzione non venisse data, comunque il sigillo deve essere mantenuto.
Per la sua peculiare natura, il sigillo sacramentale arriva a vincolare il confessore anche “interiormente”, al punto che gli è proibito ricordare volontariamente la confessione ed egli è tenuto a sopprimere ogni involontario ricordo di essa.
Il divieto assoluto imposto dal sigillo sacramentale è tale da impedire al sacerdote di fare parola del contenuto della confessione con lo stesso penitente, fuori del sacramento, «salvo esplicito, e tanto meglio se non richiesto, consenso da parte del penitente».
2) La direzione spirituale
All’ambito giuridico-morale del foro interno appartiene anche il cosiddetto “foro interno extra-sacramentale”. «Anche in esso – recita la nota della Penitenzieria – la Chiesa esercita la propria missione e potestà salvifica: non rimettendo i peccati, bensì concedendo grazie, rompendo vincoli giuridici (come ad esempio le censure) e occupandosi di tutto ciò che riguarda la santificazione delle anime e, perciò, la sfera propria, intima e personale di ciascun fedele».
Al foro interno extra-sacramentale appartiene in modo particolare la direzione spirituale, «nella quale il singolo fedele affida il proprio cammino di conversione e di santificazione a un determinato sacerdote, consacrato/a o laico/a».
Anche questo particolare ambito, perciò, «domanda una certa qual segretezza ad extra, connaturata al contenuto dei colloqui spirituali e derivante dal diritto di ogni persona al rispetto della propria intimità (cf. can. 220 CIC)». Di conseguenza la «necessaria riservatezza sarà tanto più “naturale” per il direttore spirituale, quanto più egli imparerà a riconoscere e a “commuoversi” davanti al mistero della libertà del fedele che, per mezzo suo, si rivolge a Cristo».
3) Segreto pontificio
Di altra natura rispetto all’ambito del foro interno, sacramentale ed extra-sacramentale, sono le confidenze fatte sotto il sigillo del segreto, nonché i cosiddetti “segreti professionali”, di cui sono in possesso particolari categorie di persone, tanto nella società civile quanto nella compagine ecclesiale, in virtù di uno speciale ufficio da queste svolto per i singoli o per la collettività.
«Tali segreti – evidenzia la Penitenzieria Apostolica, in forza del diritto naturale, vanno sempre serbati, “tranne – afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2491 – i casi eccezionali in cui la custodia del segreto dovesse causare a chi li confida, a chi ne viene messo a parte, o a terzi, danni molto gravi ed evitabili soltanto mediante la divulgazione della verità”».
Un caso particolare di segreto è quello del “segreto pontificio”, che vincola in forza del giuramento connesso all’esercizio di determinati uffici al servizio della Sede Apostolica. Se il giuramento di segreto vincola sempre coram Deo chi lo ha emesso, il giuramento connesso al “segreto pontificio” ha quale ratio ultima il bene pubblico della Chiesa e la salus animarum. Esso presuppone che tale bene e le esigenze stesse della salus animarum, compreso perciò l’uso delle informazioni che non cadono sotto il sigillo, possano e debbano essere correttamente interpretate dalla sola Sede Apostolica, nella persona del Romano Pontefice».
4) Limiti della comunicazione
Per quanto concerne gli altri ambiti della comunicazione, sia pubblici sia privati, in tutte le sue forme ed espressioni, la sapienza della Chiesa ha sempre indicato quale criterio fondamentale la “regola aurea” pronunciata dal Signore e riportata nel Vangelo di Luca: «Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Lc 6,31).
Parole d’ordine devono essere il bene e la sicurezza altrui, il rispetto della vita privata e il bene comune.
Quale particolare dovere di comunicazione della verità, dettato dalla carità fraterna, non si può non citare la “correzione fraterna”, nei suoi vari gradi, insegnata dal Signore. Essa rimane l’orizzonte di riferimento, ove necessaria e secondo quanto le concrete circostanze permettano ed esigano: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità» (Mt 18,15-17).
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