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Campioni, non mozzi. Lettera aperta, verso il Sinodo

“Pure la Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai pastori. San Benedetto raccomandava agli abati di consultare anche i giovani prima di ogni scelta importante, perché «spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore» (Regola di San Benedetto III, 3).

[Papa Francesco, Lettera ai giovani]

Lo dico onestamente: vorrei crederci.

E spero sinceramente di stupirmi, ma quasi mi vedo i tavoli delle discussioni, dove la domanda sarà: quale posto per i giovani nella Chiesa? Con la sua immancabile traduzione banalizzante e fuorviante: cosa possono fare i giovani nella Chiesa?

Perché, ammettiamolo, la pastorale, specialmente quella giovanile, ha ben poco dell’ascolto, ancor meno del servizio. Certo, si mira a insegnare a conformarsi a Cristo servo, però troppo spesso si dimentica una regola fondamentale: si insegna a servire servendo, non asservendo.

Invece le pareti delle nostre parrocchie sono tritacarne da incubo, tra le quali si macinano e frantumano quelle voci, quelle sensibilità, quella fede, quei dubbi, quelle critiche, che noi saremmo chiamati ad ascoltare fedelmente e coltivare pazientemente. Ma, si sa, ascoltare e produrre sono espressioni reciprocamente ossimoriche per la nostra società.

Non abbiamo tempo di fare il lavoro inutile di ascoltare, non abbiamo le forze per lanciarci nella scommessa audace dell’investire,  non abbiamo speranza per obbedire alla novità. Noi manteniamo. Manteniamo strutture, rendendo le ali dei giovani callose mani da anziano operaio; manteniamo schemi vecchi, rendendo l’imprudenza dei giovani una stanca nenia ripetitiva; manteniamo recinti (anche se travestiti da avanzatissimi campetti), sfasciando le gambe agili dei giovani contro il duro confine del “questo è giusto”.

Sogno un Sinodo sovversivo. No, non quello che sarà celebrato a Roma, ma quel Sinodo vissuto come stile parrocchiale, magari proprio a partire dal Consiglio Pastorale. Sovversivo come il giovane che, di fronte all’ennesimo chiamata alle armi per l’ennesimo banco di beneficenza, dica liberamente: «Ma ‘sta roba fa schifo, è proprio da sfigati». E sogno che qualcuno finalmente ascolti, fino ad obbedire. Perché davvero di fronte al mondo siamo ormai icona rattrappita di una setta sempre più ristretta e sempre più lontana dal mondo. Mondani, ma come il mondo di vent’anni fa: LUI ci aveva chiesto di essere nel mondo come uomini del domani eterno.

Troppo spesso, sulla barca della Chiesa, riduciamo l’equipaggio ad un piattume di mozzi, perché a noi i campioni fanno paura. Perché dobbiamo dircelo con onestà: a noi non importa che un giovane ci dica chissà che, a noi interessa dirgli solo una cosa, ovvero quello che deve fare. Perché questo è  urgente: fare il necessario perché niente crolli. Così la gratuità dei servi inutili e la rivoluzione di templi che crollano a favore del Santuario diventano cosa da pulpito, mentre, se sei giovane, devi essere utile alla manutenzione.

Sogno un Sinodo eversivo, ovvero spero che ci spinga fuori. I giovani, come tutto il gregge, non si possono convocare, ma bisogna raccoglierli. E allora, con il cuore veloce del pastore che paralizza i calcoli del ladro, forse la smetteremo di giudicare un fallimento il loro non esserci e cominceremo a riconoscerci come falliti, perché siamo noi a non esserci per loro.

Sai cosa sogno? Sogno di avere le domande coraggiose di un padre come Michele Serra, alla cui penna sarcastica e realistica, affido la conclusione:

Per me sarebbe già molto. Anzi: moltissimo. Quasi mi commuoverebbe. Tanto da rendere lecito il sospetto che tu disattenda un così poco impegnativo ordine del giorno proprio perché è troppo poco… un fabbisogno etico cosi mediocre da non scalfire il tuo spirito, che custodisce, come è tipico dei giovani, il seme dell’eroismo, e certo non può accendersi nel nome del decoro domestico a me tanto caro. Così che se io, per dire, mi presentassi con gli occhi spiritati e ti dicessi che devi partire subito, stanotte stessa, per liberare armi in pugno un popolo oppresso, o per evangelizzare i selvaggi, o per ricacciare oltreconfine gli impuri (per dire solo alcune delle tipiche Cause non più a disposizione di noi relativisti), allora si che ti vedrei balzare dal divano, farti in un attimo hombre vertical, preparare lo zaino e abbracciandomi mormorare chino al mio orecchio: finalmente, padre mio invece delle meschine c*****e con le quali mi assilli da quando sono nato, mi indichi una Meta degna di questo nome! Mi indichi il sole di una fede, non più una lampadina da spegnere!

Fonte:Carlo Pizzocaro | BlogCostanzaMiriano.com

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