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OLIMPIADI – Nudo è lo spettacolo

È giunto il grande giorno di Rio 2016 e del Brasile. E dalla Barra, il centro nevralgico di queste Olimpiadi sudamericane, è lecito domandarsi: ma che senso hanno ancora questi Giochi? Un buon professore di storia, amante dello sport quanto il premier Renzi o il presidente del Coni Malagò, risponderebbe celere: «Le Olimpiadi si organizzavano 700 anni prima della nascita di Cristo», ergo, è la tradizione – la sua forza, il suo potere – il motore primo dell’evento. Ma quelli del 776 a.C. ideati dalla comunità sacerdotale di Olimpia in onore di Zeus erano dei “Giochi sacri”, un culto religioso ancor prima che sportivo. E allora oggi qual è la religione professata dalla macchina olimpica? Anche l’ultimo abitante dell’ultima favela di Rio de Janeiro non ha dubbi: «È il dio denaro». Lo sport del terzo millennio si regge esclusivamente sul business (mediatico, in primis), il gigantismo finanziario, la ricerca ossessiva dello sponsor che ha bisogno di nutrirsi di miti remunerativi da vendere sul grande mercato globale. E il mito dello sport moderno non è certo il dilettante – l’atleta olimpico lo è solo sulla carta, ormai –, l’amateur tanto caro a papa Francesco, ma il fenomeno, l’invincibile. L’arena sopravvive con le vittime sacrificali sull’ara di Bolt, di Phelps e – da italiani, lo speriamo – della nostra Pellegrini. Sono fiabe postmoderne, miti a uso e consumo di una società digitale, veloce, che crea e cancella tutto nell’arco di un tweet. Ecco che il potere della storia e della tradizione è venuto meno, sconfitto. Nella migliore delle ipotesi a Rio finisce sotto il podio.

Non c’è più terra d’Olimpia su cui un Bikila possa correre scalzo le sue maratone d’oro soltanto per la gloria e per amore dello sport. La bella favola della rappresentativa dei rifugiati lascia subito il posto ai calcoli su quanto possa garantire in termini economici un loro spot, quanto possa pesare l’ipotetico oro da mettere al collo della 18enne siriana Yusra Mardini che si è salvata “a bracciate” dalla morte grazie al talento per il nuoto. Qui a Rio si salvi chi può. I Giochi sono fatti per chi vince e in genere trionfa chi paga di più, così come puntualmente poi perde chi ha speso e investito al di sopra delle proprie possibilità.

Esiste infatti un doping farmaceutico che è pericoloso, segreto e più politico di quello dello scandalo Russia o del caso Schwazer. È una sostanza illecita che ha contagiato tutto il sistema, trasformandosi in velenoso doping amministrativo e finanziario. Una piaga, un’epidemia, altro che la zanzara del virus Zika. Atene, la sede più vicina al mito di Olimpia, tra le città del Vecchio Continente è quella che sta sopravvivendo a stenti all’emorragia di quella ferita aperta, il taglio letale del crac post olimpico del 2004. E Rio sa che questi Giochi sono un azzardo, un tuffo di celebrità universale che però sul breve e medio periodo può trasformarsi in un vertiginoso e disastroso salto nel burrone.

La lunga estate carioca, cominciata nel 2014 con il Mundial di calcio, sta finendo e già comincia il tempo delle riflessioni amare. Questa sera le luci accese del Maracanà, le note di bossa nova, la samba della cerimonia inaugurale, gli abiti di strass delle ballerine faranno brillare gli occhi all’universo intero. Il popolo carioca è pronto, per diciassette giorni di fila, a recitare la propria parte nella commedia della città della gioia sportiva. E noi, con loro, siamo disponibili a fare da spettatori soddisfatti e rimborsati, ricordando al mondo che «è qui la festa». È sempre stato così: una festa che in oltre duemila anni di Olimpiadi spesso ha voluto significare “tregua”. Il deporre le armi in nome di una “pace olimpica”. Anche se poi Sparta e Atene pare che continuassero a combattere lo stesso in barba alle leggi, e questo, oggi, continua ad accadere in quasi tutto il pianeta. Forse il terrorismo che finge di agire in nome di un “dio” non sa o fa finta di non conoscere la grande lezione di Olimpia: l’unico modo per ingraziarsi il favore divino è quello di disarmare e promuovere i Giochi come momento di unità tra le “meglio gioventù” di ogni Paese.

Lo sport olimpico anche nella sua versione più scorretta e aggiornata ha mantenuto in vita due cose: il ricordo di Maratona (ultimo retaggio della tradizione antica: la corsa di Filippide, era il 10 agosto del 490 a.C.), che è sinonimo di annuncio di festa, di vittoria e il desiderio di condivisione. Nonostante tutto, dunque, il vero successo, quello che s’incide nella memoria, non è solo il record personale e solitario, ma l’impegno a perseguirlo giocando di squadra, ammantandolo dell’emozione dei semplici, combattendo quella che papa Francesco chiama la «buona battaglia» per creare «un’unica famiglia al di là di ogni differenza politica, culturale, religiosa». Auguriamoci, allora, che la grande famiglia olimpica di Rio 2016 provi a resistere fino in fondo, e tenti di tenere accesa il più a lungo possibile la torcia che è tornata ad ardere, consapevole che è la fiammella di una speranza di pace, di bellezza e di giusta forza che affascina tutti, ma è per lo più generata dal cuore degli ultimi e dei penultimi della terra. Le nude e splendide briciole dello spettacolo dei Giochi sazieranno anche loro, i ‘periferici’, costretti da sempre a battersi per la vita, in gara con la speranza.

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