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Quelle materie inutili eppure indispensabili

Ragioni un po’ più importanti di un curriculum scolastico “al passo coi tempi” per smettere di sottovalutare la classicità e le discipline umanistiche.

“Italiani popolo di santi, navigatori e… poeti”! Peccato che, secondo gli ultimi dati, l’interesse verso questo orgoglio nazionale sia decisamente calato. Ma del resto perché i giovani dovrebbero appassionarsi a cose distanti da noi millenni? Facciamo un passo indietro, partendo dai titoloni di alcune settimane fa sull’allarme lanciato da un gruppo di docenti universitari: “Gli studenti non sanno più scrivere, errori da terza elementare” e così via. Dare la colpa al sistema sarebbe sottrarsi come sempre alle responsabilità. Bisognerebbe fare invece una profonda analisi su quello che in questi ultimi anni abbiamo trasmesso ai nostri giovani e cioè che “con la cultura non si mangia”. Stiamo formando, cercando di andare al passo con i tempi, sempre più tecnici, esperti di informatica e di tecnologie all’avanguardia, ma giovani privi di quel substrato culturale che fa parte della nostra identità. Il non saper scrivere è solo la punta dell’iceberg, sotto ci sono anni di svalutazione del mondo umanistico, considerato poco utile per il mondo che avanza. Latino? Roba da antiquariato. I musei? Non sono nati per portarci gli studenti, solo roba per collezionisti e specialisti.

Dovremmo riflettere su questo scippo identitario e pensare che studiare latino e greco non è così inutile come sembra, né tantomeno, in un sistema di riforme scolastiche, sacrificabile. La scuola di oggi taglia e risparmia sulle basi della nostra cultura, ma a chi fa bene questo risparmio? Certamente non ai nostri giovani. Privarli della cultura classica li esporrebbe a un netto calo di esercizi di logica, ragionamento analitico e forma mentis, che il latino e il greco, con le loro strutture matematiche, forniscono allo studente. Si sottovaluta anche il potenziale di accrescimento linguistico che queste comportano, non solo di termini che derivano da queste lingue ma dell’italiano stesso, intessuto e pregno di classicità. Il mondo antico aiuta anche a guardare il moderno con occhi di distacco; nel nostro mondo globalizzato è impossibile avere un approccio asettico verso altre culture, i mass media fomentano il pregiudizio, mentre analizzare Greci e Romani che non sono toccati dai rumores aiuterebbe noi a fare analisi critica scevra da punti di vista inutili.

Il vocabolario della scienza
La capacità di analisi, acquisita solo da un approccio con il mondo classico nei suoi testi fondamentali in lingua, permetterebbe davvero di guardare il mondo moderno con distacco critico, e questo porterebbe a leggere la realtà con più lucidità. Sono dunque inutili le lingue classiche? Lungi dal pensare che questa sia l’unica palestra formativa, e che latino e greco debbano sapersi a memoria come le tabelline, ma forse potremmo avere ragazzi pensanti, in grado di avere un loro punto di vista personale con uno sguardo più attento sul presente e con un bagaglio culturale antico che non è un fantasma che appare ogni tanto, ma che fa parte e vive nel presente, anche se da adulti non ricorderanno mai che oἶδα è l’aoristo di ὁράω.

Il latino inoltre è parte del nostro Dna culturale, sta alla base della lingua italiana ed è stata la lingua di quei Romani su cui ancora oggi noi fondiamo usi, costumi, diritto e istituzioni. La schiera dei classicisti porta anche lucide analisi sull’influenza e i benefici del latino sul quotidiano. È innegabile che leggere e studiare i classici migliora e rafforza le capacità espressive e comunicative sia per i giovani che si orienteranno verso una specializzazione scientifica come biologi, medici, analisti finanziari eccetera, sia per chi si approccerà allo studio della comunicazione con precisione, efficacia argomentativa e rigore logico. Per non parlare dei giuristi. Concetti come ius, res, mos, causa sono all’ordine del giorno nelle aule dei tribunali e gli studenti di giurisprudenza che non sanno il latino, non hanno difficoltà a raccapezzarsi? Alla base delle scienze moderne, per anni il latino è stata la lingua di materie come medicina, filosofia, scienze, matematica e architettura. I vocaboli fondamentali di queste materie costituiscono il lessico giornaliero di medici e biologi con cui chiamano malattie e generi di piante e animali.

Se l’archeologo diventa un reperto
Il mal del classico sembra però colpire anche il Regno Unito, dove risulta che lo studio di materie classiche come l’archeologia non sia più produttivo. Cosa direbbe Carter, lo scopritore della tomba di Tutankhamon, della sua terra che rifiuta quelle materie che tanto lustro le hanno portato? Il paese dal 2018 cancellerà progressivamente i corsi di perfezionamento in archeologia rivolti agli studenti degli ultimi due anni della scuola secondaria. La spiegazione è che non si riescono a raggiungere i livelli di occupazione sperati e che le materie classiche, cioè prive di pratica, siano improduttive per l’economia del paese, quindi da considerarsi non prioritarie per gli investimenti. Ancora una volta la politica che “con la cultura non si mangia”, ma questa volta made in Britain.

Quindi a cosa serve studiare i classici? Ci saranno sempre quelli pro o contro e non ci sarà mai una risposta esaustiva. Forse non ha nemmeno senso pretendere di dare una risposta a una questione nonsense, come suggerì con una formula vincente Italo Calvino: «Non si creda che i classici vanno letti perché “servono” a qualcosa. La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici». 

Fonte: Alessandra Randazzo | Tempi.it

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