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Festival dei volti e dei Gabbani

Il successo del cantautore toscano incarna la voglia di leggerezza del Paese reale Ma Meta e la Mannoia rispondono alla richiesta di impegno e spiritualità

Se è vero che Sanremo è lo specchio del Paese reale, allora l’Italia del «buon giorno Maria » ( Toto Cutugno aveva previsto la venuta della De Filippi) si è specchiata in Occidentali’s Karma di Francesco Gabbani e l’ha premiato con la vittoria del 67° Festival. In epoca di crisi politica ed economica, di tragedie umane, di disperazione, di violenza e solitudine (nonostante i tanti “Amici” virtuali di Facebook e televisivi di Maria) il Paese, come cantava Drupi, chiede Regalami un sorriso. E l’anarchico carrarino Gabbani l’ha accontentato con un degno sequel della sua Amen (brano con cui vinse Sanremo Giovani 2016). Il suo scimmione nel balletto sanremese, curato dallo «scimmiografo » Filippo Ranaldi, 28enne coreografo di X-Factor, è diventato immediatamente virale, dai social ai condomini nazionalpopolari. Al ritornello «lezioni di Nirvana / c’è il Buddha in fila indiana / per tutti un’ora d’aria, di gloria», il popolo in età tra gli 0 e gli 80 anni ormai si scatena con coreografie da salotto: pantofole rosse (le «pianelle» della Bertè) danzano. Intorno al testo dei fratelli Gabbani (Francesco scrive con Filippo) da giorni ci sono filologi, semiologi e politologi a lavoro. Se Umberto Eco fosse ancora tra noi, dopo aver fotocopiato e applicato la Fenomenologia di Mike Bongiorno a quella di Carlo Conti e Maria De Filippi, siamo certi che scimmiotterebbe Gabbani. Il quale, al di là del citazionismo pop (Morris, Eraclito, Shakespeare e Marx), ha giocato con la musica, come fa da sempre, e anche per questo ha vinto. «A 33 anni, dopo tanta gavetta, ormai pensavo di smettere», disse dopo che lo scorso anno aveva trionfato nelle Nuove proposte. A furor di popolo è stata riconosciuta la «leggerezza di Italo Calvino, un sanremese non a caso…»: Francesco non si vanta, ma l’ha letto. Come non si vanta del successo, sa bene – come diceva l’anarchico Bianciardi – che «è solo il participio passato di succedere».

Gabbani ha quasi chiesto scusa a Fiorella Mannoia, che ha salutato Sanremo con una profezia: «Che sia benedetta non ha vinto, ma come tutte le canzoni che ho portato al Festival poi sono rimaste nel tempo». E come negarlo: Caffè nero bollente, Come si cambia, Quello che le donne non dicono e Le notti di maggio sono scolpite nella memoria collettiva. Fiorella, dopo diciannove anni, ha avuto il coraggio di tornare sul palcoscenico del baraccone televisivo contiano-defilippiano e “versi” come «la vita è perfetta / per quanto sembri incoerente e testarda, se cadi ti aspetta», hanno lasciato il segno anche nella giuria della Società Dante Alighieri e del Laboratorio Itals dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, che l’ha insignita del premio “Dove il sì suona”: «Ambasciatrice della canzone italiana nel mondo». Linguisti e glottologi del calibro di Serianni, Balboni, Antonelli, Caon e Cartago – i giurati della Dante Alighieri – dietro al testo della Mannoia hanno giudicato come i migliori del Festival

Vietato morire di Ermal Meta e Occidentali’s Karma di Gabbani. D’Alessio non si dà pace ma le giurie, popolari e non, hanno decretato il podio all’unanimità. Il Paese reale chiede di sorridere con il giusto disimpegno, perché Gabbani balla con la scimmia, è vero, ma le canta e le suona, specie a quelli che hanno reso «l’intelligenza demodè». Ma il Paese chiede anche spiritualità e l’ha trovata nella canzone della Mannoia. E poi urla il suo no alla violenza con l’accorato appello di Ermal: «Figlio mio ricorda bene che / la vita che avrai / non sarà mai distante / dell’amore che dai».

Ecco, vedremo cosa daranno in futuro questi due nuovi bei volti del cantautorato, Meta e Gabbani. Entrambi possiedono il dono della scrittura, Meta ha realizzato testi per Emma, Mengoni, Renga, la Michielin, Patty Pravo. Gabbani ha scritto Il bambino col fucile per Celentano, e quella potrebbe essere la sua direzione dopo questo Sanremo che ha benedetto proprio tutti: santi, giullari e navigatori del web.

Fonte: Avvenire.it

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