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Sappiamo che il Vangelo è stato tradotto. Come facciamo a sapere che non è stato anche manipolato?

1. Abbiamo tanti motivi per ritenere che i Vangeli non siano stati manipolati e  che i testi che sono giunti a noi sono autentici. Certo, non abbiamo l’originale, ma le copie delle copie. E le più antiche di queste copie risalgono al IV secolo. Queste copie delle copie in gergo tecnico vengono chiamate codici.

2. Tuttavia lo stesso discorso si potrebbe fare anche per tutti i classici antichi. Di essi non ci è pervenuto l’originale, ma le copie delle copie.
Ma con questa differenza: che mentre i codici più antichi dei classi greci e romani sono per lo più posteriori al IX secolo (frutto dei copisti dei monasteri), i codici del Nuovo Testamento sono molto più antichi.

3. Un illustre esegeta gesuita Alberto Vaccari ha scritto: “Il testo del Nuovo Testamento è in condizioni assai migliori di quello dell’Antico Testamento, anzi così favorevoli che nessun libro dell’antichità può essergli neanche lontanamente messo a paragone.
Quasi tutti i classici non ci sono giunti che in pochi manoscritti e di età piuttosto bassa, pochissimi più antichi del sec. IX d.c.. Il Nuovo Testamento invece ci si presenta in 17 fra codici e frammenti del sec. IV, 27 del V, 37 del VI e così via” (Bibbia, in EIT VI, 1930, 888).
Gli onciali (scritti in maiuscolo) sono 210, i minuscoli circa 2.400, i papiri 67, i lezionari per le funzioni liturgiche 1.610, per un  totale di circa 4.290 dei quali 53 contengono il Nuovo Testamento per intero.

4. Ma non ci sono solo i codici.
Ci sono anche le versioni antiche (alcune del II o III secolo) per lo più latine.
Il nuovo Testamento è stato scritto in greco.
Confrontando le varie versioni si può vedere che nulla è stato manipolato dal testo originario.

5. Inoltre vi sono le citazioni di frasi o di fatti del Nuovo Testamento che si trovano nelle opere dei Santi Padri e degli antichi scrittori ecclesiastici. Queste citazioni sono numerosissime. Nell’Introduzione alla BibbiavPerrella-Vagaggini scrivono: “Le citazioni degli antichi scrittori ecclesiastici sono così frequenti che, unendole insieme, si potrebbe ricostruire con esse tutto il Nuovo Testamento greco. Un primo spoglio parziale di solo sette scrittori ha dato per risultato un totale di ben 26.487 citazioni” (p. 133). Queste varie citazioni, spesso fatte a memoria, non si contraddicono l’un l’altra.

6. Tutto questo sta a dimostrare che coloro che citavano o traducevano o ricopiavano avevano un tale senso di rispetto e di adorazione per la parola di Dio che non si sognavano minimamente di manipolarne il testo. Sapevano tra l’altro che avrebbero dovuto renderne conto a Dio.

7. Ed ecco l’elenco dei principali codici che noi oggi possediamo. B, Vaticanus (La sigla B è iniziale di Baticanus, foneticamente raddolcita in V). Contiene l’Antico Testamento nella traduzione greca dei LXX e il Nuovo Testamento, ambedue però non completi. Fu copiato nel secolo IV probabilmente in Egitto. Si conserva nella Biblioteca Vaticana (di qui il nome). È universalmente conosciuto come il migliore di tutti i codici del Nuovo Testamento sotto l’aspetto sia paleografico che critico. S, Sinaiticus. Contiene ambedue i Testamenti, ma l’Antico Testamento è lacunoso. Copiato nel secolo IV-V, ha col Vaticano affinità di origine e d’indole. Fu scoperto nel 1844 nel monastero di S. Caterina sul monte Sinai (di qui il suo nome) da C. von Tischendorf, il quale ne portò parte a Lipsia e il resto, più tardi, a Pietroburgo, di dove, nel 1933, passò al British Museum per 100 mila sterline. A, Alexandrinus. Contiene, con varie lacune, ambedue i Testamenti. Copiato in Egitto nel secolo V, fu in passato ad Alessandria (donde il suo nome); oggi è al British Museum. C, Ephraemi rescriptus, ossia palinsesto. Contiene frammenti dell’Antico Testamento e quasi tutto il Nuovo Testamento. Copiato nel secolo V in Egitto, fu cancellato nel secolo XII per scrivervi le opere di S. Efrem tradotte in greco. Si trova ora nella biblioteca nazionale di Parigi. Dea, Codex Bezae o Cantabrigiensis. Contiene vangeli e Atti, in greco (pagina a sinistra) e in latino (pagina destra). Copiato nel secolo VI in Occidente, nel secolo XVI venne in possesso di Teodoro Beza, il quale lo cedette all’accademia di Cambridge, dove tuttora si trova: di qui il doppio appellativo. DP, Claromontanus. Contiene le epistole di S. Paolo in greco e in latino; tra l’epistola a Filemone e quella agli Ebrei si legge la lista dei libri sacri scritta sticometricamente (Canone Claromontano, del secolo IV). Copiato nel secolo VI in Occidente, una volta si trovava nel monastero di Clermont (donde il nome); oggi è nella Biblioteca Nazionale di Parigi. W, Freer (così detto dal nome di Ch. L. Freer, che lo scoprì nel 1907 in Egitto) del secolo V. Contiene i vangeli e si trova attualmente a Washington.

Fonte: Amici Domenicani.it

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