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Giulia e gli islandesi

Leggendo gli articoli di questi giorni relativi alle (non) nascite dei bimbi Down in Islanda, ed essendo padre di una di loro, vorrei esprimere una breve considerazione.
Pur non entrando nel merito delle scelte personali, credo sia necessario però essere onesti. Avere un figlio con sindrome di Down non è una passeggiata, comporta certamente delle difficoltà in più, ma per favore non affermiamo di fare il bene di questi bambini o di “prevenire la loro sofferenza” (come afferma la psicologa islandese Helga Sol Olafsdottir che consiglia le mamme con test prenatale positivo) non facendoli nascere.
Se la psicologa ci inviterà in Islanda, potrà chiedere a Giulia (che è stata promossa in seconda media, frequenta un gruppo scout, pratica nuoto sincronizzato e surf, e mentre scrivo col cellulare questa lettera, sta giocando sotto l’ombrellone con i cugini a “Reazione  a catena”) se avesse preferito non nascere.
Potrà inoltre vedere da vicino una persona con sindrome di Down (rarità assoluta nel suo paese), si accorgerà che i tempi si evolvono, le persone Down (con tutte le difficoltà del caso) vanno a scuola, lavorano, praticano sport e, come tutti gli altri, possono anche essere felici. Infine le regalerò un libro scritto da una mamma (Isabella Piersanti, “Da piccola ero Down”) dove si legge nell’introduzione: “Avere una figlia con sindrome di Down non è un dramma, e non significa non essere più felici”.
Fonte: Francesco Giovannelli –Il Foglio

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